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Da "Umanità Nova" n.09 dell'11 marzo 2001

Zapatismo
Camminare interrogandosi

Il senso delle parole è la principale arma degli Zapatisti. I tentativi di circoscrivere l'insurrezione a una regione del Chiapas e di asfissiarla accendendo conflitti interni nelle Comunità non sono stati sufficienti. Allora il governo e il PRI, travestiti da giornalisti ed universitari, diedero impulso in Messico e all'estero ad un'offensiva intellettuale mirata a eliminare, squalificare o minimizzare ciò che questo Movimento possiede di nuovo e significativo.

La Rivoluzione in Chiapas è sostenuta da un complesso e denso tessuto locale e da una lunga storia di relazioni con l'esterno. Molto al di là delle trasformazioni socioeconomiche degli ultimi decenni e del Trattato di Libero Commercio con il Nord America, molto al di là del vescovo Samuel Ruiz, le sue varianti sulla teologi a della liberazione ed altri cambiamenti culturali, questa ribellione trova le sue radici nelle vicissitudini della riforma agraria, nei rapporti tra comunità indigene e Rivoluzione messicana, nelle guerre del XIX secolo, nella dominazione coloniale, la Conquista e finanche nel tempo precolombiano, Certamente però non si tratta del semplice risultato di una lunga catena storica. Nessuno di questi sconvolgimenti e di queste situazioni, o volendo l'insieme di tutti questi sconvolgimenti e situazioni intersecanti tra loro riescono a spiegarla completamente. I motivi dell'insurrezione non hanno un senso precisabile e tanto meno la sua ripercussione è conseguenza di continuità, ma forse di rottura e rinnovamento. Questi zapatisti non sono la riproduzione degli indi geni delle ribellioni anticoloniali o delle antiche guerre di casta, dei soldati di Emiliano Zapata dell'inizio del secolo XX, dei guerriglieri guevaristi, dei maoisti o dei cristiani rivoluzionari dell'America Centrale. Sono nati da divisioni e dissidenze, e le hanno amplificate. Fino agli anni cinquanta le comunità indigene del Chiapas formavano complessi abbastanza omogenei, ma fortemente gerarchizzati e subordinati alle grandi proprietà ed al potere politico. Quando queste proprietà destinate alla coltivazione cominciarono a ripartirsi o a svuotarsi di manodopera a favore dell'allevamento, la coesione della comunità si fece a pezzi. Le giovani generazioni scolarizzate si emanciparono dalla tradizione: si convertirono al protestantesimo o ingrossarono la corrente del rinnovamento cattolico; emigrarono nelle città o nelle zone di colonizzazione; formarono cooperative di credito, di produzione e di commercializzazione. Il Congresso Indigeno del 1974 a San Cristobal de Las Casas mise allo scoperto forza e debolezza di questo movimento di emancipazione e di modernizzazione indigena, che negli anni ottanta avrebbe sbattuto contro il muro neoliberale allora in fase di costruzione. Il movimento si divise; lo sviluppo indigeno entrò in crisi. La marcia forzata verso il NAFTA, l'abbandono della riforma agraria, la repressione, la corruzione, l'inerzia burocratica, il disprezzo dei padroni e delle autorità verso gli indigeni provocarono che una parte di questi guardasse all'insurrezione. Non tutti gli indios del Chiapas si sollevarono, e volendo neanche tutti i settori della popolazione che si erano modernizzati nei decenni precedenti. Però i ribelli appartenevano a questi settori. Si erano staccati dalla tradizione e non erano i suoi depositari, avevano sperato nelle riforme e la loro rabbia rappresentava il livello della propria frustrazione. Lo Zapatismo prese, quindi, impulso dalla divisione nelle comunità e si inscrisse nella prospettiva dei movimenti indigeni che si svilupparono in ogni parte dell'America Latina dagli anni sessanta in poi: Ecuador, Colombia, Bolivia, Nicaragua, Guatemala, Panama, Brasile, Cile. Tutti questi movimenti rompono con una tradizione asfissiante, tutti combinano la modernizzazione economica con le rivendicazioni sociali e la lotta contro una discriminazione culturale di carattere razzista. Nessuno preconizza la creazione di Stati nazione separati su base etnica. L'autonomia che questi movimenti rivendicano è la capacità degli indigeni di decidere da soli la propria sorte nel contesto nazionale esistente, la capacità di partecipare alla vita economica, sociale, culturale e politica, senza rinunciare a differenze ed uguaglianze con tutti. Oggi, l'immagine negativa degli indigeni inferiori, sottomessi, destinati a scomparire, non si basa più su niente. Sono sempre più numerosi quelli che rivendicano una propria identità. La mobilitazione contro la commemorazione del quinto centenario della scoperta (nel 1992 nell'America che parla spagnolo, nel 2000 in Brasile) costituì un momento chiave di questo cambio storico. Gli Zapatisti, che ancora non si annunciavano come tali, realizzarono insomma la loro prima manifestazione pubblica, durante la quale fu distrutta la statua del conquistatore che fondò la città di San Cristobal: più tardi fu grazie a loro che l'esigenza di unire identità culturale e democrazia si convertì in un tema centrale del dibattito nazionale. Tutto il contrario di un "indianismo" chiuso o di un comunitarismo nel quale i loro avversari volevano confinarli, non potendo riuscire a definirli marxisti ortodossi che nascondo le proprie intenzioni. È certo che inizialmente l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) era composto da rivoluzionari di ispirazione guevarista o maoista, con connotazioni propriamente messicane: bianchi o meticci delle città, con alcuni compagni di matrice indigena. Anche i loro obiettivi erano classici; una guerra di guerriglia avente come fine, alla distanza, la presa del potere. Però contribuirono a cambiare il corso delle cose la partecipazione nell'EZLN di indigeni più interessati ai cambi economici, sociali o culturali che al potere dello Stato, la caduta del muro di Berlino e la fine delle guerriglie centroamericane, la speranza che l'opposizione di centrosinistra, diretta da Cuauthèmoc Càrdenas, andasse al potere con meccanismi elettorali (speranze perse nello scorso luglio), l'incontro nel 1994 con una società civile messicana desiderosa sì di cambiamenti, ma refrattaria ad appoggiare la via armata. L'ascesa degli zapatisti fu esattamente inversamente proporzionale della caduta del comunismo. Non potevano contare su Cuba e neanche sui sandinisti: il vecchio schieramento politico non funzionava più, non esisteva più alcun modello di riferimento. Proprio questa rottura li obbligò ad improvvisare, ad inventare. Fu proprio la loro creatività che li fece forti. Dopo gli scontri dei primi 12 giorni della ribellione, questa atipica guerriglia si astenne dal realizzare azioni militari offensive. È certo che ebbero gioco in questo le divisioni interne. Ma la presa d'armi dell'EZLN non fu la principale responsabile della violenza degli ultimi anni in Chiapas. La "prima guerriglia post-comunista" ebbe come obiettivo l'inventare una cultura politica che avrebbe potuto combinare domanda sociale, diritti culturali ed esigenze etniche. Con l'appoggio delle reti di simpatizzanti zapatisti e con l'aiuto delle nuove tecnologie, questa netwar sociale, questa prima "guerriglia dell'era informatica" si fece carico di trasformare in una guerra di simboli la violenza indigena in essi contenuta. Ambizione ed innovazione che ebbero molto peso nel suo impatto nazionale e internazionale tra il `94 ed il `96. Certo però che lo zapatismo non fu accolto dalle grandi mobilitazioni sociali come sperava. Al contrario, in questi ultimi anni utilizzò quasi tutta la sua energia per resistere in un clima di guerra larvata in Chiapas (provocazioni governative, massiva occupazione militare, terrorismo paramilitare, esacerbazione dei conflitti intra-comunitari), in un contesto nazionale attento solo alla questione elettorale. Sono passati già quasi sette anni dalla irruzione di Marcos e degli zapatisti e mai hanno taciuto le voci che annunciavano e desideravano la loro fine imminente. Ma anche se gli zapatisti hanno subìto forti colpi, sono sempre riusciti ad attraversare tormente e turbolenze che aumentarono specie dopo l'interruzione dei dialoghi di "pace" alla fine del `96. Ora che i suoi peggiori nemici hanno perso il potere e parte del loro potenziale nocivo, saranno capaci di riunire i pezzi di una società locale frammentata e riapparire nella scena nazionale ed internazionale? Molte catene si sono rotte e si romperanno ancora, liberando spazi per le necessarie, e oggi possibili, ricostruzioni. Il retrocedere della sinistra classica mette gli zapatisti in una situazione di aspettative e maggiori responsabilità. Il vecchio mondo non c'è più, i poteri e le ideologie stataliste che dominarono il XX secolo sono rimaste indietro. Lo zapatismo è sempre avanti. La sua eco si ascolta nell'aumento di lotte contro la globalizzazione neoliberista: a Seattle, in Ecuador, in Cile, a Millau, a Praga. Certo però questa eco ha perso forza negli ultimi anni, e la ritroverà soltanto se gli zapatisti sapranno approfittare della nuova situazione messicana, specialmente nel nuovo contesto Chiapaneco. La domanda è: potranno far proposte di peso? O si sprecheranno in condotte difensive per fronteggiare le iniziative che, sicuramente, prenderà un governo desideroso di spogliarsi della calamitosa gestione del PRI riguardo al conflitto chiapaneco?

Yvon Le Bot



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