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Da "Umanità Nova" n.05 dell'11 febbraio 2001
Incenerimento dei rifiuti solidi urbani
La salute va in fumo
Indovinello: ce ne volevano cinque per mungere una mucca, quattro che la
facevano andare su e giù e uno ne estraeva il latte. Ora sono i
principali segugi all'inseguimento di mucca pazza; quali saranno i metodi? Si
saranno portati il Serenase o la camicia di forza e il letto di contenzione?
Sta di fatto che se la tutela della nostra salute è nelle loro mani,
possiamo stare tutto meno che tranquilli. Il grande fumo che in questi giorni
si va spargendo sulla rincorsa al bovino infetto si può soltanto pensare
sia procurato per oscurare i problemi reali che ci rendono invivibile la vita
di ogni giorno.
E parlando di fumo non possono non venirci in mente quelli che, anche se non
sono gli unici, ne sono produttori per eccellenza: i fautori della
termodistruzione, termovalorizzazione o cogenerazione tramite utilizzo dei
rifiuti solidi urbani. È accertato scientificamente e statisticamente
che la combustione di materiali diversi: alcuni contenenti cloro come ad
esempio la maggior parte delle plastiche; altri come la carta, il legno o le
fibre naturali, denominati nell'insieme "lignine", in aggiunta di rame, piombo
o altro metallo ad una certa temperatura produce diossina, una sostanza non
presente in natura e di degradabilità molto lunga, che se ingerita
direttamente o attraverso la catena alimentare provoca la malattia mortale per
eccellenza del nostro tempo o malformazioni alle nascite o altri gravi disturbi
alla salute. E questo per soffermarsi solo su uno dei principali prodotti della
combustione mista, per non parlare dei furani, dei metalli pesanti, del
fosforo, dei nitriti e nitrati e altro ancora presenti in fumi ceneri e
scorie.
Fin verso la metà degli anni '90 una pesante aria di crisi aleggiava sul
settore: qualche imprenditore che era già finito nelle mani della
giustizia (che come si sa è cieca e si è affrettata a
dimetterlo), industrie in crisi o già fallite, il mercato che non
"ripartiva", malgrado lo stato assicurasse un contributo di investimento
iniziale pari al 30% del valore dell'impianto. Al termine di un "sapiente"
lavoro preparatorio un primo provvedimento venne nel 92 dal CIP, che stabiliva
che l'energia prodotta dagli inceneritori sarebbe stata pagata il triplo del
Kwh al prezzo di mercato.
Poi, con il governo Prodi, finalmente è sopraggiunto "l'uomo giusto al
posto giusto" nella persona di Ronchi, ambientalista per antonomasia, che ha
incluso ben due provvedimenti chiave nel verboso decreto che porta il suo nome:
uno che equipara il risultato della miscelazione e compressione e
pre-essicazione dei rifiuti (le note "bricchette") ad "energia rinnovabile",
l'altro che favorisce la combustione degli scarti industriali in coda agli
impianti medesimi: una manna. Nei mesi a venire si tratterà di trovare
la soluzione, nell'imminenza della privatizzazione dell'Enel, per continuare a
pagare il triplo o magari aggiustare al rialzo il prezzo dell'energia prodotta
bruciando rifiuti.
L'arroganza della lobby è cresciuta con la certezza del lauto guadagno,
il territorio è stato disseminato di ipotesi di impianti per la maggior
parte ancora sulla carta ma purtroppo sempre più prossimi alla
realizzazione. Tentiamo di seguito una breve panoramica che riguarda soltanto
situazioni di cui siamo venuti direttamente a conoscenza.
A Brindisi ce n'è uno in costruzione in piena zona industriale
già abbondantemente inquinata. Nel cosentino, come riportato su
"Comunarda", il giornale che i compagni hanno pubblicato in zona, l'impianto
non si farà, ma sarà ben difficile che l'opposizione popolare
riesca ad impedirne la realizzazione a Gioia Tauro ove altre imprese finanziate
dallo stato hanno goduto delle ben note protezioni locali. A Teramo è
all'ordine del giorno la questione della localizzazione. E così anche a
Torino, dove una commissione di una quarantina di rappresentanti dei comuni
limitrofi presieduta da Bobbio (figlio del noto filosofo) per ora si sta
limitando a palleggiarsi la decisione, forse in attesa che la difficile scelta
di mettersi contro la popolazione sia ammorbidita da una più abbondante
elargizione economica. A Vercelli invece i compagni ci segnalano che ce
n'è uno bello e pronto ad entrare in attività, che finora non ha
incontrato opposizioni palesi. Ed è questo anche il caso di Spoleto,
dove nei giorni scorsi la stampa regionale ha annunciato con gran pompa l'avvio
del "vantaggioso investimento". A Livorno c'è in programma il raddoppio
di quello esistente. Di quello di Pietrasanta si riferisce in altra parte del
giornale: voluto da un sindaco di sinistra, questi è stato costretto a
dimettersi; subentratogli uno forzaitaliota il cui cavallo di battaglia
pre-elettorale era spergiurare che mai sarebbe stato ultimato, ora è
quasi pronto e un'ennesima manifestazione è annunciata. A Montale in
provincia di Pistoia, dove tutto sembrava filare liscio per impiantarne uno che
avrebbe assorbito i rifiuti di tre provincie compresa Firenze, qualche mese
addietro una grossa presenza popolare ha costretto ad un ripensamento ed i
sindaci hanno ricominciato il palleggio. A Massa il sindaco Pucci ha fatto
mettere in crisi la giunta per ottenere il permesso per un cogeneratore interno
alla Bario ma pur essendosi già ripresentato con quella nuova, non ha
ancora reso pubblico il risultato della trattativa in merito. A La Spezia, per
allontanare il più possibile il progetto dall'immaginario della forte
resistenza popolare, negli ultimi tempi si parla addirittura di installare un
generatore di corrente ad energia eolica: troppo specchietto per le allodole
per esser vero. Una buona novità invece viene dall'Emilia Romagna, una
regione ove finora sembrava ci fosse la consuetudine a "puppare" tutto in nome
del "progresso": ad Imola, un vasto movimento cittadino ha ottenuto di
cancellare definitivamente la prospettata realizzazione di un impianto sul
territorio.
Se con l'accanimento dimostrato in questi giorni su tutti i media, si dovesse
assistere alla caccia al produttore di diossina da parte delle forze
dell'ordine fedeli nei secoli, ne vedremmo delle belle: arresti a catena da far
impallidire tangentopoli. Ministri e sottosegretari, presidenti e assessori
regionali, sindaci e consiglieri comunali e poi direttori delle varie
municipalizzate e privatizzate manager rampanti, fratelli di futuri primi
ministri e legambientisti da poltrona...
Il fatto è che invece di rincorrere epidemie di là da venire qui
si tratterebbe di mettere in pratica ciò che i movimenti cittadini
supportati da scienziati critici verso il sistema chiedono da anni. Una di
queste richieste, e da sempre negata, è quella della ricerca sulla
presenza di diossine nel latte materno. È prassi normale nella maggior
parte dei paesi industrializzati e di tanti altri che quanto a sviluppo
economico lasciano a desiderare. Ma in Italia no. Perché dovremmo
cercare la diossina? E se poi la troviamo come facciamo? La facciamo
arrestare?
A.Enne
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