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Da "Umanità Nova" n.41 del 17 dicembre 2000

Edgardo Sogno
Testamento di un golpista

"Sorella morte lasciami il tempo, di terminare il mio testamento.
Lasciami il tempo di salutare, di riverire, di ringraziare, tutti gli artefici del girotondo intorno al letto di un moribondo."
F. De Andrè, Il testamento

Il libro si intitola "Testamento di un anti-comunista", edito da Mondadori naturalmente. Il testimone del racconto è Aldo Cazzullo, giornalista della Stampa di Torino. A parlare, negli ultimi mesi di una vita intensa e in certo modo vissuta pericolosamente, è Edgardo Sogno, del quale abbiamo già scritto e detto sulle pagine di Umanità Nova.

Si tratta di un testamento politico su cui vale la pena di riflettere, indipendentemente dalle verità o bugie in esso contenute. Perché è davvero della storia dell'Italia del Novecento che Sogno traccia una robusta ricostruzione. O meglio ancora di alcuni specifici italiani, a pensarci bene: quelli al comando.

Non poteva, credo, esserci momento più opportuno per la pubblicazione di un pamphlet destinato a riassumere in 168 pagine, la summa della dottrina anti-comunista, anti-sovversiva e anti-libertaria. Poco male per l'anti-comunismo, dirà qualcuno. Del resto, le contraddizioni rilevate da Sogno sui comunisti del Partito, sulla nomenclatura dirigente e sull'ideologia togliattiana arroccata a difesa di un labile compromesso tra nostalgie staliniste e pragmatismo italiano tutto intriso di senso comune ed opportunismo politico, non sono una novità per chi è abituato da tempo a pensare che con la sinistra, alla fine dei giochi, il PCI abbia avuto poco a che fare, se non ai margini estremi della base del partito costretta a scontrarsi con la realtà del quotidiano.

In realtà nei ricordi dell'ambasciatore più famoso d'Italia si congelano pezzi di storia locale e nazionale che descrivono quasi stridendo fra loro le composite vicende di una democrazia nata ampiamente corrotta, o forse mai nata. In questo limbo delle virtù militari ed eroiche, che fanno di Sogno il caposaldo della vulgata aristocratica e filo-monarchica di cui è intrisa più di una generazione, la democrazia è stata a lungo covata tutt'al più come formula di compromesso tra un regime incapace di tutelare l'economia di mercato e il collasso di un apparato burocratico troppo rigido e, negli ultimi anni di vita del fascismo, attonito di fronte alle scelte suicide di Mussolini.

Infatti, il problema del combattente Sogno, combattente per la libertà, come ripete parecchie volte nella lunga intervista a Cazzullo, sono più i nazisti invasori che non i fascisti con i quali aveva convissuto fino ad allora. Questo leit-motiv della cultura politica italiana appartiene a molti dei personaggi che hanno avuto, ed hanno ancora nonostante l'ormai avanzata età per alcuni, un ruolo nella gestione della famigerata cosa pubblica. È lo stesso Sogno, infatti, ad ammettere che al Corriere Lombardo, giornale da lui fondato e diretto per alcuni anni trovarono accoglienza anche i giornalisti all'epoca sostenitori della repubblica di Salò. Non esattamente fascisti, dunque, ma ben disposti ad assumere il peso storico della sconfitta che i repubblichini attribuirono alla mancanza di spirito di sacrificio da parte di molti dei camerati della prima ora. La patria, concetto intorno al quale Sogno stesso ci lascia alcune illuminanti considerazioni, diventa uno dei valori a cui ci si deve per forza riferire se non si vuol perdere il senso della propria attività politica. Combattenti per la libertà in difesa delle tradizioni, di una non ben definita società democratica, ancorché assolutamente inserita nel mercato capitalista - cioè libero, così ne almeno parla Sogno, contro ad ogni totalitarismo: è questa la ricetta di un vecchio ufficiale di cavalleria, reggimento Nizza per essere precisi, disposto a correre in difesa delle istituzioni costantemente minacciate dalla canea rossa. Quella stessa canea con cui si era potuta fare la Resistenza, senza accorgersi del pericolo che covava tra le scompaginate milizie filo-staliniste.

Resistenza contro chi o a favore di chi, vien fatto tuttavia di chiedersi, visto che durante la guerra di Spagna il giovane rampollo della nobiltà torinese era accorso a combattere contro i repubblicani? Non è ben chiara questa avversione al fascismo mediata da un appoggio incondizionato all'esercito del dittatore Francisco Franco, che dopotutto tentava di rovesciare un governo eletto con libere votazioni democratiche. Si trattò, semplicemente, di "...una forma di rivincita. Nel '37 diedi il concorso per entrare in diplomazia. Avevo studiato molto, ero stato tra i primi agli scritti. Poi presi il morbillo che mi distrusse. Andai male agli orali, fui dichiarato idoneo ma non ammesso in carriera. Una sconfitta terribile. [...] Pensai di uscirne dando uno scossone alla mia vita. Andare in guerra - Giaime Pintor lo spiega bene - è un'esperienza quasi necessaria per un giovane che voglia provare a se stesso quel che è in grado di fare; una situazione eccezionale, negata dalla vita normale, dove dar prova di destrezza, di coraggio." Dalla parte dei nazi-fascisti, comunque vada. Al di là di ogni commento possibile, la testimonianza di Sogno vale lo sforzo di aver letto il libro. Proprio per la descrizione compiutamente reazionaria di avvenimenti di cui si discute molto poco e che sono diventati appannaggio, negli anni, di una ristretta élite di specialisti. Mi riferisco, nello specifico, anche ad alcuni esperti del Partito Comunista, con annessi e connessi, che hanno saputo e voluto raccontare la Resistenza a modo loro. Gli esempi da proporre all'attenzione sono moltissimi, ma credo che la messa al bando dalla storia di quei due anni di guerra civile, delle formazioni anarchiche che pure hanno ampiamente dato il loro contributo di sangue per la liberazione dalla dittatura, sia la prova del nove per ciò che riguarda certa compiacente storiografia d'apparato.

Meno emarginata la resistenza cosiddetta bianca, nonostante Sogno si faccia in quattro per rivendicare il ruolo di un gruppo, a detta sua, di esclusi dalle celebrazioni ufficiali. Non è andata così: l'idea di un necessario compromesso, una volta cessate le ostilità, con i settori della destra reazionaria, giacchè di questo dobbiamo parlare, era ben chiara nella dirigenza comunista; né si sarebbe potuto pensare diversamente, visto l'apporto degli Alleati ad una vicenda che avrebbe preluso alla costituzione di un governo sotto l'egida atlantica.

La carriera dell'ambasciatore Sogno e l'operosità con la quale, durante la sua permanenza in Italia, attivò reti clandestine piuttosto che gruppi di irriducibili disposti ad usare ogni mezzo necessario per eliminare avversari scomodi, stanno a dimostrare esattamente il contrario di quanto si fa passare per verità. Le collusioni e la stretta dipendenza di Sogno dalle istituzioni nate dalla Costituente, un patto tra borghesi non ce lo dimentichiamo, quindi dallo Stato repubblicano, faranno sì che il diplomatico golpista possa contare sull'appoggio dell'intero stato maggiore dell'esercito negli anni del tentato colpo di Stato.

"Si trattava di un'operazione politica e militare, largamente rappresentativa sul piano politico, e della massima efficienza sul piano militare.

Nell'esecutivo che avrebbe dovuto essere guidato da Pacciardi, erano autorevolmente rappresentate tutte le forze politiche, ad eccezione dei comunisti, con personalità liberali, repubblicane, cattoliche, socialiste, ex fasciste ed ex comuniste. [...] Le dirò i principali reparti pronti ad operare, con i loro comandanti, che avevo tutti contattati personalmente.

La Regione Militare Sud, il comandante; la Regione Militare centrale, il vicecomandante e il capo di Stato maggiore; l'Arma dei carabinieri, il vicecomandante; La Divisione carabinieri Pastrengo, il comandante; la Legione carabinieri di Roma, il comandante; la Brigata paracadutisti a Livorno, il comandante; la Divisione folgore, il comandante; la Marina, il capo di Stato maggiore generale; l'Aeronautica, il capo di Stato maggiore generale; la Guardia di Finanza, il generale comandante; la Scuola di Guerra, il generale comandante."

E tutto per sottrarre lo Stato alla "morsa mortale del clerico-marxismo". Categoria nuova, se volete, dell'analisi politica per ciò che concerne l'Italia, e tuttavia efficace nel disegnare il nemico interno, secondo quanto ci lascia a futura memoria il conte Rata del Vallino. "Occorreva in sostanza un fatto compiuto al vertice che riportasse il Paese alla visione risorgimentale, in una triplice alleanza di laici occidentali, come Pacciardi, di cattolici liberali, come Cossiga, e di socialisti antimarxisti, come Craxi."

Previsioni in parte azzeccate fin dal 1974, almeno per quello che riguarda Cossiga, addirittura presidente della Repubblica e Craxi, incontrastato padrone degli anni '80 italiani. Questa doveva essere, a grandi linee, la democrazia totalitaria propugnata da Edgardo Sogno e finanziata dall'establishment industriale di casa nostra in concorso con i dollari americani.

Poco importava del resto; di qualunque cosa si fosse trattato. "Il 12 dicembre del '69 ero a Milano, all'hotel Principe di Savoia. Ricordo bene che sentii le sirene delle ambulanze . Chiesi al portiere quel che succedeva e lui mi rispose: 'Dev'essere scoppiata la caldaia di una banca del centro'. Ma non credo alla tesi della strage di Stato. Sto a quel che mi disse Ascari, che era anche avvocato della famiglia Calabresi: la bomba era degli anarchici, che però pensavano sarebbe esplosa nella banca deserta; e Pinelli si sarebbe suicidato perché messo di fronte alla prospettiva dell'ergastolo." Così vi basta?

Mario Coglitore



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