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Da "Umanità Nova" n.41 del 17 dicembre 2000

Scuola in sciopero

È mia opinione che l'attuale fase contrattuale nella scuola renda visibile un significativo punto di crisi della politica padronale, governativa e sindacale per quel che riguarda la formazione, in primo luogo, e che questo punto di crisi possa, non debba, avere implicazioni più ampie di quello che riguarda la categoria dei lavoratori della scuola.

Una tesi come quella che ho esposto può essere il prodotto della mia particolare collocazione sociale come insegnante e sindacale come militante e potrebbe essere il frutto di un'attitudine eccessivamente ottimista. richiede, Di conseguenza, ritengo doveroso indicare le ragioni di questo convincimento.

Da circa un anno, dalla rivolta di gennaio febbraio contro il concorso indecente, sono all'ordine del giorno due questioni:

  • il disagio degli insegnanti a causa del degrado delle loro, nostre, condizioni di vita e di lavoro. Si tratta di una tipica resistenza alla proletarizzazione da parte di un settore di lavoratori semi professionali che godevano di una relativa autonomia nell'organizzazione del proprio lavoro e di un, limitato ma reale, prestigio sociale e che vedono la propria attività burocratizzarsi ed impoverirsi ed il ruolo dell'insegnante trasformarsi in quello di animatore sociale;

  • la retribuzione di una categoria che, a fronte dei colleghi degli altri paesi europei e degli stessi lavoratori di pari livello degli altri comparti del pubblico impiego, vede un salario significativamente più basso.

Se consideriamo, inoltre che:

  • il riordino dei cicli scolastici sta creando serie e motivate preoccupazioni in ampi settori dei lavoratori della scuola;

  • la condizione materiale dei precari della scuola subisce un ulteriore peggioramento grazie al ritardo nel pagamento dello stipendio, al numero limitato di immissione in ruolo che sono, comunque, in ritardo (circa 40.000 a fronte di un taglio degli organici di oltre 100.000 posti negli ultimi dieci anni), a inefficienze burocratiche di ogni tipo;

  • il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (i famosi ATA) subisce un aggravio dei carichi di lavoro ed una precarizzazione grazie all'utilizzo di cooperative, lavoratori socialmente utili e, in tendenza, lavoratori interinali nella scuola dell'autonomia (noi diremmo della dirigenza);

  • il personale ATA passato dagli enti locali al ministero della pubblica istruzione ha perso condizioni migliori derivanti dalla contrattazione integrativa (livelli, rimborsi per la mens ecc.).

    si comprende come si siano accumulate tensioni difficili da affrontarsi anche per un blocco di forze come quello che si è assunto il compito di aziendalizzare la scuola pubblica.

L'anno che volge alla fine ha visto mutare radicalmente un quadro sociale che sembrava chiaramente definito. La resistenza al concorso indecente e ad ogni tentativo di dividere gli insegnanti in salvati e sommersi va in controtendenza rispetto alla politica dominante nel settore pubblico e altrettanto si può dire della richiesta di forti aumenti salariali. Questa contraddizione si è intrecciata con il mutare del quadro politico e sindacale:

  • CISL, UIL e SNALS, che pure avevano firmato il contratto precedente ed accettato il riordino dei cicli, di fronte allo sciopero del 17 febbraio hanno fatto rapidamente marcia indietro lasciando alla CGIL lo sgradevole monopolio del rigore;

  • Il governo, reso prudente anche dalla sconfitta elettorale della primavera del 2000 e pensoso di quelle della primavera 2001, ha cominciato a fare promesse tanto generose quanto menzognere agli insegnanti;

  • Le elezioni di dicembre delle Rappresentanze Sindacali Unitarie nella scuola hanno aumentato la concorrenza fra i diversi soggetti sindacali. Se, dal nostro punto di vista, CGIL, CISL, UIL e SNALS sono quattro espressioni dello stesso modello sindacale, ed abbiamo perfettamente ragione, non di meno le diverse frazioni della burocrazia sindacale sono in concorrenza per centinaia di distacchi e per molte migliaia di ore di permesso, per un bottino la cui spartizione sarà definita dai risultati delle elezioni delle RSU. La concorrenza rende questo bel mondo molto più vivace che in passato;

  • La probabile ascesa della destra al governo rende opportuno, per i sindacati concertativi, prepararsi ad una fase nella quale non avranno più un governo amico. Un'attitudine più vigorosa oggi può essere loro utile per affrontare un governo ostile domani. Naturalmente, è bene tener conto delle straordinarie capacità di transumanza della burocrazia sindacale. Basta pensare ai settori del sindacalismo autonomo, della CISL e della UIL che, nel 1994, stavano passando in quota Polo, e che sono tornati in quota Ulivo o su posizioni neutrali appena il cavaliere azzurro è caduto, per prevedere analoghi fenomeni l'anno prossimo. D'altro canto, la stessa transumanza riesce meglio se ci si può presentare come soggetti forti e conflittuali;

  • Non va dimenticato, inoltre, che il quadro sindacale nella scuola sta cambiando e non poco. La Gilda, infatti, è oggi il quarto sindacato nella scuola avendo scavalcato per numero di iscritti e per radicamento la UIL. Se questo risultato sarà confermato dalle elezioni delle RSU, cosa che ritengo probabile, vi sarà nella scuola un forte sindacato corporativo in quota Polo ma capace di attrarre settori di insegnanti collocati su tutto l'arco dello schieramento politico da AN al PRC come dimostra la presenza di militanti di questo partito in ruoli dirigenti nella Gilda.

La risultante delle mutazioni del quadro sociale e di quello politico sindacale è, appunto, la ripresa da parte di CGIL, CISL,UIL e SNALS della pratica dello sciopero dopo quattordici anni di astinenza per i primi tre e dieci per il quarto. È interessante rilevare come il buon andamento dello sciopero del 9 ottobre, certo favorito da una buona copertura mediatica, dall'appoggio di settori dell'amministrazione, dal fatto di precedere quelli del sindacato alternativo, dimostri, comunque, che il sindacato di base può contare su di un'area che ha delle aspettative se non fiducia nei confronti dei sindacati istituzionali.

Queste aspettative sono per la burocrazia sindacale una risorsa ed un pericolo. Se il governo non si deciderà a concedere qualcosa, infatti, l'apparato dei sindacati maggiori rischia il discredito proprio sul terreno che ne è la forza: la credibilità ed il "realismo".

Dal punto di vista del sindacalismo di base, questa vivacità è, certamente, un problema nuovo. Lo sciopero del 7 dicembre ha visto, per la prima volta, la convergenza. nelle date se non nella piattaforma, di tutto il sindacalismo scolastico. È interessante notare che l'adesione è stata notevolissima ma che le manifestazioni di piazza sono state di dimensioni rispettabili ma non oceaniche. Sembra esservi, in altri termini, una sorta di disincanto: si sciopera, ed è una novità straordinaria in una categoria come quella dei lavoratori della scuola, ma non si pratica la piazza come luogo di visibilità anche, ma non credo principalmente, grazie alla scelta di un giorno adatto ad allungare un ponte e che, a Milano, è di vacanza.

Ora la situazione dovrebbe chiarirsi, il governo farà una nuova offerta che sarà un mix di concessioni, poche, e di promesse, molte e legate alla sua vittoria alle elezioni. I sindacati istituzionali dovranno scegliere se accettare o forzare la situazione ed è ipotizzabile che faranno la prima scelta. Il sindacalismo di base sarà posto in una situazione nuova perché dovrà denunciare i limiti dell'accordo ma anche valorizzare il nuovo protagonismo dei lavoratori della scuola. Una scommessa interessante.

Ogni, anche parziale, rottura della concertazione andrà, comunque, utilizzata per allargare lo scontro al resto del pubblico impiego ed al settore privato. Si tratta, insomma, di concentrare le forze e di colpire la dove appaiono già ora delle crepe, un compito difficile ma non impossibile da realizzarsi.

Cosimo Scarinzi



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