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Da "Umanità Nova" n.11 del 25 marzo 2001

Sindacalismo di Base
Le sinergie possibili

Sulla base di un "Appello agli attivisti sindacali anarchici e libertari per una piattaforma del sindacalismo conflittuale, di classe a prassi libertaria!", firmato da alcune decine di militanti di diversi sindacati, si è tenuto a Firenze un primo incontro dei compagni interessati alla proposta.

L'incontro, che si è caratterizzato per un clima fraterno e per una discussione interessante, si è concluso con l'approvazione di una breve mozione che individua la necessità di un percorso di lavoro fra i compagni partecipanti e con l'invito ad allargare il confronto ad altri compagni.

La discussione si è incentrata sulla necessità di trovare forme d'azione e sedi di confronto comuni e alcuni importanti passi in avanti sono stati fatti soprattutto con l'individuazione del Convegno di Livorno del 17 e 18 marzo sulla previdenza, promosso dalla Federazione Anarchica Livornese, e di quello di Milano del 7 ed 8 aprile, promosso dalla rivista "Sindacalismo di Base" come occasioni di ripresa del dibattito.

Sull'analisi della situazione sociale generale, i punti di concordanza non erano pochi. Non è stata possibile una discussione approfondita su alcune questioni delicate e, in particolare, sulla natura sociale dei sindacati, sul rapporto con l'apparato statale e con i partiti parlamentari, sul compito specifico dei militanti libertari sul terreno di classe ma alcuni interventi hanno iniziato a disegnare un possibile percorso di confronto.

I compagni che hanno promosso l'appello si sono mossi, programmaticamente, in uno spirito d'apertura sia dal punto di vista sindacale che da quello politico. È, infatti, evidente che i primi promotori sono militanti delle Federazione dei Comunisti Anarchici (FdCA) ma il testo è stato sottoscritto anche da militanti della FAI e da compagni che non appartengono a queste due organizzazioni. Sul piano sindacale hanno coinvolto compagni delle più diverse appartenenze.

Per parte mia, ritengo:

che vada sostenuto ogni sforzo che va nella direzione dell'unità dei militanti libertari in campo sindacale;

che altrettanto vada fatto per quel che riguarda l'unità dei lavoratori nella lotta e, in particolare, per l'unità del sindacalismo alternativo;

che sia necessario ragionare sulle dinamiche che hanno, sino ad oggi, impedito il realizzarsi di obiettivi così evidentemente condivisibili al fine di fare dei reali passi in avanti.

Il variegato mondo del sindacalismo libertario

Nel campo libertario la questione sindacale vede approcci anche fortemente differenziati derivanti sia dai riferimenti teorici generali sia dalle esperienze maturate negli anni.

Ritengo si possano individuare tre posizioni generali:

una componente che guarda con scarso interesse se non con indifferenza al conflitto di classe;

una componente che, collocandosi sul terreno dello scontro di classe, è pervenuta al convincimento che il sindacalismo è uno strumento dell'integrazione delle classi subalterne nelle relazioni sociali dominanti;

una componente, infine, che individua nell'organizzazione sindacale un terreno di azione e un riferimento organizzativo.

Non si tratta, ovviamente, di universi completamente separati e non mancano occasioni di collaborazione soprattutto fra compagni che fanno riferimento alla seconda ed alla terza componente.

Fra i "sindacalisti" si possono individuare, sempre in maniera assai schematica, tre posizioni:

i fautori di un sindacato di orientamento esplicitamente libertario;

coloro che ritengono che il sindacato sia, per sua natura, riformista e che non vale la pena di consumare energia nella costruzione di sindacati radicali che, quando fuoriescono da un ruolo di testimonianza, sono costretti ad accettare l'integrazione nelle relazioni sociali dominanti e che, di conseguenza, aderiscono ai sindacati di stato al cui interno si pongono come minoranza;

coloro che ritengono possibile, a partire dalla crisi del corporativismo democratico che si sta dando negli ultimi decenni, un sindacalismo combattivo e classista al cui interno la componente libertaria può giocare un ruolo di stimolo e di orientamento.

Nel corso del passato decennio, la discussione fra i compagni che si riconoscono in queste posizioni è stata vivace e non sempre serena.

Alcuni tentativi già sperimentati

Gli anni '90 hanno visto diversi tentativi di unificazione dell'area libertaria sul terreno sindacale. Basta ricordarne un paio:

l'Associazione Pietro Ferrero che si è posta, ad inizio decennio, come luogo di discussione fra militanti libertari impegnati sul terreno di classe;

i tre convegni (Livorno, Torino, Roma) organizzati dalla rivista "Comunismo Libertario" a metà anni '90 proprio al fine di creare una sede di confronto fra i compagni interessati al di là degli steccati di organizzazione.

In entrambi i casi non è stato possibile costruire una casa comune dei militanti sindacali libertari. Ritengo che le ragioni di questa difficoltà siano molteplici e che sia bene segnalare le più evidenti:

i compagni impegnati nella costruzione di sindacati di opposizione sono portati ad avere una forte identificazione con il sindacato di appartenenza con l'effetto di stentare a distinguere fra la propria identità politico culturale e quella organizzativo sindacale. Il patriottismo di organizzazione sindacale, insomma, ha operato come freno alla ricerca di terreni di intesa;

chi crede possibile e necessaria l'esistenza di una sindacato di chiaro segno libertario tende spesso a vedere nei compagni che fanno scelte sindacali diverse dei veri e propri disertori rispetto ad una possibilità che ritiene all'ordine del giorno;

non è facile il rapporto fra chi sta in un sindacato alternativo e chi sta in un sindacato di stato quando il sindacato di stato opera attivamente a negare a quelli di opposizione anche le minime libertà di azione;

l'impegno sindacale quotidiano lascia sovente poco spazio per altre attività ed un coordinamento dei lavoratori libertari tende ad apparire come un inutile doppione dei gruppi libertari esistenti e dei sindacati nei quali si opera.

Le prospettive attuali

È opportuno domandarsi quali siano le condizioni per avviare un percorso che dia risultati significativi.

Tutte le esperienze vanno, a mio avviso, rispettate nella loro specificità. Una buona discussione deve, a mio avviso, non nascondere le differenze e le loro ragioni e definire il piano di lavoro comune possibile senza titubanze ma anche senza forzature.

Va, di conseguenza, svolta una riflessione sui caratteri, i pregi, i limiti delle varie esperienze che si sono date per porci assieme questioni importanti quali, per fare un solo esempio, il rapporto con i diversi partiti parlamentari e il ruolo della critica libertaria al parlamentarismo. Segnalo quelli che mi sembrano essere problemi aperti:

la natura sociale dell'apparato sindacale. Nel corso dei passati decenni si è sviluppata, in una serie di paesi occidentali, una vera e propria borghesia di stato, con la corrispondente piccola borghesia, che controlla, in problematica coabitazione/concorrenza con la borghesia del settore privato, i processi della produzione di merci e, soprattutto, quelli della riproduzione sociale capitalistica;

il ceto politico sindacale va analizzato con gli stessi strumenti con i quali analizziamo la borghesia imprenditoriale e le altre classi che animano l'attuale universo sociale. Di conseguenza, le scelte dell'apparato sindacale vanno spiegate, in primo luogo, con la sua fisiologica tendenza a riprodursi come ceto particolare dell'attuale società;

non siamo in una fase di opposizione fra sindacalismo riformista e sindacalismo rivoluzionario ma, casomai, di opposizione fra sindacalismo di stato e movimenti autonomi dei lavoratori quando i lavoratori rompono la passività e l'atomizzazione che caratterizza la loro/nostra normale condizione;

il sindacalismo alternativo si sviluppa dentro questa contraddizione e ne è necessariamente segnato. Decenni di statalizzazione del movimento operaio hanno prodotto relazioni sociali, mentalità, forme di mediazione che lo stesso riformismo al contrario che caratterizza le politiche statali degli ultimi decenni non ha per nulla spazzato via aprendo lo spazio ad un rinato sindacalismo d'azione diretta di dimensioni analoghe a quello dell'inizio del XX secolo;

lo sviluppo del sindacalismo di base è un prodotto del riformismo al contrario del capitale. Settori di lavoratori sentono l'esigenza di un sindacalismo militante che l'apparato dei sindacati di stato non può permettersi. Si tratta di un'esperienza di notevole rilievo ma non della forma finalmente trovata dell'autorganizzazione di classe;

l'appello, si rivolge ai militanti sindacali libertari. Ne deriva, come conseguenza, che il confronto non può svolgersi solo sull'opportunità, incontestabile, di favorire forme di unità nelle iniziative o sul piano organizzativo fra diversi sindacati. Le questioni della statalizzazione del sindacalismo, del ruolo della borghesia di stato, delle forme più efficaci di rottura del controllo corporativo vanno poste alla discussione;

andrebbero chiarite le ragioni delle diverse scelte. Per dirla con più franchezza che discrezione, sembra poco plausibile il porre sullo stesso piano sindacati di stato e sindacati di opposizione non perché i secondi siano meritevoli di adorazione ma perché i primi sono irrecuperabili anche alla funzione sindacale minima e cioè alla difesa, nel quadro delle relazioni sociali capitalistiche e statali, degli interessi immediati delle classi subalterne;

se assumiamo che il patto corporativo che ha caratterizzato l'età dell'oro del capitalismo ha momenti di crisi significativa, ne consegue che vanno individuati gli assi di intervento più adeguati al fine di rompere questa gabbia e di rilanciare un'azione di classe efficace. Su questo terreno sono possibili forme d'unità d'azione fra compagni appartenenti a diversi sindacati.

Cosimo Scarinzi



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