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Da "Umanità Nova" n.41 del 17 dicembre 2000
Cronaca da Ventimiglia
Un treno di indesiderati
Con un gruppetto di amici decidiamo di andare a Nizza col treno dei Giovani
Comunisti che passa per Pisa nella notte fra il 5 e il 6 dicembre: costa
relativamente poco e ce la facciamo a salire tutti. Per prenderlo sarà
necessario saltare qualche ora di sonno, ma vedremo di rifarci riposando in
viaggio. L'occasione non ci viene negata, infatti il treno parte alle 6 del
mattino ma ogni tanto (forse in preda alla stanchezza?) stenta ad andare
avanti, sosta qua e là. A Genova carica folti gruppi provenienti da
Milano e dal mitico Nord-Est: in tutto saremo quasi duemila. Finalmente, alle 2
del pomeriggio passate, facciamo il trionfale ingresso nella stazione di
Ventimiglia: di tragitto manca poco più di mezz'ora a Nizza, e forse si
è in tempo a prendere la manifestazione per la coda.
Invece no: da lì il treno non accenna a muoversi, la stazione è
già invasa da numerosi tutori dell'ordine armati fino ai denti. Si
scende dal treno, il traffico ferroviario è bloccato, vi sono minuti e
ore di nervosismo. Ogni tanto corrono voci contraddittorie, nessuno sa bene
cosa fare.
Dopo l'imbrunire alcuni decidono di proseguire a piedi verso il confine, che si
dice dista poco meno di due chilometri e se non altro per uscire da quello
stupido impasse la maggior parte dei passeggeri si carica zaini e sacchi a pelo
sulle spalle e si accoda al corteo.
Si oltrepassa un primo casello dell'autostrada in un avvallamento, e
proseguendo verso la Francia su viadotti si sale fino quasi ad imboccare il
tunnel, fermandoci di fianco agli uffici doganali. Ormai è notte, il
freddo e soprattutto l'umidità cominciano a farsi sentire. Ci accoglie
uno schieramento di angeli custodi in divisa, alcune centinaia, che in sostanza
impediscono il traffico anche sulle corsie che non occupiamo noi. Le
immancabili Tute Bianche, abbozzano uno schieramento antiurto: sono infagottati
come giocatori di rugby, caschi da moto o da cantiere e scudi di plastica,
pezzi di copertone sugli avambracci; qualcuno frappone gli spartitraffico di
plastica fra i due schieramenti, ma la situazione non è delle migliori.
A gruppi e gruppetti si parlotta, ogni tanto qualcuno passa con un megafono ma
raramente si capisce cosa stia dicendo.
Intanto fra noi ed il tunnel si sono andati accumulando uomini in divisa,
sempre più numerosi: dal nostro punto di osservazione riusciamo a vedere
5 falangi schierate per tutta la larghezza dei viadotti, forse dietro ce ne
sono altri, sicuramente oltre il tunnel vi sono dei rinforzi di parte francese.
Proviamo a contarli, ma dovrebbero essere in numero superiore al nostro, ed
armati di tutto punto. Soprattutto ciò che si fa più sentire
è la mancanza di una decisione collettiva o di un programma discusso ed
approvato. Vedo accanto a noi dei gruppi di giovanissimi/e sui cui volti
è facile leggere che si trovano in una situazione del tutto imprevista,
per la quale non sono minimamente preparati.
Comincia a far freddo davvero, l'umido arriva alle ossa, non ci si può
sedere a terra perché si va a mollo. Nessuno sembra convinto di volersi
avviare verso il tunnel, per cosa fare poi? Attraversarlo di corsa in una
pioggia di lacrimogeni? Le ore passano e osservando bene ci si può
rendere conto dal baluginare ritmico di scudi e caschi che gli schieramenti di
fronte non sono affatto fermi ma in maniera quasi impercettibile si avvicinano.
Qualcuno da un megafono annuncia che a Nizza la stazione è stata
occupata in solidarietà con noi. Il clima di tensione è tale che
un fotografo in cerca di immagini piccanti rischia un brutto quarto d'ora.
Siamo qui da circa quattro ore, finalmente ci si avvia per tornare al treno.
Alla stazione, una volta zeppi gli scompartimenti, molti cercano riparo nelle
sale d'aspetto. Ma a quanto pare "non si può" ed allora assistiamo al
manifestarsi della magnanimità delle autorità preposte a
sorvegliarci: un secondo treno viene messo a disposizione per i senza tetto,
roba da scoppiare a piangere dalla commozione!
Nel limbo dell'impotenza di proseguire, o di tornare indietro o anche solo
muoversi, verso le dieci del mattino del 7 si compone di nuovo il corteo, che
va verso l'edificio dell'Ambasciata (o consolato? o legazione?) francese, che
dista 150 metri dalla stazione. L'ingresso è presidiato dalla forza e
davanti si schierano i rugbisti, a tiro di sputo. Tre, due uno: il gioco delle
parti è pronto e non tarda a partire la prima manganellata, che vista da
qualche metro più in là sembra scatenare un effetto xilofono: in
una coreografia quasi perfetta dopo il primo manganello di alza quello che gli
sta a fianco, poi un altro, due, tre, trenta che si alzano e si abbassano sulla
barriera degli imbottiti. Dai piani alti i primi lacrimogeni vengono sparati
oltre il corteo, per chiudere una delle possibili vie di fuga mentre il blocco
dell'altra era stato annunciato dall'immancabile "ni-no, ni-no" alle nostre
spalle in anticipo sulla prima manganellata.
Evidentemente hanno ordine di darci una lezione ma non di massacrarci, salvo
qualche focoso o inebriato dall'odore del sangue a cui inevitabilmente scappa
un po' la mano: non intervengono le camionette e sebbene numerosi candelotti
sono sparati ad altezza d'uomo ad essi non segue la caccia all'uomo: non si
è saputo di arresti. In fondo, siamo bravi ragazzi, fra qualche anno,
giusto il tempo di farsi le ossa ed alcuni fra quelli che sono fra noi
succederanno a chi c'è oggi ai posti di comando.
A molti viene in mente che si tratti più che altro di una penosa
messinscena per "bucare il muro dei media", arrivare ai telegiornali.
Il ritorno al treno ed il rientro non danno occasione ad altre cronache, se non
l'interminabile noia.
Uno che c'era
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