unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.02 del 21 gennaio 2001

Il dominio ed il terrore

Qualche riflessione sull'effetto-annuncio di fantomatici attentati terroristici del fondamentalismo islamico sul suolo italiano ai danni degli Usa ha il pregio di articolarsi su concatenazioni di dati logici, e non su fatti concreti che sfuggono alla comprensione dei non addetti ai lavori.

Che il terrorismo sia una delle poche e classiche armi contro l'arroganza yankee nel mondo globalizzato a forza sulla punta delle armi chimiche e nucleari, è un dato, al di là del ruolo chiave di Osama bin Laden (ma ieri c'era Carlos a svolgere quella parte...); tuttavia occorre ricordare che Osama, e con lui tutta l'ondata del fondamentalismo islamico di fede sunnita, è figlio degli Usa, ai tempi della controguerra in Afganistan, e del fedele alleato Arabia Saudita. Certamente qualcuno sarà sfuggito al controllo degli Usa, certamente una macchina militare funziona autonomamente e si alimenta di flussi finanziari ingenti che già tagliano il terrorismo fondamentalista dal poter essere annoverato come una strategia "antimperialista" di base. Tutt'altro. Però sembra che il terreno di azione della "guerra santa" islamica (Jihad) faccia pendant con il terrorismo statuale tipico della superpotenza, con il piccolo handicap, per quest'ultima, che formalmente essa ha bisogno di una qualche legittimazione pubblica per svolgere in "santa pace" le proprie perversioni politiche (militari) ed economiche (commercio protetto).

Bush, il neopresidente eletto (...dalla Corte Suprema, come malignano molti in patria...), parte con un handicap straordinario di legittimazione: è il primo presidente eletto da una sentenza della magistratura, è il primo presidente eletto con una minoranza di voti reali. Solitamente, chi ha l'onere di recuperare simbolicamente un deficit di legittimità deve portare avanti una politica dei primi cento giorni altamente significativa e ricompattante una nazione spaccata. Clinton sta facendo di tutto per servirgli su un piatto d'argento un compromesso in Medio Oriente, ma Bush dovrà inventarsi qualcosa da solo. Una guerra sarebbe l'ideale, un qualche risultato nei Balcani (l'arresto di Karadzic, Mladic e/o Milosevic sarebbe un tris perfetto), ma la stupidità congenita dei servizi forse gli ha già preparato un allarme pubblico da alimentare con qualche stragetta da qualche parte per riconciliare il popolo americano con il suo presidente dimezzato.

L'Italia oggi non dovrebbe essere un palcoscenico ideale perché non siamo negli anni della strategia della tensione. A meno che, questa volta, non siano interessi nostrani a invocarla come carta vincente in una campagna elettorale dai toni alti, in cui il centrosinistra spera che di Previti ne spuntano un giorno sì e l'altro pure, mentre Berlusconi già pensa alla successiva legislatura del 2006 quando, dopo essersi firmato il decreto di concessione delle frequenze televisive di competenza del premier, ci saranno politiche e presidenziali da giocarsi con D'Alema, fedele alter ego del cavaliere.

Bombe e bombette stanno reinquinando il panorama politico italiano, distogliendo l'attenzione dalle bugie del governo italiano sull'uranio impoverito, dalle bugie del governo italiano sul permesso accordato al governo francese per bloccare a Ventimiglia il treno di Ya Basta diretto a Nizza, estendendo di fatto le clausole del trattato di Schengen anche ai comunitari indesiderati (come ai tempi del duce, quando si neutralizzava per qualche giorno gli oppositori del sistema incarcerandoli alla vigilia di una qualche visita di Mussolini e scarcerandoli qualche ora dopo). E già si avverte l'odore di uno scenario terroristico di intimidazione per le manovre Nato (o Usa?) sui cieli di Ustica guarda caso negli stessi giorni del vertice Onu contro la criminalità transnazionale - ogni riferimento alla Nato è involontario...

Non dico che le manovre le abbiano fatte per dissuadere il popolo siciliano di Seattle a sfilare e riflettere e occupare spazi sociali a Palermo in quegli stessi giorni, ma indubbiamente l'effetto complessivo, dal 12 dicembre alla bomba al Manifesto, passando per il petardo al duomo di Milano, è tale da fare presagire la versione italiana di una strategia planetaria che di volta in volta si registra nei luoghi di contromanifestazioni: quella di costringere il movimento di opposizione alla globalizzazione su un terreno infido - perché saturo di infiltrati, doppiogiochisti, agenti prezzolati, fanatici integralisti di ogni risma - tipico di una contrapposizione sul piano della mera forza, sulla quale si è già perdenti visto il gap tecnologico-militare (non occorre essere in Palestina per accorgersene).

Certo, rompere una vetrina o incendiare una filiale di banca o sbrecciare un pinnacolo di una chiesa non è violenza paragonabile all'affamamento di intere popolazioni, alla manipolazione della catena alimentare, al terrore della leucemia provocata dai bombardamenti (di cui si parla perché colpisce militari dei "nostri", non le popolazioni civili dei "loro"), ma la regia mediatica non conosce distinzioni così sottili dato che ha già ingrassato l'immaginario pubblico di violenza virtuale in cui resta indistinguibile il limite di ferocia tra un programma di Italia 1, per esempio, e la realtà di un omicidio gratuito (espressione ridondante).

In altri termini, la strategia della tensione torna in auge e fa da modello a Nizza e a Praga con mezzi diversi, in Italia quasi quasi sono i "comunisti" al governo che la rispolverano per vincere una competizione elettorale che li potrebbe buttare fuori dalle stanze del potere per i prossimi dieci anni, mentre gli Usa si preparano ad una contestazione sabato 20 gennaio in occasione dell'insediamento di Bush jr. da cui ripartire per seminare il terrore di sempre nei quattro angoli del pianeta. Non avendo la forza per contrastarli sul loro terreno preferito di gioco (sempre sporo), l'intelligenza dei popoli di Seattle sarebbe quella di eludere quella sfida diretta per aggirarla con sapienza creativa e ironica mentre lavora sul serio per saldare una opposizione del nord del pianeta con i mille rivoli fragili della disperazione del sud per tramutarla in alleanza forte e radicata nella stragrande maggioranza della popolazione, controaccerchiando le minoranze armate e ricche, fino ad arrivare a medio-lungo termine al rendiconto finale in posizioni di reale supremazia con qualche possibilità di vittoria, insomma, non solo con le speranze nel cuore.

Salvo Vaccaro



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