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Da "Umanità Nova" n.07 del 25 febbraio 2001

Storia di un incontro
Lettera ai prigionieri della psichiatria

Ci siamo incontrati due anni fa e per neanche tre settimane, tu i tuoi pennelli, i tuoi tre quarti di barba, la camminata di chi rende la curiosità uno scalpello con cui incidere il mondo; tu, la tua idea di libertà e di giustizia sociale filtrata alla controluce dei tuoi colori. Di ritorno da una notte interminabile affrontammo anche quel posto di blocco. Alla periferia della città. Carabinieri. Due per l'esattezza. Un ragazzetto con il mitra spianato, tutto infreddolito dalla paura, e l'altro, il duro, quello graduato. Puntasti lui in cerca di un uomo sotto la divisa. Non ho ancora capito se in quei tuoi momenti di conversazione preferivi la ricerca dell'uomo o l'incontro con il caporale. Tu avresti guardato il mondo per un'altra settimana ancora, poi saresti scomparso lungo la ferrovia che riga l'Italia da Ventimiglia a Salerno. Imbottito di serenase, senza neanche che tu lo sapessi. È il prezzo che si paga dinanzi al silenzio che cala quando i pensieri sono più veloci delle parole, e le voci si presentano incontrollabili. Qualcuno si permette di decidere per te. Si tratta quasi sempre di sconosciuti: le loro manette sono gli psicofarmaci. I loro mandati di cattura sono i Trattamenti Sanitari Obbligatori. I loro democratici fogli di via portano la firma di rispettati dottori: gli psichiatri. Le loro camicie di forza sono la famiglia, l'ospedale, le forze di polizia, i preti con il rosario in mano. Perché quando il pensiero va più veloce delle parole lo stato trema. E deve difendersi. Con le sue truppe, i suoi reparti di pronto intervento, gli addestrati alla repressione, i finanzieri di dio.

Un anno dopo, ci siamo incontrati di nuovo, tu avevi un altro nome, ed io ero in un'altra città. Il modo di camminare era lo stesso e identici i tuoi tre quarti di barba arrugginita. Quando scappavi dal reparto psichiatrico di Utrecht venivi a Gaanstratt 8, per una, al massimo due notti. Poi ti riacciuffavano sempre. Dicevi che il nostro strano squat, pieno di italiani e polacchi, era il più sicuro che c'era. Quando entravi in casa avevi l'accortezza di toglierti le scarpe. Dicevi che così si sente meglio il suolo e il piede. Ti stupivano le nostre riserve di vino, e un giorno scrivesti sulla porta del bagno "Why drink if you can fly?", era il nostro taz-bao preferito. Ogni luogo ha le sue delizie, noi eravamo delle terre del vino, tu eri delle terre dell'hashish e della buona marijuana. La mattina facevi il caffè per tutti quanti e prima di salutarci collocavi il resto della miscela da gettare via in un recipiente di alluminio. Dicevi che quella montagnetta di polvere nera ti sarebbe servita durante i tuoi cali d'energia. Quando sparivi, ognuno di noi non dimenticava mai di tenere sempre pieno quel recipiente d'alluminio. Chissà se i compagni polacchi, adesso che siamo tornati via, continuano questo gioco! Una volta, ti ricordi?, dovemmo fuggire dal Centro Accoglienza di Utrecht. Ti accompagnammo perché dovevano darti il sussidio e invece era un'imboscata, per poco non ti riacciuffavano.

Quattro mesi fa ci siamo incontrati ancora, avevi gli occhi un po' più assonnati, e camminavi seguendo i tracciati delle tue direzioni autostiche. Durante le tue sette ore di reclusione al Centro diurno di handicap mentale adulto, calcolai che percorrevi qualcosa come 15 chilometri. Eri inarrestabile con quei tuoi due piedini: uno dritto e l'altro che piegavi sul lato esterno. Avevi cambiato nome ancora una volta. E permettevi solo a me di farti la barba. Dicevano che eri pericolosissimo, e per questo ti sedavano, ogni mattina, ogni pomeriggio, ogni sera, all'ora del mangiare. Forse era per questo che ti autoprocuravi il vomito con le mani, con estrema decisione e forza sovrumana. E quando ti impedivano di masturbarti, i chilometri si duplicavano e così la tua tristezza. Anche se qualcuno voleva spiegare che tu non sai cos'è la tristezza, perché sei incapace di decifrare i tuoi sentimenti. Altri sconosciuti pronti a decifrare i tuoi sentimenti, i tuoi modi di intendere e di volere, pronti a classificarti in nome dei loro tre distintivi di studio che hanno appuntati sulle labbra. Loro che non hanno "altro vantaggio che quello della forza". E quando i tuoi genitori, ormai vecchi, verranno meno per le forze o per l'inesorabilità della vita, ti aspetterà l'ultimo livello delle strutture psichiatriche, quello in cui aumenteranno di gran lunga i dosaggi farmacologici. Tramortito in un letto non avrai più neanche la forza per vomitare o masturbarti.

Quando ci incontreremo ancora farò in modo di lasciare la porta aperta.

Luca Papini

Parlo di incontri che ho avuto. Alcuni decisamente meravigliosi e drammatici. Il primo è Roberto, anarchico, pittore, morto a 22 anni, schiantatosi su un treno. Il secondo è David conosciuto a Utrecht. Il terzo è Fabio classificato come autistico psicotico. Sono esistenze aggrappate comunque in qualche modo alla mia vita e il narrarle mi auguro possa essere un modo per lottare ancora insieme. Elaborare dissenso vuol dire anche fare i conti con una memoria di lotte collettive.



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