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Da "Umanità Nova" n.01 del 14 gennaio 2001
Esercito dell'UE
Caserme d'Europa
Se il pianeta Terra è divenuto il naturale
dispiegarsi dei conflitti dello scorso secolo, il nuovo contenitore militare
sarà sicuramente occupato dall'Europa politica e monetaria. È di
recente acquisizione (Bruxelles, dicembre 2000) la costituzione formale di un
esercito Europeo, che avrà perlopiù compiti di ingerenza locale,
sul modello del Kosovo, senza però avere una reale autonomia nei
confronti dell'Alleanza Atlantica (NATO), a cui sarà subordinato per
quanto concerne la difesa dell'Europa da minacce esterne. Il nuovo esercito
Europeo nasce, insomma, come compromesso, al momento possibile, tra il "fiero"
nazionalismo franco-germanico e la cosiddetta "vocazione atlantica" degli
anglosassoni. "Dal punto di vista numerico i paesi dell'unione hanno messo a
disposizione della nuova struttura militare quasi 120.000 uomini dai quali
dovranno essere selezionati, secondo le necessità operative, i 60.000
che saranno chiamati in teatro operativo. Ovviamente i grandi, Francia, Gran
Bretagna e Germania si sono impegnati a far risaltare il loro ruolo guida nel
futuro corpo che sarà operativo dal 2003, mettendo a disposizione
rispettivamente 20.000, 19.000 e 17.000 uomini più 80 - 100 aerei ed una
trentina di navi. Numeri impressionanti sono stati forniti anche dall'Italia
che, per numero di uomini, è seconda solo alla Francia con 19.800
effettivi, ai quali si aggiungono 47 velivoli dell'Aeronautica e 19 navi
(inclusa la portaerei Garibaldi), un reggimento Fanti di Marina e 22 aerei ed
elicotteri della Marina"[1] L'Italia,
abbandonate le vesti cattoliche e pacifiste, che l'avevano forgiata
tendenzialmente non-interventista e comprimaria dell'imperialismo
anglo-americano, si vede, ad oggi, in primo piano nella conduzione in proprio
di un ruolo imperiale attivo e non subalterno nello scacchiere Europeo e
mondiale, con interessi e specificità da difendere che la localizzazione
mediterranea le permettono: dai nuovi protettorati in Albania ed in Eritrea[2], agli interventi di ricostruzione
nelle zone disastrate dalle guerre (Bosnia, Kossovo, Jugoslavia, Eritrea...).
alle lucrose commesse nella produzione e nello smercio di armi. La "fortezza
Europa", da una bella metafora di Bauman[3], "si trasformerà in una sorta
di commissariato di polizia con funzioni di ordine pubblico interno ed
internazionale, necessario a mandare avanti gli affari." Gli affari, manco a
dirlo, sono quelli legati all'obiettivo di trasformare il settore a produzione
militare e duale nel cardine della strategia industriale complessiva del paese
tramite l'adozione ed il continuo rifinanziamento di leggi per la
ristrutturazione del comparto, per i progetti aerospaziali, per le tecnologie
di punta e per i programmi di acquisizione legati alla partecipazione a
consorzi transnazionali come l'EFA. Siamo soltanto agli inizi di quella che
sarà un'escalation al riarmamento generalizzato del suolo europeo, dove
i governi socialisti o social-comunisti attualmente spendono, sempre per la
nostra sicurezza, sia chiaro, le seguenti cifre: Italia: lire 34.000 miliardi
(Finanziaria 2001), Germania: 45.000 miliardi (2000), Francia: 51.000 miliardi
(2000), Inghilterra: 71.000 miliardi. I soli quattro maggiori paesi aderenti
all'UEO spendono grosso modo 200.000 miliardi annui in strumenti di morte e se
ad essi dovessimo aggiungere gli altri 11 paesi attualmente aderenti all'Unione
Europea non saremmo lontani dagli oltre 400.000 miliardi annui in armi, tenuto
conto che Spagna, Portogallo e, soprattutto la Grecia, sono prodighi nel
rifornimento di materiali e confort bellici ai propri eserciti nazionali.
Ci rendiamo conto o no che la spesa complessiva annua in armamenti e per la
gestione dell'Esercito di ogni stato europeo eguaglia o supera abbondantemente
una tranquilla manovra di bilancio pre o post elettorale?
Pietro Stara
Note
[1] Gianandrea Gaiani, "Il sogno della difesa europea e la dura realtà del bilancio", in Analisi Difesa, numero 10, dicembre 2000
[2]
Ha preso il via nel dicembre '00, con una importante presenza italiana, la missione ONU lungo il confine tra Eritrea ed Etiopia, che vedrà impegnati oltre 4000 caschi blu e 220 osservatori militari.
[3] Zygmunt Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma-Bari, 1999.
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