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Da "Umanità Nova" n.12 del 1 aprile 2001

Il primato dell'insipienza
A proposito di un saggio di Pietro Adamo

Lo storico Pietro Adamo è uno specialista della Rivoluzione Inglese del XVII secolo: ne ha messo in evidenza i tratti libertari e ha affermato che lo stesso anarchismo vi dovrebbe trovare le proprie origini più profonde e autentiche. Ha poi affrontato temi svariati che vanno dalla pornografia alle questioni della religione e della divinità ieri e oggi. Nel complesso ha scritto molto e ha dimostrato di possedere non comuni doti di originalità insieme a un forte gusto per la provocazione culturale e talora politica.

Lo studioso Pietro Adamo ha anche collaborato con vari periodici di area libertaria e anarchica, in particolare quando si presentava l'occasione per una succosa polemica su aspetti teorici e storici dell'anarchismo che gli parevano contenere germi di autoritarismo e influssi nefasti del socialismo nelle varie versioni. Nel complesso gli si deve riconoscere dedizione al confronto aspro e articolato: insomma finora si è dimostrato un polemista di tutto rispetto, molto utile agli intellettuali-militanti per non cadere nelle riproposizioni agiografiche e scontate.

L'Adamo ha ormai alle spalle una decennale presenza in ambienti libertari e "libertari", con qualche sensibilità particolare dove il liberalismo sostituisce ogni riferimento all'anarchismo classico (si legga l'"anarcocapitalismo"), ed è stato un autore fino a un certo punto controcorrente, ad esempio nel saggio dal significativo titolo Fondamentalismo anarchico ("Volontà", n. 1 del 1995). In questo tempo la sua non modesta preparazione filosofica e storica ha prodotto scritti di una certa intelligenza e altri meno felici e indovinati. Il recente caso del saggio "La morte di Berneri e le responsabilità di Togliatti" (apparso su "MicroMega", nota rivista politica e culturale della sinistra modernizzata italiana, n. 1 del 2001, pp. 85-112), rientra a buon titolo nella seconda categoria, quella sfortunata. Infatti qui si può riscontrare un grave scivolone, prima morale che intellettuale, dovuto probabilmente ad una sostanziosa dose di arroganza condita da una spruzzata di presunzione e qualche granello di ignoranza, cioè gli ingredienti della insipienza. Il nostro (si fa per dire) Adamo ha offerto, in poche righe messe tra parentesi, uno scottante esempio di classica calunnia contro gli anarchici spagnoli, un'infamia (per usare un termine più appropriato) che sembra presa di peso dall'arsenale della propaganda stalinista o, a scelta, franchista. Naturalmente è il caso di riprodurre il breve pezzo così come compare a pag. 106, all'interno di un'analisi del libro di Giorgio Bocca dedicato al Migliore, cioè al gesuita bolscevico che rispondeva al nome di Palmiro. Ecco la perla: "a sinistra nessun gruppo superò i libertari in quanto a crudeltà verso la popolazione civile, si trattasse di comunisti o degli odiati preti e borghesi. Sull'argomento cfr. per esempio R. Fraser, 1986; B.Bolloten, 1991; B. Caplan, s.d.".

In altra sede mi riprometto di entrare nel merito propriamente storiografico, cioè sulla credibilità e la congruenza delle fonti con l'assunto enunciato (si veda "Libertaria", n. 2 del 2001), mentre qui intendo affrontare il significato politico e psicologico dell'affermazione di un collaboratore di alcune testate anarchiche. Ad esempio, della stessa "Libertaria" dove, complice l'alfabeto, risulta al primo posto tra i redattori.

Non mi pare il caso di confutare in modo particolareggiato l'accusa gratuita, goffa e velenosa, su un presunto primato anarchico della crudeltà. Tale affermazione svuota e vanifica un serio ragionamento sui condizionamenti e le contraddizioni imposte all'anarchismo dalla guerra civile spagnola, un evento storico che non assomiglia per niente a un convegno di filosofia né al classico pranzo di gala (chiedo scusa per la banalità). Altro spessore hanno avuto le riflessioni, crude e autocritiche, di quei militanti spagnoli e non solo, fini intellettuali o lavoratori manuali, che hanno vissuto sulla propria pelle gli effetti devastanti della militarizzazione, della collaborazione governativa, del centralismo organizzativo e dell'appiattimento teorico provocati dalla guerra con le sue brucianti urgenze e le conseguenti tragedie umane. Comunque non andrebbe dimenticato il principale significato storico dell'anarchismo spagnolo, il movimento con più forti radici popolari sullo scenario mondiale, con una diffusa speranza di emancipazione dell'intera umanità, con un livello eccezionale di tensioni ideali e di resistenza collettiva a lunghi periodi di clandestinità, con una volontà di sperimentazione economica e sociale nelle campagne e nelle città. Tutto ciò non può toccare alcuna corda intellettuale o morale in chi si diletti nel conferire la medaglia del più crudele della sinistra, in chi è consapevole di portare il proprio mattoncino all'edificio della mistificazione storica e dell'inganno politico.

Ad ogni modo in fatto di violenze che metterebbero sullo stesso piano anarchici e stalinisti, anzi i primi su un piano più spregevole dei secondi, vorrei ricordare che nei giudizi storici non si può prescindere dall'assenza di un elemento strutturale, cioè dal fatto che le violenze di certi singoli anarchici, talora orribili come può succedere nel contesto di una lotta senza quartiere, non sono diventate un fatto regolare, sistematico, programmatico. In altre parole non si sono dirette istituzionalmente contro la popolazione civile, magari contro donne e bambini estranei al conflitto in corso, per fissare con il terrore generalizzato un ruolo di supremazia e di potere indiscutibile. Comunisti, preti e borghesi ricordati dall'ineffabile Adamo non sono esattamente popolazione civile, ma parte in causa e spesso armati fino ai denti. Ugualmente va detto che le stesse organizzazioni libertarie, secondo alcune testimonianze, condannarono politicamente e materialmente delle azioni di efferatezza gratuita e di ingiuste appropriazioni compiute da individui che approfittarono della generale confusione per fare i propri affari loschi.

Per quanto riguarda poi le fonti ricordate, qui si può tranquillamente sostenere che, ognuno per propri motivi, i tre autori citati non possono essere fatti passare per valide e appropriate e quindi autorevoli. L'ampia bibliografia sulla guerra civile andrebbe esaminata considerando le impostazioni dei singoli autori, il grado di documentazione consultata e i criteri adottati per le rielaborazioni dei materiali di partenza per giungere alle rispettive conclusioni. Cosa che l'Adamo non fa minimamente.

Come i lettori di "Umanità Nova" sanno (vedi l'articolo sui 233 nuovi martiri beatificati dal signor Wojtila, scritto da Massimo Ortalli, Beati i sanguinari. Omaggio al franchismo, n. 11 del 25 marzo) è in atto, ormai a livello internazionale e con grande spazio sui mass media, una campagna di rivalutazione del franchismo e perciò di colpevolizzazione degli antifranchisti, in particolare dei rivoluzionari che si batterono non solo contro il golpe, ma per fondare una nuova società. Adesso si possono intendere meglio certe polemiche italiane di qualche anno fa che ruotavano attorno ad uno storico di complemento, in realtà un diplomatico e politico, come Sergio Romano. Tuttavia questo tipo di riferimento storico non vuol dire cadere nelle forzature sciocche che vedrebbero in ogni laico e liberale uno strumento occulto del nazionalcattolicesimo, né tantomeno vuol dire identificare ogni condanna delle violenze, ovviamente anche anarchiche, della guerra civile un attacco forsennato all'immagine sacra e intoccabile del movimento spagnolo. Non è proprio il caso che si invochi un atteggiamento indipendente e critico, una sorta di diritto all'irriverenza, abbastanza scontato fra libertari veri, a giustificazione di quella che si presenta come un'autentica mascalzonata.

Forse l'incauto Adamo non ha riflettuto abbastanza sulla responsabilità di scrivere su una pubblicazione a larga diffusione, soprattutto negli ambienti della sinistra democratica che cerca di rifarsi il trucco rovinato dalla crisi del bolscevismo, presentando gli anarchici spagnoli come "i più crudeli". Forse non ha tenuto conto di allungare ipso facto la lista delle calunnie di professionisti, stalinisti in prima fila, che hanno cercato di coprire i loro misfatti con le presunte intollerabili violenze degli incontrolados. In realtà questa figura fu moltiplicata ad arte dopo il luglio del 1936 dai partiti statalisti per restringere gli spazi del movimento anarcosindacalista e costringerlo a militarizzarsi e a compromettersi in modo sempre più vincolante e suicida. Forse ha voluto gettare un sasso nello stagno per smontare le ricostruzioni troppo retoriche che talora possono essere state realizzate attorno al tema spagnolo. Forse, forse, forse...

In realtà non è facile farsi una ragione di tale metidura de pata, cioè di un'azione sgraziata e disgraziata, da parte di persona colta e avveduta. Però ormai pare che non sia possibile correggere l'errore sulla stessa rivista, come sarebbe naturale e giusto, opportuno e doveroso, se si volesse da parte dell'autore correre ai ripari. Se invece il buon Adamo intendesse godersi lo spettacolo degli anarchici adirati per la canagliata, rivelerebbe un'alta concentrazione di egocentrismo nel momento stesso in cui ha deciso di giocare al ruolo nobile e anticonformista dell'eretico impenitente.

In effetti la citata frase offensiva, anche se posta fra parentesi, è coerente con il seguito del suo articolo su "MicroMega": un' "eretica" interpretazione dell' "eretico" Berneri. Nella premessa a due articoli berneriani, lo studioso milanese ripropone temi e approcci eterodossi, dalla religione alle elezioni alle stesse istituzioni statali. Il bravo Adamo è convinto di aver finalmente trovato in Camillo Berneri (che il volgo imbecille e rozzo del movimento venera come "quasi un santino, una specie di icona", p. 113) un autorevole precursore, un autore che possiede le sue stesse convinzioni, cioè "un forte senso del radicamento dell'anarchismo nell'alveo della civiltà liberale" (ibidem). Da zelante archeologo ha rinvenuto una busta nell'Archivio di Reggio Emilia sulla quale il pragmatico Camillo avrebbe scritto il proprio credo, logicamente "vicino all'ethos del liberalismo filosofico" (p. 115). Berneri gli appare, quasi in una visione salvifica (altro che laicismo!), come un tormentato dai dottrinari, una vittima dell'ottusità dei suoi banali compagni, un pensatore laicissimo e lacerato fra il ruolo razionale e critico dell'intellettuale e i sacrifici della coerenza e dell'originalità teorica a cui lo avrebbe costretto la ingrata militanza.

Vi è in questo atteggiamento psicologico e intellettuale una proiezione, se non una identificazione, che genera, almeno in me, un sentimento di irritazione: se è vero che il signor Pietro Adamo ha molto parlato e scritto di anarchia, non consta che egli abbia avuto la minima militanza concreta fatta di questioni pratiche, di impegni organizzativi, di volgari azioni di propaganda. Quindi la sua condizione non può essere assimilata a quella di un esule ricercato per dieci anni dalle polizie di mezza Europa, ad un individuo privato degli affetti ed emarginato economicamente, ad un combattente (peraltro quasi sordo e molto miope) che vuole essere generosamente, e incoscientemente, in prima linea a Monte Pelato, nell'agosto del 1936. Insomma se un militante-intellettuale, cioè dotato di idee e attività anarchiche, può soffrire veramente la lacerazione fra le due "anime", un intellettuale laico e liberale dei giorni nostri, per quanto voglia mostrare un "calmo furore iconoclastico" (p.118) all'ombra di Berneri, non può incantare nessuno con le sparate, gli insulti, le acrobatiche provocazioni.

L'intelligente studioso dovrebbe aver capito che a fare l'eretico tra gli anarchici, in fin dei conti, si ricava una soddisfazione abbastanza magra e si corre qualche pericolo stupido. Come consiglio spassionato, ma non tanto, si può suggerirgli di provare a scandalizzare gli "anarcocapitalisti", con i quali cinguetta liberamente in più di una circostanza. Altre sono le gratificazioni che potrebbe trovare nel liberalismo puro e duro, dove non albergano gli eredi dei più sanguinari rivoluzionari con i loro dogmi e le loro inquisizioni, dove le sane "visioni pragmatiche" hanno abbondantemente sconfitto ogni residua "fede utopica" (p. 117) dalle insopportabili conseguenze totalitarie e conformiste. In questi ambiti non troverà ingombranti richiami all'etica che puzzano di integralismo ortodosso e potrà dilettarsi con ogni e più gradevole "atteggiamento possibilista" (p.118).

Buona fortuna, cittadino Adamo!

Claudio Venza



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