unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.05 dell'11 febbraio 2001

Legge sulle cooperative
Senza diritti, né tutele
La nuova figura del socio-lavoratore

Il 24 gennaio scorso il Senato ha approvato la nuova legge (numero 3512) in materia di revisione della legislazione cooperativistica, con particolare riferimento alla figura del socio lavoratore.

Vediamo gli elementi principali di questa ennesima contro-riforma legislativa:

Il primo articolo, benché celi apparentemente la configurazione di un duplice rapporto in capo al socio lavoratore, ovvero quello di natura associativa da un lato e quello di lavoro subordinato dall'altro, in realtà riconduce la figura del socio lavoratore ad un orientamento imperniato su di un unico rapporto contrattuale, esclusivamente di natura societaria: ciò significa che il socio-lavoratore è essenzialmente socio (gestione d'impresa, partecipazione ai programmi di sviluppo, formazione del capitale sociale, rischio d'impresa...) e solo nel caso in cui egli/ella stabilisca un rapporto lavorativo di tipo subordinato, potrà godere di alcuni diritti tipici del lavoro dipendente in materia di previdenza, di assicurazione sociale, di rappresentanza sindacale eccetera. Il primo articolo ribadisce infatti che oltre alla possibilità di fissare un rapporto di tipo 'subordinato' la cooperativa d'ora in avanti potrà concordare con i lavoratori e le lavoratrici tutta quella serie di rapporti di lavoro tipici (fino a poco tempo fa espressamente vietati) della società della flessibilità totale: la prestazione occasionale (ritenuta d'acconto), la collaborazione coordinata e continuativa, il ricorso al lavoro interinale, la partita IVA.

Capite bene come in una situazione di riduzione progressiva del diritto del lavoro, a fianco di un nucleo ristretto di lavoratori 'garantiti' da un contratto indecente, fioriranno migliaia di cooperative (a fianco delle migliaia che già proliferano) che utilizzeranno persone con contratti inesistenti, senza versamenti previdenziali e contributivi, per di più senza la possibilità di ricorrere in sede arbitrale o in sede giudiziale per far valere, a posteriori i propri diritti, se non nel caso in cui venga apertamente dimostrato che la forma del rapporto di lavoro non aveva le caratteristiche per essere configurata come prestazione occasionale. Ma per fare questo bisognerebbe primariamente che la lavoratrice o il lavoratore dimostrassero che loro sono stati precedentemente circuiti e che non avessero saputo o non fossero stati volutamente informati sulle condizioni di adesione in qualità di socio. Insomma un bel castello molto complesso da smontare.

Ne conferma questa impostazione anche il ricorso al giudice ordinario o civile: sia nel caso in cui il lavoratore abbia stipulato un accordo lavorativo di tipo subordinato che di tipo autonomo, i riferimenti legislativi dell'articolo 5 comma 4 sono quelli relativi agli articoli 409 numero 3 del codice di procedura civile e degli articoli 806 e seguenti del medesimo codice sull'adozione della procedura arbitrale. In sostanza viene ribadito che se il lavoratore non era a conoscenza di ciò che ha firmato in sede contrattuale sono affari eminentemente suoi. Immaginatevi la competenza giuridica di molte donne e uomini che si rivolgono alle cooperative di ogni genere e sorta soltanto per potere campare, costrette e costretti dal ricatto lavorativo: "se vuoi è così altrimenti cercati un altro lavoro!" D'altra parte si sa che la posizione politica della giurisprudenza civile, al contrario di quella 'progressista' del diritto del lavoro, è totalmente disinteressata alle ragioni dei lavoratori e tende a disbrigare le questioni societarie in termini esclusivamente, appunto, di diritto societario e non del lavoro. Non parliamo poi delle commissioni arbitrali paritetiche, ovvero sindacalisti in pensione o quasi ed industriali in pensione o quasi, gli uni pressoché incompetenti, gli altri pressoché incompetenti, ma entrambi decisamente votati alla causa dei padroni 'cooperatori.'

Ed ora una grande conquista di paglia: l'estensione di alcuni articoli sulla rappresentanza sindacale ai soci-lavoratori (articolo 2). Il sottosegretario al ministero del Lavoro, il comunista italiano, Caron, lo ha sbandierato come grande conquista: peccato che questi signori, come i loro predecessori, non raccontino mai tutta la verità. Dal momento che prevale, infatti, come già detto prima, l'orientamento societario della figura del socio-lavoratore, per quanto riguarda le modalità di esercizio dei diritti sindacali, la norma rinvia ad intese tra le parti sociali, da realizzarsi attraverso contratti o accordi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo (Lega coop, Confcoop...) e le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative (CGIL; CISL;UIL). Tradotto vuol dire che le libertà sindacali delle lavoratrici e dei lavoratori non sono acquisite nel merito di un diritto valido per tutte/i, ma sono in balia della benevola concessione di coloro che hanno firmato i precedenti contratti e spinto perché venisse approvata questa legge così 'innovativa'.

Se volete una ulteriore dimostrazione sulla figura giuridica del nuovo socio-lavoratore, l'articolo 5, comma 1, ne è la miglior prova: vengono confermate, in materia di TFR (liquidazione) le sentenze della Corte Costituzionale, n. 334 del 20 luglio 1995 e n. 30 del 12 febbraio 1996. Con tali sentenze, infatti, La Corte, muovendo dal presupposto che il rapporto del socio- lavoratore con la cooperativa non è riconducibile al lavoro subordinato, aveva escluso tali lavoratori dal trattamento di fine rapporto (liquidazione). Non stupitevi, care lavoratrici e lavoratori, se non vi daranno la liquidazione e non potrete farci nulla.

Un ultima chicca: al fine di promuovere nuova imprenditorialità, o in cooperative di nuova costituzione o in cooperative in crisi, il governo, certificatene le condizioni tramite la Direzione provinciale del lavoro, può consentire che l'assemblea dei soci deliberi la riduzione temporanea dei trattamenti economici. Questo vuol dire che da una parte con commissioni compiacenti, ogni qual volta una cooperativa dichiari lo stato di crisi per aver perso quello o quell'altro appalto, o nel caso in cui una cooperativa od un consorzio di cooperative figlino una serie di nuove realtà imprenditoriali, esse possano ridurre legittimamente al di sotto dei parametri minimi la retribuzione oraria delle lavoratrici e dei lavoratori.

Non c'è che dire, non è volata una sola mosca: centrali cooperative, sindacati, governo, tutti d'accordo, come sempre, tutti d'accordo.

Pietro Stara



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org