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Da "Umanità Nova" n.05 dell'11 febbraio 2001
Umberto Marzocchi
Una vita per l'anarchia
Intervista a Gigi Di Lembo, Giorgio Sacchetti e Claudio Venza*
1) Umberto fa parte di quella generazione che si formò durante il
primo conflitto mondiale e fu testimone di eventi epocali come la Rivoluzione
russa, l'avvento del fascismo e del nazismo, la rivoluzione spagnola e la
seconda guerra mondiale. Quale sono le caratteristiche principali, umane e
politiche, di questa generazione?
Giorgio: Settant'anni di militanza rivoluzionaria libertaria nel
Novecento - tali sono quelli vissuti da Umberto Marzocchi - significano aver
attraversato il secolo, "breve" e controverso, nei suoi punti cruciali.
Vogliono dire aver conosciuto da vicino molti degli aspetti terribili e talune
conseguenze totalitarie nello sviluppo dei miti di classe e nazione. Guerre e
rivoluzioni tradite nella vecchia Europa, ma anche grandi speranze si sono
alternate di volta in volta nel susseguirsi febbrile delle vicende.
Così, elementi di soggettività e volontarismo hanno contribuito
ad alimentare il fuoco dell'idea socialista anarchica. Un'idea onnipresente che
si è compiutamente espressa, certo con differente grado di
intensità, nei grandi movimenti di massa e sindacali del Biennio Rosso
italiano, della Spagna rivoluzionaria, del Sessantotto-Settantasette, ma anche
nella cospirazione e nell'esilio antifascisti, nel difficile impegno di
testimonianza nell'era della guerra fredda. In un percorso di questo tipo,
connotato da sconvolgimenti e cambi di scenario repentini, da modifiche
culturali e socio-politiche devastanti, rimane sempre molto difficile
individuare un filo conduttore plausibile. L'insopprimibile anelito verso la
libertà, l'antagonismo al potere oppressivo comunque ed ovunque esso si
manifesti possono da una parte spiegare quel radicalismo che ciclicamente
ritorna nei ranghi dei movimenti. Ma questa argomentazione da sola non
basterebbe di sicuro a farci capire un fenomeno così straordinario di
longevità. Una militanza 'minoritaria' di lungo corso presuppone per sua
natura, a differenza forse di quella in partiti politici gerarchizzati di
massa, pulsioni movimentiste e intelligenze creative quasi perennemente attive.
Inoltre, mentalità allergiche agli apparati e allenate a diffidare di
ogni autorità, critiche ma attente al nuovo che si manifesta nella
società, di fatto quindi più sensibili, sono per natura portate
ad esprimere maggiori capacità nel superare ad esempio le barriere
generazionali. Intransigenza e rigore si sono allora coniugati con tolleranza e
comprensione. Nel movimento anarchico di lingua italiana figure di questa
specie non sono mancate, tutti appartenenti alla generazione di Marzocchi,
tutti formatisi alla medesima scuola.
Gigi: Quella generazione - come già ha accennato Giorgio - con la
Grande guerra ha visto crollare l'intero mondo borghese ottocentesco,
assistendo all'entrata in massa dei lavoratori nella vita politica, ha visto o
ha vissuto diversi tentativi rivoluzionari in molti paesi europei, Italia
compresa. Da questa esperienza la generazione di militanti come Marzocchi
rimarrà profondamente colpita, da qui la quasi incredibile
capacità di resistenza, di rielaborare concretamente il proprio percorso
politico. Questa generazione ebbe la fortuna di essere ancora confortata, ed
anzi spronata su queste vie, dai "padri" della vecchia generazione come
Malatesta e da quelli della generazione precedente come Damiani e Fabbri.
Claudio: A vederla oggi la generazione di militanti come Umberto
Marzocchi, cioè quella dei Mario Mantovani, Armando Borghi, Pio Turroni,
Umberto Tommasini e tanti altri, ha vissuto dei decenni decisivi e laceranti.
Al tempo stesso, in quel periodo, molte cose si sono decise e, apparentemente,
molto avrebbe potuto cambiare. Nel senso che l'evoluzione non era affatto
scontata in quanto il potere, i vari poteri, non avevano quel controllo ferreo
della situazione, come sembra avvenire oggi. Logicamente penso alla rivoluzione
spagnola, alle sue possibilità di realizzazione dell'utopia, alla
sperimentazione libertaria nella produzione e nella società. Chi, oggi,
potrebbe prevedere che si potrà partecipare a qualcosa di
paragonabile?
2) Umberto durante l'attività clandestina in Francia e in Europa
cambiò molte volte residenza e nome per sfuggire alle ricerche della
polizia fascista: che peso ebbe questa esperienza sulla sua formazione
libertaria?
Gigi: Premetto che quella storia fu comune a quasi tutti gli esuli
anarchici; per quanto riguarda Umberto in quel periodo maturò
quell'esperienza che gli permise di trattare, dialogare e polemizzare con gli
ambienti politici più diversi rimanendo sempre se stesso.
Giorgio: Fu una grande prova. La clandestinità espone a pericoli
di ogni sorta. La Francia dei fuoriusciti e degli esuli era poi un autentico
verminaio, ma anche l'Italia repubblicana e democratica non sarà da
meno. Sto proprio affrontando questo problema nell'attuale fase di stesura
della biografia di Umberto. Basandomi su un'attenta disamina delle carte di
polizia, ed evidentemente non solo sul fascicolo del Casellario politico
centrale, ho potuto appurare il ruolo nefasto e non secondario svolto dalle
spie e dagli informatori nell'ambito del movimento anarchico. Spie e
provocatori infiltrati, la cui identità non sempre è stata a
tutt'oggi svelata, hanno reso amara e difficile la vita di militanti onesti e
coerenti come Marzocchi. Per quello che riguarda la mia ricerca ho scoperto ad
esempio, attraverso alcuni riscontri su diversi fondi del ministero
dell'interno, che in Francia era ben presente una categoria di finti
antifascisti ricattati oppure avvezzi a prendere due paghe: una dal Comitato
internazionale di difesa anarchica, l'altra dal console fascista. Brutte
sorprese in vista. Al caso della spia Bernardo Cremonini, noto agli addetti ai
lavori anche perché le relative vicende sono riferite nel bel libro di
Mimmo Franzinelli sull'OVRA, se ne dovranno purtroppo aggiungere altri. Lo
stesso problema si pone ad esempio per l'anarchismo in Italia negli anni
Sessanta. In particolare in questi ultimi tempi mi sto sempre più
ponendo l'inquietante interrogativo: ma di "Anna Bolena" ce n'era una sola
davvero?
Claudio: L'esperienza della clandestinità - come ha ricordato
Giorgio - credo, ha condizionato molto la mentalità dei militanti
anarchici. Vi sono state delle scelte fatte nel nome della prudenza,
dell'abitudine a mantenere dei segreti e una logica doppiezza fra l'immagine
esterna e il pensiero e i progetti interni, che davano vita quasi a una fede
personale. Attorno non vi erano conferme della propria speranza, ma solo
smentite, dure, ripetute, deprimenti. Occorreva sognare per non farsi smontare
dalla vita quotidiana degli ambienti sociali circostanti, senza i quali il
rischio del settarismo e della totale autoreferenzialità è
grandissimo.
3) In Spagna Umberto fu uno dei protagonisti nell'organizzazione
dell'intervento degli anarchici italiani in sostegno della Rivoluzione e fu
amico di Berneri con il quale condivise i momenti più felici e quelli
più difficili: quanto di questo rapporto di amicizia incise sulla sua
personalità?
Giorgio: L'originale pensiero politico di Camillo Berneri, con le
sue idee di apertura e dialogo con le forze più giovani e radicali,
risulterà certo molto influente nel determinare gli orientamenti del
movimento anarchico di lingua italiana e dello stesso Umberto, circa la
delicata questione delle alleanze a sinistra, a partire dagli anni trenta. Nel
1935, al convegno d'intesa degli anarchici italiani emigrati tenutosi a
Sartrouville (Parigi), si opera un'autentica svolta, una scelta di campo
irreversibile per quanto riguarda i possibili compagni di strada. In questa
occasione, mentre già da tempo si era delineata nel movimento la
consapevolezza sulla natura effettiva della Russia sovietica date le notizie
sulle repressioni in atto contro l'opposizione di sinistra, si rafforza senza
meno la constatazione della incompatibilità della prassi anarchica con
il comunismo bolscevico ("Col partito comunista mai il benché minimo
compromesso"). Nel contempo si prende invece in esame l'eventualità
di una "libera intesa" con: sindacalisti, Giustizia e Libertà,
repubblicani di sinistra, con la dissidenza socialista e comunista in genere.
Sono scelte queste che comunque rimarranno evidentemente a lungo vigenti. La
Spagna, in tal senso, costituisce il punto di non ritorno.
Gigi: Per quanto riguarda l'affiatamento con Berneri, questo risale a
ben prima della rivoluzione in Spagna; il documento che presentò assieme
a Rivoluzio Giglioli e a Gozzoli, sui compiti riorganizzativi degli anarchici
nel periodo subito dopo la rivoluzione, al convegno di Sartrouville
dell'ottobre del '35 risente moltissimo delle tesi di Berneri. C'è da
dire che quelle tesi, a mio parere, erano andate diventando - con tutte le
sfumature delle varie interpretazioni - patrimonio comune di tutto l'anarchismo
in esilio. L'esperienza spagnola sicuramente fu una conferma per Marzocchi che,
come già aveva detto al congresso del '35, il primo nemico era il
fascismo ma il secondo era il bolscevismo. Il bolscevismo non inteso come un
nemico esterno ma interno al mondo, alla classe dei lavoratori, di cui gli
anarchici rappresentavano una delle punte più avanzate.
Claudio: La Spagna libertaria è stata una costante presenza, anzi
quasi un modello di riferimento in tutta l'esistenza di Marzocchi. In fin dei
conti, e non solo per Umberto, le grandi conquiste sociali del 1936 hanno
animato la sua resistenza negli ideali anarchici, che si presentavano non come
miraggi grazie al dato concreto della rivoluzione libertaria spagnola. Il
ritorno ai temi spagnoli in ogni occasione, anche per spiegare all'esterno del
movimento la società anarchica e la sua realizzabilità, aveva
spinto dei compagni di altre tendenze ad accusarlo di "spagnolite", una
malattia che, secondo loro, non gli permetteva di vedere limiti e
contraddizioni presenti nel 1936-39.
4) Che ruolo ha avuto Umberto nella ricostruzione del movimento anarchico
nel Secondo dopoguerra?
Giorgio: Il passaggio dal protagonismo alla testimonianza non è
certo facile per nessuno. Le vicende tormentate dell'anarchismo italiano, per i
venti anni che seguono la fine della guerra, si caratterizzano per due episodi
salienti: il contrasto aspro tra la Federazione Anarchica Italiana (FAI) e i
nuovi Gruppi Anarchici di Azione Proletaria (GAAP) nei primi anni cinquanta; la
scissione infine dalla Federazione, consumatasi nel 1965, dei Gruppi di
Iniziativa Anarchica (GIA).
Tra tentativi audaci di rinnovamento culturale e difesa strenua
dell'identità e dei princìpi, tra organizzazione e
individualismo, lotta di classe e aclassismo, il movimento si misura su
questioni strategiche di grande peso il cui esito, invariabilmente, resta
condizionato dal contraddittorio irrisolto rapporto dialettico con la nuova
democrazia instauratasi dopo il 1945. L'anarchismo italiano affronta la nascita
della repubblica con un bagaglio teorico limitato. A fronte di più
complesse e rinnovate - sebbene nel segno della continuità - strutture
del potere pubblico e del dominio sociale, non corrisponde dunque un movimento
libertario altrettanto dinamico e capace di risposte politiche adeguate.
È la dura realtà dei fatti. La sconfitta subita negli anni venti
e trenta, il ridimensionamento a livello internazionale, gli esiti infausti
della guerra civile spagnola, chiudono inevitabilmente ogni speranza di
riprendere, senza rinnovarsi, il ciclo virtuoso di crescita dell'anarchismo del
primo novecento dal punto in cui si era interrotto. Alla dura repressione
fascista, stalinista o a quella degli stati democratici si dovrà far
risalire certo una parte importante delle cause che hanno determinato questa
crisi. A ciò si deve però aggiungere un ulteriore elemento:
c'è un'inedita composizione di classe che, manifestatasi su larga scala
tra le due guerre mondiali, stravolge in toto memoria e identità delle
antiche organizzazioni del movimento operaio. L'antifascismo, costituito in
forza collettiva e convertito in sistema di governo, è ora elemento di
ricomposizione tra 'politico' e 'statale'. Il partigianato, sebbene
istituzionalmente "legittimato", è oggetto di inediti intrecci tra
Stati, ideologie e movimenti. Da "il proletariato non ha patria" alla nuova
parola d'ordine "la patria del proletariato è l'Unione Sovietica" il
passo è breve. Il dato di fatto più rilevante è che il
PCI, complice lo sviluppo dei partiti di massa e grazie all'ambivalente
strategia togliattiana, raccoglie a sinistra tutta l'eredità del
sovversivismo popolare. E il resto dell'opera di ridimensionamento (vale anche
per l'ala più radicale dell'azionismo) viene compiuto con lo scatenarsi
della guerra fredda.
5) Negli anni Cinquanta l'anarchismo attraversa un periodo difficile e con
forti lacerazioni interne (es. la nascita del GAAP Gruppi anarchici d'azione
proletaria), quale posizione politica mantenne Umberto?
Giorgio: Umberto si mantiene su posizioni 'movimentiste', aperte al
dialogo ma sostanzialmente diffidenti su possibili rinnovamenti troppo radicali
nei connotati storici dell'anarchismo. Ad esempio il congresso FAI di
Civitavecchia del 1953 vota risoluzioni su: basi fondamentali dell'anarchismo;
lotte operaie; comitato pro-vittime politiche; stampa; antimilitarismo. In
particolare, sul primo punto, si approva una mozione tendente a sottolineare la
concezione "rivoluzionaria e educativa insieme" dell'anarchismo, il
rifiuto delle teorie individualiste come della lotta di classe, la negazione di
ogni revisionismo; ciò nel continuo richiamo alle origini e "allo
spirito che animò il congresso di Saint-Imier (1872)". È
questo l'atto di nascita della "FAI-Movimento", costruzione di Armando Borghi,
aggregazione 'aperta' nella quale convivono anime troppo differenti fra di
loro. In tema di strategie per la lotta sindacale poi si assiste
contemporaneamente alla revisione totale dei deliberati del 1945 per quanto
riguarda l'attività interna alle confederazioni.
6) Uno dei principali compiti che Umberto portò avanti dalla fine
della guerra alla sua morte fu il suo impegno per il sostegno e la
solidarietà internazionale ai compagni spagnoli, quale ruolo ebbe nella
rinascita del movimento libertario spagnolo e nella costituzione
dell'IFA?
Giorgio: L'I.F.A. è una creatura di Marzocchi. Già al
convegno parigino del 1935 lui proponeva la formazione di un coordinamento
propedeutico alla fondazione di una vera e propria Internazionale Anarchica. Il
progetto diventerà realtà grazie alla sua passione e all'impegno
incessante profuso nel mantenimento di contatti anche in paesi sotto le
dittature fasciste e comuniste. All'età di 77 anni fu arrestato durante
una riunione clandestina della F.A.Iberica in Spagna!!!
Gigi: Posso solo dire che Umberto dava alla dimensione internazionale,
anche e soprattutto organizzativa, un ruolo veramente di primo piano. Alla fine
degli anni Settanta o all'inizio degli anni Ottanta, non ricordo bene, rimasi
stupito di come volesse accelerare la ricostruzione dell'USI per poter dare
all'interno dell'AIT una maggior credibilità alla componente italiana.
7) Con l'esplosione della contestazione studentesca e giovanile del 68
Umberto fu uno dei pochi militanti della "vecchia generazione" che cercò
un dialogo e un confronto con i leader dei nuovi movimenti (es. Daniel
Cohn-Bendit al Congresso Internazionale del 1968 a Carrara). Quale fu il suo
apporto al dibattito sulla stagione dei nuovi movimenti e sulle nuove forme
della contestazione e quale il rapporto con quello che all'epoca fu definito
"neoanarchismo"?
Claudio: Dopo il '68, il movimento anarchico di lingua italiana si
trovava di fronte ad un fatto totalmente nuovo, una sorta di alluvione di
giovani che si dichiaravano anarchici e che spesso lo erano solo in parte. Non
fu un incontro facile. Da un alto vi erano militanti ricchi di esperienza, ma
anche inevitabilmente abbastanza rigidi e abbastanza diffidenti delle nuove
generazioni. Dall'altro la presunzione e il pressappochismo si facevano sentire
insieme ad una volontà di lottare contro tutte le forme di
autoritarismo, anche dentro un movimento, appunto quello anarchico, a cui si
chiedeva una coerenza totale fra ideali e pratica, ma che sembrava incarnare
invece un tipo di burocratismo e di immobilismo insopportabili per le giovani
generazioni. Umberto Marzocchi, con il suo stile di persona "normale", il suo
ordine interno ed esterno pareva rappresentare, agli occhi dei più
"radicali", una condizione insopportabile di perbenismo e di moderazione.
Ovviamente non era così, ma lo capirono quelli che restarono nel
movimento al di là degli iniziali attriti e delle reciproche
prevenzioni. Certo la sua capacità di ascolto e la speranza che tra i
giovani ci fossero i continuatori del movimento favorirono un terreno di
intesa, per il quale, ad ogni modo, ci vollero degli anni.
Giorgio: La sua capacità di dialogo, fino al limite
dell'impossibile direi, discende da una qualità personale che gli viene
riconosciuta anche nelle carte di polizia: "il soggetto ha un'intelligenza
svegliata"... Per i superstiti di quella che era una gloriosa componente
del movimento operaio, misurarsi su altre dimensioni deve aver comportato
sforzi immani... Ma ne valeva la pena e per questo si deve dire grazie a
Umberto, per averci fatto scuola.
8) Quali sono i tratti più importanti dell'eredità politica e
culturale di Umberto?
Giorgio: Penso soprattutto all'eredità morale e culturale.
Umberto mi è simpatico e costituisce per me un modello ideale, non tanto
per la sua fede politica anarchica, ma per quel suo modo di progettarsi un
percorso di vita a lunga scadenza, per quell'insistenza ossessiva nel mantenere
salda una scelta di rigore, a qualsiasi costo.
Claudio: Vorrei ricordare i suoi tratti di equilibrio psicologico fra
l'utopia e la vita reale, la sua costanza e disponibilità. Anche lui,
come non pochi vecchi compagni, erano al tempo stesso persone semplici, come
modi e atteggiamenti, ma eccezionali come sforzo interiore e impegno sociale,
come valori etici e solidarietà nella lotta contro ingiustizie e soprusi
del potere. Inoltre, da una conoscenza personale più vicina ai tempi del
lavoro per la sua biografia, ricordo in lui una coesistenza di un notevole
spirito organizzatore con un rispetto delle scelte individuali. Questo non solo
dentro il movimento, ma anche con avversari verso i quali non vi era
un'aggressività preconcetta, ma una volontà di spiegare i dati
concreti e positivi delle idee e della storia dell'anarchismo. Insomma una
bella eredità militante e umana.
*Gigi di Lembo insegna all'università di Firenze e da anni si occupa di
storia dell'anarchismo in particolare del fuoriuscitismo, Giorgio Sacchetti sta
svolgendo un dottorato presso l'università di Teramo e sta scrivendo la
biografia di Marzocchi mentre Claudio Venza insegna all'Università di
Trieste, tutti e tre sono membri della redazione della 'Rivista storica
dell'anarchism'.
a cura di Franco Bertolucci
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