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Da "Umanità Nova" n.12 del 1 aprile 2001

17 marzo cronache napoletane 1
Tarantella ca nun va bona

Mercoledì 15 marzo con un corteo serale si aprono le danze.

La città era blindata dal giorno precedente, e già sentivamo sul collo il fiato del carabiniere in assetto antisommossa.

Ogni McDonald era piantonato dai carabinieri.

E mio malgrado ogni mattina devo passarci davanti e respirarne l'aria fetida che viene sputata fuori dalla cucina. Ti squadrano e ti tengono d'occhio finché non ti allontani, sei un criminale, un "manifestante" se il tuo sguardo non è benevolo, consenziente.

Piazza del Gesù, non molti carabinieri per un corteo di poche persone, perlopiù napoletane, che ballano, scegliendo a chi aggregarsi più per la musica sparata dagli amplificatori posti sui camion che per le idee politiche.

La tensione diventa tangibile quando a metà percorso, sfrecciando due volanti di carabinieri ed una di polizia tra i manifestanti, la folla abbandona le danze e corre all'impazzata. Si sentono due scoppi, tutti urlano "lacrimogeni", sono solo comuni petardi e definirli petardi è anche troppo.

La manifestazione si conclude nella serata inoltrata tra balli e "trenini" davanti ai cordoni delle forze dell'ordine.

Ma già si sa che sabato non sarà così.

Sabato ore 9 concentramento a piazza Garibaldi.

Arriviamo in anticipo, e osserviamo lo sparuto gruppo del "popolo di Seattle" al momento formato solo da sezioni di Rifondazione.

Perlustriamo i vicoli che conosciamo come le nostre tasche, non li riconosciamo come nostri, non ci sono le solite facce dei venditori ambulanti, degli immigrati che li gremiscono nei "tranquilli" giorni. Ti illudi che sia veramente vuoto, svolti l'angolo e pensi che sia in atto una guerra civile: per ogni vicolo c'è un blindato dalla cui botola spunta un uomo armato, e un plotone formato da una quindicina di uomini perfettamente equipaggiati.

Ritorniamo in piazza Garibaldi, fortunatamente il popolo di Seattle è aumentato e si vedono anche striscioni di compagni e di centri sociali.

Il corteo incomincia la marcia, la piazza alle sue spalle è stracolma, non riesce a contenere i manifestanti che continuano ad arrivare.

È la mia prima manifestazione vista non più con gli occhi di una quattordicenne studentessa di liceo piena d'aspettative suscitatele dai racconti di sua madre.

Quelle aspettative ora non ci sono più e il corteo avanza.

La manifestazione lungo tutto il percorso si è svolta in uno strano trambusto di suoni: la solita musica sparata dal camion di rifondazione faceva solo da sottofondo al vociare confuso dei manifestanti che ogni tanto si miscelava al sordo picchiare di martelli contro qualche vetrina che non veniva giù.

Il vociare quasi si interrompe quando passa la prima parte del corteo davanti all'Università Federico II.

La tensione è molta e noto quasi sconvolta i movimenti del drappello fermo davanti all'università, rapidi e goffi, piccoli passi a destra e a sinistra, insomma da burattini. La situazione esplode a Mezzocannone: i carabinieri scendono di corsa, parte una sassaiola dai manifestanti, sparo di lacrimogeni dall'ultima fila del gruppo dei carabinieri e dopo pochissimo la carica.

Non ci sono altri scontri fino a piazza Municipio.

Prima che gli ultimi gruppi di manifestanti entrino nella piazza i carabinieri che chiudono il corteo prendono dalla giberna il guantone grigio, un folto gruppo di finanzieri scende da una camionetta ferma all'angolo tra via De Pretis e calata San Marco e incominciano la vestizione; solo dopo apprenderò che avrebbero chiuso quella strada, ultima via d'uscita quando da ogni accesso alla piazza partivano le cariche per stringerci in una rete.

Le cariche in piazza sono già cominciate, ma sono lontane; il punto caldo è nella parte più alta della piazza, più vicina a palazzo San Giacomo, cerchiamo di avvicinarci, ma è insopportabile il fitto fumo dei lacrimogeni.

Decidiamo di metterci nel posto più sicuro: sulle aiuole, lungo la ringhiera del fossato del Maschio Angioino. Nessuno presta attenzione al cordone che sbarra la piazza verso il porto, siamo tutti rivolti al lato opposto, verso il punto caldo, ma per le urla del plotone che avanza compatto e deciso ci giriamo, pochi attimi e ci sono addosso.

Veniamo tutti compressi contro la ringhiera, spinti in avanti dalla furia dei militari.

Alziamo le mani. Tutti urlano, cerco con lo sguardo Legrand ma non lo trovo, le persone intorno a me hanno tutte lo stesso volto, il volto anonimo della paura.

Alcuni ragazzi riescono a superare il cordone e corrono via, ora siamo noi le vittime. Gli automi picchiano e urlano insulti, con gli scudi ci spingono verso il centro della piazza. Resto stretta alla ringhiera per scansare le manganellate del primo carabiniere: mette a segno tutti i violenti colpi sul ragazzino inerme che mi è davanti, lo accusa di avergli lanciato pietre, lo minaccia di spaccargli la testa, mentre il ragazzino prova a difendersi con lunghi "NOOOO!", che non riescono a fermare tanta violenza.

C'è chi scappa verso le altre cariche e perfino chi si lancia nel fossato del Castello pur di evitare le botte, c'è chi non riesce a fuggire e resta a terra sanguinante ancora oggetto di pestaggio.

Il carabiniere continua a scatenare la sua forza sulla testa del ragazzino e non riesce a spostarmi, mi scopro a metà tra il gruppo di manifestanti e la via d'uscita, con lo scudo del carabiniere nello stomaco. Qualcuno mi tira via e mi consiglia di allontanarmi velocemente. Mi fermo a chiamare Legrand che non mi risponde e chi mi ha tirato fuori dalla zuffa mi ripete di andare via, ed aggiunge di non preoccuparmi.

Lo guardo spaventata, è un giovane carabiniere con la carabina e secondo lui non mi dovrei preoccupare.

Vado via, ritrovo gli altri amici, nella piazza il fumo è fitto, gruppi di militari picchiano i ragazzi rimasti all'interno. Legrand sarà tra loro?

Incontro un'amica, è stata picchiata al ritmo di "troia sei solo una troia". Ha una grossa ferita alla nuca, e il collo sporco di sangue, e nella testa le dure parole. L'hanno umiliata, hanno provato a calpestarne la coscienza e a reprimerne le idee perché "sei una troia, solo una troia".

Le faccio compagnia poi vado in cerca di Legrand. Lo troverò molto più tardi.

Le aspettative si dissolvono guardando la realtà: potere ottuso che si manifesta nella violenza delle istituzioni.

Di tarantelle ne ho viste ma questa nun va bona.

Margot



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