Da "Umanità Nova" n.01 del 14 gennaio 2001
Le tute bianche e le bombe che piacciono a Bianco
La politica dello spettacolo
Lo spettacolo è l'ideologia per eccellenza, perchè espone e
manifesta nella sua pienezza l'essenza di ogni sistema ideologico:
l'impoverimento, l'asservimento e la negazione della vita reale. (G. Debord, La società dello spettacolo)
Paradossalmente, a ben guardare, vi è una logica speculare -anche se
capovolta- dietro le spettacolari "forzature" di piazza delle Tute Bianche e
l'altrettanto spettacolare bomba inesplosa sul Duomo di Milano, rivendicata da
una sigla anarco-insurrezionalista: la logica dell'azione che per obiettivo ha
la pubblicità sui media.
Di entrambe le "parti" si conoscono pratiche e teorie, apparentemente separate
da distanze abissali e contrapposte una all'altra, ma dietro le apparenze si
intravede la stessa subalternità all'informazione ufficiale e la stessa
illusione di poter servirsene per comunicare la propria contrarietà al
potere costituito.
Le Tute Bianche da parte loro, non vedendo o non riconoscendo più il
conflitto che attraversa la società e contrappone le classi, sono ormai
diventate autentici professionisti della rappresentazione scenica del
conflitto. Il copione è noto: "mettere in gioco i propri corpi",
predisponendo la scena in cui la "disobbedienza della società civile"
sarà repressa dalle forze di polizia, sotto le telecamere e i flash dei
media; da qui la necessità di dotarsi di un costume adatto alla
circostanza, di strumenti protettivi da stunt-men e di una sapiente regia in
grado di dirigere, pianificare e mantenere i rapporti con la stampa.
Lo scontro, largamente preannunciato e pubblicizzato, diviene quindi il mezzo
per "essere visibili" e una volta raggiunto questo obiettivo tende ad
esaurirsi, a meno che qualcuno -fuori copione- abbia preso le cose sul serio e
continui ad improvvisare, credendo che l'obiettivo dello scontro fosse
veramente far scappare i partecipanti ad un vertice dei potenti, distruggere
una struttura del dominio o rompere la testa ai nazisti.
Senza voler entrare nel merito dei retroscena politici di questo tipo di
impostazione, quanti credono in buona fede che la cosiddetta disobbedienza
civile "può essere, oggi, la forma più radicale e lo strumento
più efficace (...) per mettere in discussione ciò che da sempre
è la stessa fonte ed origine del potere, l'obbligo di ubbidire"
dovrebbero interrogarsi sulla reale valenza "sovversiva" che può avere
una pratica politica che diventa spettacolo e che comunque rimane prigioniera
del meccanismo legalità-illegalità stabilito e regolato dal
potere stesso.
Giustamente, qualche tempo fa, alcuni compagni osservavano che il giorno in cui
Eva colse la mitica mela non nacque il fiore della disobbedienza ma la
trasgressione pianificata e prevista dal potere superiore.
Per quanto riguarda invece l'ordigno di Milano finalizzato, sia che fosse
destinato ad esplodere oppure no, a rivendicare la libertà di alcuni
prigionieri politici in Spagna, non si può non cogliere un'analoga
dipendenza nei confronti dell'apparato massmediatico che subito si è
famelicamente gettato sul "fatto", suggerendo ai politici istituzionali
complotti e criminalizzazioni, mentre sul piano della comunicazione sociale
è rimasto del tutto incomprensibile ed incompreso, anche perchè
la memoria collettiva relativa al terrorismo di Stato suggerisce ben altri
collegamenti.
Intelligentemente, oltre un ventennio fa, i compagni di "Insurrezione"
affermavano: "Che cos'è un attentato? Può essere sabotaggio (se
praticato dai produttori è uno dei sintomi che annunciano la
prossimità dell'insurrezione) o sbrecciatura di un muro. Una
sbrecciatura è una sbrecciatura. Ma nello scenario dello spettacolo
politico una sbrecciatura diventa linguaggio in codice, una comunicazione per
simboli. Può voler dire: non ci va, siamo incazzati, vogliamo farvi
paura; ma lo dice con un simbolo che colpisce un simbolo dell'alienazione. Per
di più, deve anche essere interpretato!".
Così ancora una volta, sia da una parte che dall'altra, si assiste al
riproporsi dell'illusione per cui il "terreno dell'illegalità" (sia
nella versione Tuta Bianca che in quella bombarola) non sia recuperabile dal
potere, mentre invece più la "violenza" è spettacolare e
più banalizza le infinite violenze che ognuno subisce nella
quotidianità, disarmando gli sfruttati della capacità di
riconoscere a sé stessi la volontà e la possibilità di
agire, attraverso l'autorganizzazione di classe e l'azione diretta.
Sandra K.
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