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Da "Umanità Nova" n.10 del 18 marzo 2001
Un capitalismo dal volto umano?
No all'uomo Del Monte
Ho sempre pensato che la lotta politica richieda
strumenti e metodologie differenziate che siano "consone" al momento in cui
vengono utilizzate. Il presupposto essenziale perché ciò avvenga
è che le prassi politiche siano coerenti con ciò che idealmente
ed ideologicamente si pensa. Non credo cioè che si possa andare in
deroga, neppure nei momenti rivoluzionari, a dei principi considerati come
costitutivi della società che si vuole realizzare: il fallimento dei
regimi del socialismo reale iniziò non con la burocratizzazione dei
partiti di stato (come qualche simpaticone trotsko-bordighiano ci ha voluto far
credere), ma già nella loro concezione autoritaria del comunismo
(repressione del dissenso, deportazioni, fucilazioni di massa, il
partito-stato, il sindacato-stato, il pensare che il socialismo e lo stato si
potessero coniugare...). Ma torniamo al dunque: da svariati anni a questa parte
hanno preso un considerevole volume le proposte di boicottaggio di prodotti, di
azioni di società, o addirittura di stati interi considerati come
portatori di politiche repressive e/o di sfruttamento oltre ogni soglia
considerata accettabile. Penso, a questo proposito, che già la
considerazione di accettabile non accettabile sia alquanto ardua, se non in
alcuni casi mistificatoria e penso, secondariamente, che tali e tante sarebbero
le cose da colpire da poter rendere paranoico qualsiasi onesto boicottatore.
Non credo nemmeno che redigere liste alternative sia cosa buona e giusta
poiché trovo che l'idea di privilegiare la concorrenza rientri a pieno
titolo nel gioco del capitalismo di mercato e non escluderebbe di trovarmi a
comprare roba di sfruttatori con la faccia ripulita. Infine credo che se si
misurasse in termini di efficacia (far fallire qualcosa o qualcuno) il
boicottaggio ci farebbe pensare ad un disastro epocale, giacché la
maggior parte delle campagne anti-... ci hanno confermato solamente il dato
contrario ovvero che le aziende/stati/prodotti sono più sani e prosperi
di prima e che la stragrande maggioranza degli acquirenti se ne frega altamente
(e forse meno ipocritamente) di ogni acquisto "etico", quasi a presupporre che
ci sia un'eticità del commercio. A che pro quindi le campagne di
boicottaggio? Sicuramente a due questioni:
Sensibilizzare su uno o più problemi politici.
Ottenere una pressione indiretta su coloro che si vuole colpire: l'immagine,
nel commercio, è tutto.
Una cosa sino ad ora non mi era venuta in mente, o aveva albergato nei
più reconditi ripostigli della mente: e se le campagne di boicottaggio
servissero, in qualche caso s'intende, a legittimare, dopo un bel maquillage, i
tremendi sfruttatori di innocenti che imperversano sul globo terrestre? La
risposta me la hanno fornita in questi giorni il quotidiano "il manifesto" che
riporta in data 8 marzo 2001, pagina 8, un articolo dal titolo roboante: "Se
Del Monte dice sì". L'articolo firmato da Antonio Sciotto ci racconta
che a seguito della campagna di boicottaggio degli ananas Del Monte, e che a
seguito della pressione diretta sul loro maggiore acquirente, la Coop, gli
uomini e le donne di Cragnotti[1] (che possiede la buona fetta di azioni Del Monte tramite la CIRIO) hanno deciso di rendere più vivibile la condizioni degli sfruttati africani che lavorano nei campi di coltivazione dell'ananas. Le migliorie riguardano la coibentazione dei tetti dove alloggiano i lavoratori della terra (prima erano solo lamiere), la fornitura di fontanelle per bere nei campi di coltivazione, l'assunzione di molti degli avventizi e l'aumento della paga del ben 27%: tradotto vuol dire che dalle 4.000 lire giornaliere si passa alle 5.200 per i "regolari" e dalle
3.000 alle 4500 per gli avventizi. Infine ci saranno i corsi di formazione
sull'uso dei pesticidi. Sulla base di queste migliorie Il Centro Nuovo Modello
di Sviluppo di Pisa ha deciso di interrompere la campagna di boicottaggio nei
confronti della Del Monte.
Ora mi chiedo: se i lavoratori e le lavoratrici africane passano da un regime
di schiavitù ad un altro regime di semi-schiavitù e questa
è ragione sufficiente per togliere un boicottaggio, questo vorrà
forse dire che la Del Monte d'ora in avanti potrà dire di essere
un'azienda rispettosa dei diritti umani e contraria allo sfruttamento degli
esseri viventi?
Forse qualche ultras laziale di fede nazista farà la pubblicità
degli ananas Del Monte accompagnato da una famiglia africana sorridente dopo 12
ore di lavoro nei campi?
Non voglio con questo sottovalutare l'importanza di miglioramenti
significativi, anche se molto parziali, ma alla favola del capitalismo dal
volto umano non ci ho mai creduto.
Pietro Stara
[1] Presidente della Lazio calcio spa
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