Da "Umanità Nova" n.02 del 21 gennaio 2001
L'affondamento dell'Erika un anno dopo
Un mare di veleni e di bugie
Il 12 dicembre del 1999 al largo delle coste di Brest in Bretagna, affondava la
nave cisterna Erika provocando una catastrofe ecologica. La petroliera
trasportava un carico di combustibile altamente tossico che sarebbe dovuto
giungere dapprima al porto di Livorno quindi trasferito alla centrale Enel di
Piombino. La gravità dell'accaduto venne subito rimarcata dagli organi
di informazione internazionale e anche in Italia per qualche giorno l'eco del
disastro ambientale occupò un discreto spazio nella stampa italiana e
locale. Al centro della polemica il RINA, il registro navale italiano che aveva
permesso all'imbarcazione con bandiera maltese di poter continuare i suoi
traffici nonostante l'imbarcazione era da tutti considerata facente parte
dell'enorme flotta delle cosiddette "carrette del mare". Numerose e pesanti
vennero elencate le responsabilità da parte dei vari soggetti che
alimentano questi sporchi traffici con indifferenza per qualsiasi rispetto per
gli uomini ad iniziare dagli stessi disastrati equipaggi, e per le conseguenze
sull'ambiente di possibili incidenti tutt'altro che improbabili.
Responsabilità pesanti quindi per tutti i soggetti che a vario titolo
hanno avuto a che fare con la petroliera Erika. L'armatore, il committente, la
Total-Fina, il comandante, i servizi di soccorso nelle fasi calde
dell'incidente, ma anche i registri navali, i laboratori di analisi i e gli
organismi di controllo, tutela e bonifica successivamente.
Il movimento di protesta in Francia ... e in Italia
L'incidente dell'Erika ha provocato in Francia una grande protesta, enorme se
rapportata ad un tema di carattere ambientale: sono state organizzate numerose
e affollate manifestazioni pubbliche costituendo un movimento di base che
ancora sopravvive, fatto di diversi comitati sorti nelle aree interessate
dall'inquinamento del carico dell'Erika.
Ad un anno dall'incidente nel dicembre scorso varie sono state le iniziative
organizzate in Francia dai comitati per mantenere alta l'attenzione nei
confronti delle operazioni di bonifica, di risarcimento e soprattutto
nell'identificazione certa delle responsabilità.
Interventi pubblici su reti televisive, incontri con giornalisti e dibattiti
pubblici. Recentemente una delegazione del Collectif de St. Nazaire era
presente anche al summit europeo di Nizza, nella consapevolezza che
quanto accaduto in Bretagna trae linfa venefica dalla globalizzazione
dell'economia e quindi anche dai traffici leciti o illeciti di rifiuti e
materiali tossici per il mondo.
In Italia dopo pochi giorni dall'affondamento era già scemato
l'interesse sul caso Erika secondo una logica che si ostina a resistere nella
superficialità dell'approccio alle tematiche ambientali oltreché
nel falsamente candido e rassegnato pensiero globalizzante: la logica del
meglio da loro che da noi.
Un grande malinteso che in Italia ha trovato molti impreparati e silenziosi,
non ha permesso di fare piena luce, grazie anche al rimpallo di
responsabilità e all'omissione di dati certi, sul perché quel
venefico carico era destinato alle nostre coste. Facile era immaginare cosa
sarebbe successo se un incidente simile fosse accaduto al largo della riviera
ligure o sulla costa livornese, davanti al golfo di Napoli o nello stretto di
Messina. Le conseguenze tremende sarebbero state drammaticamente simili a
quelle effettivamente vissute dagli abitanti della Bretagna. Ma quesiti ancora
senza una chiara risposta sono il perché un carico di quella natura
viaggiava bellamente per i mari europei e perché era destinato
all'Italia.
La gravità della questione è sempre di attualità e, se
possibile, mette in secondo piano tutte le altre pur nella consapevolezza delle
gravissime negligenze che a vari livelli sono riconducibili a varie strutture
governative di controllo e prevenzione.
Da parte del committente Total-Fina e delle autorità francesi, vi
è stata una iniziale attenta regia tesa a sminuire il peso del disastro
ambientale. Una serie di dichiarazioni e smentite che sono crollate quando
attraverso testimonianze e prove analitiche si è conosciuta la reale
natura del carico identificato non come semplice carburante ma come residuo di
lavorazione del petrolio, tossico e cancerogeno.
Da parte dei collettivi della Bretagna e del governo francese, l'interesse
principale è stato quello di identificare i responsabili del naufragio
avendo buon gioco nel dimostrare l'assoluta precarietà dell'imbarcazione
e le colpevoli autorizzazioni del RINA (il registro navale italiano) accusato
di aver troppo superficialmente passato i controlli tecnici su una "carretta
del mare" come l'Erika. All'ambizione francese di trovare colpevoli che
contribuiscano economicamente alla seppur parziale bonifica di un territorio
compromesso, che vive di pesca e soprattutto di turismo, non vi è stato
riscontro nel versante italiano, luogo di destinazione del medesimo carico, che
avrebbe dovuto con serietà approfondire altre questioni.
Ma cosa bruciano le centrali dell'Enel?
È noto, perché riportato da tutte le testate giornalistiche, che
il cliente finale di tale carico era la centrale termoelettrica dell'ENEL di
Piombino, che avrebbe ricevuto il carico da piccole cisterne provenienti da
Livorno, molo di attracco dell'Erika, se non fosse affondata prima. Ovviamente
l'Enel si è adoperata smentendo subito che a Piombino avrebbe accettato
di ricevere rifiuti tossici al posto di "buon" carburante per alimentare la
centrale. Dunque l'Enel a garanzia della salute pubblica della costa toscana,
dichiarava in un'intervista alla stampa che la procedura prevede il controllo
chimico delle sostanze giunte a Piombino prima dell'immissione nei serbatoi
della centrale. Anche dal porto di Livorno, come riportato da un quotidiano
locale si svolgono dei, non meglio precisati, controlli sulla qualità
delle sostanze trasportate.
Dunque gli ingenui e sprovveduti signori della Total-Fina non avrebbero potuto
ingannare un colosso furbo e prudente come l'Enel, che svolge di prassi tali
controlli, questo perlomeno era la linea ufficiale delle dichiarazioni.
A questo punto l'opinione pubblica è tranquillizzata, i cattivi che
trasportano rifiuti spacciati come carburanti sarebbero stati fermati dai buoni
e dai loro rigorosi controlli. Le ciminiere della centrale Enel di Torre del
Sale avrebbero continuato a diffondere solo i miasmi di normale carburante a
basso e medio contenuto di zolfo e tutte le emissioni perennemente monitorate
dalla potente macchina regionale di controllo dell'Arpat, l'agenzia per
l'ambiente.
In realtà in un articolo de Il Tirreno del 12 febbraio 2000 il direttore
della centrale dell'Enel di Piombino dichiarava che "a Torre del Sale arriva
anche Atz, cioé olio ad alto tenore di zolfo, ma viene miscelato con
olio migliore, rientrando nei limiti consentiti di concentrazione".
Dunque una diluizione di sostanze correntemente da non bruciare con sostanze da
bruciare abbassa la media dello zolfo contenuto e permette alla centrale di
andare avanti.
L'autore dell'articolo si poneva poi un ingenuo dubbio e scrivendo di Erika e
Torre del Sale domandava: "l'inquinamento che deriva da una centrale che brucia
sostanze fuori legge è rilevato dalle centraline di controllo
dell'aria?" "Solo in parte - è stata la risposta dall'Arpat - si
registra il contenuto di biossido di zolfo nelle emissioni per esempio, ma non
si rileva la quantità e la qualità dei metalli presenti nelle
polveri".
Ma se è una prassi diluire a Piombino oli combustibili ad alto tenore di
zolfo con altri di tenore ridotto e se i controlli sulle emissioni non sono
approfonditi, cosa è concesso all'Enel di diluire nell'insieme di
carburanti autorizzati tramite la convenzione con il comune di Piombino?
Il problema sarebbe da porsi anche alla centrale termoelettrica di Livorno:
quale è a Livorno la carica che alimenta la centrale, e quali controlli
vengono eseguiti sulle emissioni se l'agenzia per l'ambiente è la stessa
di Piombino e i rifornimenti per Torre del Sale giungono dapprima nel porto di
Livorno e quindi sono trasportati tramite bettoline verso sud?
Esiste uno strumento normativo internazionale, la convenzione di Basilea, che
regolamenta il trasporto transfrontaliero e il trattamento di rifiuti.
Greepeace nel caso della vicenda Erika ha chiesto di accertare se nei traffici
Total-Fina ed Enel non vi siano violazioni, in altre parole se non vi siano
state spedizioni di rifiuti tossici travestiti da cattivo olio combustibile.
Non si conoscono ancora risposte a questo interrogativo.
È risaputo che con convenzioni e procedure sperimentali, l'Enel sta
usando in alcune altre centrali sparse per la penisola delle sostanze che sono
considerate rifiuti tossici in altri paesi.
Un'aberrazione per cui residui di lavorazione che vengono considerati altamente
inquinanti in paesi del Nord Europa, diventano in Italia cariche per le
centrali, meritevoli oltretutto del premio che va alle energie rinnovabili e
affini.
È il caso ad esempio del TAR (catrame) o dell'Orimulsion (miscela di
acqua e residui bituminosi del petrolio) di cui per legge viene impedito l'uso
ad altre compagnie energetiche straniere, nonostante il prezzo vantaggioso, a
causa dell'inquinamento che ne deriva.
Maggior inquinamento comporta maggiori costi per dotare le centrali delle
necessarie apparecchiature per l'abbattimento dei residui nei fumi e quindi se
si risparmia nell'alimentazione, si deve investire di più
nell'ammodernamento e manutenzione delle centrali. Evidentemente è una
valutazione aziendale dei costi, che vede gli abitanti che vivono nei pressi
delle centrali come inermi oltre che ignoranti (nel senso che a loro non
è concesso sapere) spettatori.
Dunque come per altri siti Enel italiani, a Piombino e Livorno resta il dubbio
di che cosa effettivamente si bruci nelle centrali Enel, dubbio che nasce anche
da queste semplici considerazioni: se le cariche cioè l'alimentazione
delle centrali sono in regola (chi lo verifica?) e le emissioni derivanti dalla
loro combustione sono a norma (chi lo verifica?) perché l'Enel secondo
quanto riportato da Il Tirreno, (domenica 30 gennaio 2000) stava
valutando un investimento di alcune centinaia di miliardi per le due centrali e
mirato per quella di Piombino a un miglioramento ambientale con l'obiettivo di
ridurre la quantità di inquinanti prodotta adesso?
Tratto da un dossier realizzato dalla Federazione Anarchica Livornese
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