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Da "Umanità Nova" n.06 del 18 febbraio 2001
Cronache "sportive" 1
Clandestini di serie A
Con espressione matematica possiamo dire che il dottor
Cannavò sta alla Gazzetta dello Sport come il dottor Scalfaro sta a
Repubblica. In questi giorni, infatti, è esploso lo scandalo dei
passaporti falsi di alcuni noti giocatori di calcio. Le maggiori testate
giornalistiche della borghesia stanno dibattendo il problema, e il direttore
del più importante quotidiano di sport, con le sue prese di posizione,
sta sollevando delle divertenti questioni su cui dobbiamo soffermare
l'attenzione perché rappresentano dei grossi punti di contraddizione per
le classi dirigenti. Il fatto lo possiamo ricostruire in questo modo: con la
formazione dell'Europa Unita si è liberalizzato il mercato dei giocatori
comunitari, le società calcistiche possono far giocare fino ad un
massimo di tre giocatori extracomunitari (in una sorta di principio delle quote
applicato al calcio) e questo ha imposto a tutto l'ambiente la creazione di una
struttura clandestina che procura passaporti falsi per un costo che si aggira
tra i 50 e i 100 miliardi a falsificazione. Un bel giorno, un giocatore
interista cileno con passaporto falso portoghese viene fermato alla frontiera
polacca per un controllo insolitamente pignolo, con ogni probabilità
suggerito da una bocca fuori campo interessata a far scoppiare il caso, e viene
reso pubblico ciò che molti avevano solo intuito. Di fatto siamo in
presenza di un clandestino imputabile di reati anche gravi, a cui viene
garantita impunità, a cui nessuno getta addosso il target di criminale,
che viene convocato da un tribunale della Repubblica per un interrogatorio e a
cui viene concessa la possibilità di riprendere semplicemente un aereo
per tornare in patria e farsi rilasciare un permesso di soggiorno per tre mesi.
Per tutta la stampa borghese si tratta appena di una questione di bolli
burocratici, di regolamenti da modificare perché anacronistici, di leggi
obsolete: "che differenza c'è tra un giocatore cileno e uno spagnolo? Il
principio delle quote è assurdo nel calcio. Ogni società deve
poter far giocare chi vuole senza vincoli limitativi.", questi alcuni dei
ragionamenti mossi sulle pagine della Gazzetta dello Sport. Sembra che il
calcio sia un territorio retto da un'altra legalità, da un differente
procedere del pensiero. Gli extracomunitari che muovono i culetti e sgambettano
nelle varie arene calcistiche sono vittime dello Stato e delle sue leggi, sono
costretti all'illegalità e per questo innocenti. Bene questo
ragionamento andrebbe esteso a tutto il corpo della società, come noi
anarchici andiamo dicendo da sempre. Non esiste clandestinità
perché siamo tutti cittadini del mondo, esistono i monti e i mari
attraversabili, non le frontiere che proteggono le nazioni, anzi le nazioni
sono un'invenzione buona solo a produrre guerre sanguinarie tra proletari,
esistono dei fiumi attraversabili, non dei posti di blocco armati a tutela
degli Stati, per questo ogni migrante è innanzitutto un individuo
inviolabile e autonomo soggetto soltanto alle leggi della propria
libertà che sceglie quotidianamente, esistono bellissime vallate che
mettono voglia di volare, non dogane che obbligano alla sosta per controllare
le identità giuridiche, anzi le uniche identità giuridiche
accettabili sono quelle che rispondono al nome della piena giustizia sociale,
dell'abolizione della proprietà privata, della socializzazione dei mezzi
di produzione, dell'autogestione del sapere e dell'abolizione del denaro. Tutto
questo, però, che discende direttamente dal nucleo centrale del
ragionamento fatto dal direttore della Gazzetta dello Sport, è qualcosa
di impronunziabile perché minerebbe alle fondamenta uno dei pilastri su
cui ogni democrazia borghese crea consenso: la costruzione del nemico e
l'assoggettamento delle masse a logiche di insicurezza, di paura, di
isolamento. Quel giocatore clandestino, invece, con passaporto falso non
è un criminale, perché ha un volto, anche se parla male
l'italiano, muove bene il culo e le gambe e fa goal, caspita che bellissimi
goal, è riconoscibile, e come può un clandestino essere
riconoscibile? Quando un clandestino può essere riconosciuto, forse non
è più clandestino, sicuramente non fa più paura a nessuno.
Diventa un'esperienza discutibile, qualcosa di umano, troppo umano. È
ciò che non succede per le migliaia di donne e uomini che giungono nel
nostro paese e sono costretti dallo Stato a vivere privati di qualsiasi
garanzia. Sono donne e uomini che provengono da terre massacrate da guerre
condotte da questi stessi Stati che non si fanno scrupoli a rinchiuderli in
campi-lager, quasi bestie al macello. Spesso sono esuli in fuga da spietate
dittature, benedette all'acquasantiera del Vaticano. Sono giovani che a 18, 19
anni, lasciano i propri affetti in cerca di fortuna, della possibilità
di migliorare per sé e i propri familiari condizioni di vita al limite
della sopravvivenza. Anche queste sono tutte esperienze discutibili, ma loro,
che sono i più, che non stanno tra i ricchi, sono i disumani, i
clandestini senza volto, gli stranieri da demonizzare. Per noi anarchici: donne
e uomini al nostro fianco.
Luca Papini
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