![]() Da "Umanità Nova" n.07 del 25 febbraio 2001 Ecuador: la rivolta degli ultimiÈ risaputo che per chi non possiede nulla, la "parola" è un bene prezioso. "Mantenere la parola" allora diviene una questione di dignità e di onore. E così, dopo il levantamiento del 21 gennaio 2000, gli indios ecuadoregni sono ridiscesi in piazza e sulle strade, nelle città e nei villaggi, come avevano promesso lo scorso luglio quando avevano firmato alcuni accordi con il governo. Ma ricapitoliamo un attimo i fatti. A cavallo tra 1999 e 2000, il presidente Mahuad decreta la dollarizzazione della moneta nazionale (il sucre), il che comporta l'innalzamento ovvio e brutale dei prezzi al consumo. A ciò si unisce una strategia di privatizzazione dell'acqua che sta prendendo piede in buona parte del continente latino-americano (è già una realtà a S. Cristobal in Chiapas), che comportò l'aumento notevole del prezzo dell'acqua. Decine di migliaia di indios scendono allora sul "sentiero di guerra" occupando il parlamento per giorni e giorni, con l'appoggio della società civile, qualche simpatia nell'esercito, senza aspirare a conquistare il potere, ma limitandosi (si fa per dire) a esigere il ritiro delle misure imposte e a rivendicare la dignità di popolo, facendo causa comune con tutti gli indios del continente (zapatismo docet). L'anno scorso sono riusciti a buttare a mare il presidente, dando credito al vice-presidente Noboa, oggi in carica, al quale non stanno facendo sconto di alcunché: lo scorso dicembre, anche grazie al rifiuto di uno speculatore americano che si arricchisce sulle disgrazie dei paesi in crisi finanziaria (tale Marc Helie, della società di consulenza finanziaria Gramercie di Wall Street, ha negato la proroga di un mese per una buono del tesoro in scadenza), l'Ecuador si è dovuto piegare al programma di aggiustamento strutturale del Fondo Monetario Internazionale, che ha comportato la contropartitia di un grosso prestito dietro aumento dei prezzi del gasolio per riscaldamento (100% di aumento), della benzina (+25%) e dei trasporti in genere (+75%). Ai primi di febbraio, decine di migliaia di indios, organizzati nella Conaie e in altre organizzazioni (Feine, Fenocin, Fei, Fenacle, Confeunase, Ecuarunari, Confeniae) sono puntualmente ritornati sulle piazze, pagando anche un duro prezzo in quanto a morti (una trentina) e feriti (un centinaio) poiché il governo ha decretato lo stato d'emergenza, tra gli altri incarcerando (e poi rilasciando) il leader della Conaie, Antonio Vargas. La paralisi totale, grazie anche all'appoggio di studenti e lavoratori, ha indotto il presidente Noboa a raggiungere un compromesso su alcuni risultati di massima: riduzione del prezzo del gas, congelamento dei prezzi energetici, dimezzamento delle tariffe di trasporto per bambini, anziani e studenti che dai villaggi si recano ogni giorno in città, ristrutturazione della banca specializzata nel credito agrario, maggiori finanziamenti per gli organismi indigeni dediti allo sviluppo, alla sanità e all'istruzione, soluzione ai conflitti sulle terre e sull'acqua, compartecipazione indigena nei temi legati al sistema pensionistico e previdenziale, indennizzi per i familiari delle vittime degli scontri. Un accordo che non chiude definitivamente la questione indigena, ma che ribadisce la volontà ferma degli indios di essere considerati soggetto umano e quindi politico a pieno titolo, riconosciuto e legittimato dal governo, anche sulla spinosa questione del coinvolgimento ecuadoregno nel Plan Colombia, visto che il ritiro Usa da Panama verrà compensato da una enorme base militare americana in territorio ecuadoregno (presso Manta) per controllare lo spazio aereo e marino del Pacifico, prima monitorato dalle basi sul canale di Panama. In ultima analisi, la lotta degli indios prosegue inseguendo come un incubo i fautori di una globalizzazione in cui il passato del genocidio va rimosso completamente. Invece l'ostinazione a non scomparire accresce la coscienza delle proprie ragioni e la decisione di rendersi visibili anche irrompendo sulla scena politica con azioni dirette di massa e durature nel tempo, come dimostrano, con più clamore dei media, il caso del Chiapas (grazie alla spettacolarizzazione innescata dalla letteratura di Marcos e dall'appoggio mondiale), ma forse con maggiore radicamento sul territorio nazionale, anche grazie all'unità di intenti con studenti e lavoratori, proprio il caso dell'Ecuador, meno appariscente sui media ma egualmente degno di attenzione per capire il futuro del pianeta unico. Salvo Vaccaro
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