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Da "Umanità Nova" n.05 dell'11 febbraio 2001

Revisionismo di "sinistra"
Savoia e calabrache

Sulla morte di Maria José di Savoia, scomparsa con la poco invidiabile qualifica di "ultima regina d'Italia", pensiamo ci sia ben poco da dire: è stata una delle rarissime persone che abbia dimostrato una certa dignità nella storia plurisecolare di una famiglia di cialtroni e puttanieri, e l'unica esponente della casa reale che seppe conservare un po' di coraggio e lucidità in uno dei periodi più bui del nostro paese. Se non altro in riconoscimento di questo merito, possiamo sospendere ogni giudizio, anche se la disgrazia di essere stata la madre di Vittorio Emanuele e la nonna di Emanuele Filiberto...

Piuttosto, ci sembra interessante osservare quali siano state le reazioni suscitate dalla scomparsa dell'anziana signora negli ambienti della sinistra nostrana, entrata in agitazione davanti a questa morte così inopportuna: ma come, proprio adesso doveva andare a morire, a soli due mesi dalle elezioni e nel pieno di una campagna elettorale in salita e piena di colpi bassi?! Non poteva aspettare un altro poco e scegliere un momento più tranquillo, visto che aveva già aspettato 92 anni?

In effetti sembra proprio che Maria José, morendo, abbia voluto giocare un colpo mancino agli eredi di quanti la esiliarono nel lontano 1946. E se ha lasciato nello sconforto per la sua dipartita quanti le furono vicini e l'amarono, ha incupito altrettanto, se non più profondamente, coloro che, per dovere istituzionale, hanno dovuto esprimere le condoglianze ufficiali del governo e dello stato italiano.

La questione istituzionale, monarchia o repubblica, trovò già una definitiva risposta nella volontà espressa dal referendum del 1946, quando il popolo italiano decise irrevocabilmente che la casa Savoia doveva far le valigie. La viltà che aveva contraddistinto il comportamento della monarchia e il disprezzo che ne era seguito anche in ambito internazionale portarono all'esito di quella consultazione. Le conseguenze del voto, ossia l'esilio e il divieto al rientro in Italia, furono misure fin troppo generose per dei mascalzoni che avevano contribuito in modo così determinante a gettare il paese nel lutto e nella miseria. E da allora per lungo tempo la "questione monarchica" è stata solamente un affare rétro che poteva interessare storici, nostalgici e rotocalchi popolari.

Ma poi il clima è cambiato. La prima vittoria della destra otto anni orsono e la marea montante del cosiddetto revisionismo storico, che ha ormai contagiato non solo gli studiosi ma anche gli ambienti della sinistra, hanno vergognosamente riproposto con forza la discussione sulla monarchia e soprattutto sull'ostracismo al rientro in Italia dei maschi Savoia. E da quando gli ambienti postfascisti hanno preso ad agitarsi per far rientrare dalla finestra (attraverso la riscrittura della storia d'Italia e soprattutto del fascismo) ciò che era uscito dalla porta, approfittando appunto delle sorti dei vari Vittori, Emanueli, Umberti e Filiberti, da allora sulle pagine dei giornali e nei corridoi di Montecitorio si è ricominciato a discutere dell'esilio.

Credo che a noi debba interessare ben poco, da un punto di vista "umanitario", se i due rampolli regali tornano o meno sul patrio suolo per fare quegli stessi danni che già stanno facendo in altri lidi: di imbecilli l'Italia è piena e due in più o in meno non farebbero una gran differenza. Quello che invece ci riguarda, indiscutibilmente, è il significato politico che si vuol dare a tutta la questione. Come dicevo, infatti, sulla questione Savoia si sta giocando una partita più grossa, che trascende le vicende personali della famiglia: se si dà per assodato che l'esilio dei regnanti fu l'epilogo di un processo storico iniziato nella resistenza al fascismo e consolidatosi in piazzale Loreto, processo storico all'interno del quale il ruolo del partito comunista fu sostanzialmente preponderante, si capisce come ben altri siano i fini. Da una parte la destra che incalza, sfruttando l'onda lunga del crollo del comunismo reale, e che pertanto cerca una rivincita che fino a pochi anni fa sembrava addirittura impensabile, dall'altra una sinistra assolutamente incapace di ritrovare le ragioni per rivendicare con la forza della ragione la piena legittimità di quanto successe fra il 1943 e il 1946.

E infatti, leggendo le dichiarazioni che si sono succedute in questi giorni "di lutto", i tentennamenti e le calate di brache della sinistra appaiono in tutta la loro sconcertante evidenza. Da Ciampi a Violante, da Mancino a Veltroni per finire ad Amato, pare proprio che nessuna delle alte cariche istituzionali si sia sottratta alla vergogna di "revisionare", chi più chi meno, la storia d'Italia, dando inizio così, sostanzialmente, al processo di riscrittura del dettato costituzionale. Almeno questa volta, fortunatamente, ci sono stati risparmiati i tentennamenti e le scivolate dei comunisti e dei rifondatori i quali, forse perché toccati in prima persona, hanno scelto di riconfermare la condanna antimonarchica che i loro lontani antenati pronunciarono più di mezzo secolo orsono.

Se mai ci fosse ancora da dubitare di quanto la cosiddetta "sinistra" sia diventata subalterna a coloro che era orgogliosamente abituata a guardare dall'alto in basso, basterebbe leggere i giornali di questi giorni. Oggi sembra che la faccenda debba ormai risolversi con un banale giuramento di fedeltà: tu fai finta di essere leale nei confronti della repubblica, io faccio finta di crederti, e i giochi sono fatti. Tutto il resto, la storia, i lutti, le leggi razziali, le guerre coloniali, il sostegno al fascismo, la fuga a Brindisi, e chi più ne ha più ne metta, sono semplici incidenti di percorso. Ma del resto nessuno è perfetto, e poi, chi non ha mai sbagliato scagli la prima pietra... Bene, la solita disordinata corsa per mostrarsi più realisti del re, per raccattare qualche consenso, per dare un ulteriore calcio alla propria storia e soprattutto alla propria dignità. In definitiva, per fare la solita figura di merda.

Che dire? Basterà a rendere meno pesante la prossima sconfitta elettorale?

Massimo Ortalli



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