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Da "Umanità Nova" n.12 del 1 aprile 2001
Estremismo di destra ed autoritarismo in Europa
Moderni, troppo moderni
È possibile definire l'estrema destra europea come "fascista"? La sua
pericolosità è paragonabile a quella dei fascismi storici?
Ciò che si intende qui sostenere è che una risposta univoca non
sia possibile e che spesso i movimenti e partiti con maggiore seguito e
successo politico sono quelli che non possono, oggi, definirsi fascisti o
nazisti, per il loro legame tenue o assente con queste tradizioni; inoltre, che
la pericolosità di queste formazioni è non è però
paragonabile, almeno per il momento, a quella dei movimenti e partiti che si
sono fatti regime negli anni '20 e '30 in paesi come l'Italia e la Germania;
infine, che la minaccia attuale da loro rappresentata non è tanto nella
riedizione di un regime fascista, bensì in un loro ruolo di sostegno e
rafforzamento delle tendenze neoautoritarie in atto nelle società
occidentali.
Nei paesi europei ci sono raggruppamenti politici come Forza Nuova, Movimento
sociale "Fiamma tricolore" di Rauti in Italia, la NPD in Germania, il partito
nazionalsocialista in Danimarca, che vanno certamente definiti neofascisti o
neonazisti (in riferimento alle due esperienze storiche che hanno marcato
l'Italia oppure l'area germanofona). Per altri partiti e movimenti della destra
radicale o dell'estrema destra, dal Fronte nazionale di Le Pen ad Alleanza
nazionale, passando dal Partito liberale di Haider e dall'Udc di Blocher,
queste etichette appaiono quantomeno strette. Anche qui, se si guarda la loro
natura e il loro funzionamento, non andrebbe fatta di tutt'erba un fascio. Ci
sono dei partiti che hanno mantenuto, in forme pur diverse, un certo legame
storico, con una parte dei gruppi e delle generazioni di militanti fascisti e
nazisti "storici", come nel caso del Fronte nazionale francese o del Partito
liberale austriaco, ma soprattutto Alleanza nazionale, dove i quadri intermedi
del partito conservano una cultura politica per molti versi impermeabile alle
svolte modernizzanti delle élite nazionali. In altri casi, come l'Udc
svizzera, manca qualsiasi legame con l'esperienza dei fascismi e nazismi
storici, se si esclude qualche dichiarazione in senso antisemita da parte del
suo leader.
Se ci concentriamo sulle formazioni che hanno conquistato un successo di massa
tra gli anni '90 e l'inizio di questo decennio - senza comunque misconoscere il
pericolo insito nell'azione minoritaria delle altre - va riconosciuto che
più hanno accresciuto il loro seguito, più hanno annacquato e
più spesso disconosciuto qualsiasi legame con il fascismo e il nazismo
storico nel loro programma politico. Né Le Pen né Haider amano
essere definiti fascisti o nazisti. Ma perché i movimenti e partiti
"modernizzanti" cercano di prendere le distanze dall'eredità fascista,
quando questa in parte esiste? Anzitutto perché l'arena parlamentare e
istituzionale è accettata come terreno privilegiato d'azione e di
intervento, mentre lo "squadrismo" non interviene più come forma
d'azione complementare; in secondo luogo, perché l'allargamento dei
consensi implica la necessità di conquistare fasce della popolazione
assai eterogenee, abituate a decenni di istituzioni democratiche, ad
un'ignoranza delle vecchie dottrine fasciste e ad un diffuso individualismo; in
terzo luogo, per farsi accettare dalle classi dominanti e, almeno in parte, dal
ceto politico e mass mediatico, dove spesso il sistema elettorale e la
struttura corporativa obbligano a forme di compromesso. Ciò non implica
che l'estrema destra attuale sia destinata a divenire la destra tradizionale
futura. La tenuta e lo sviluppo dell'estrema destra in quanto tale dipendono da
condizioni nel contempo "oggettive" e "soggettive".
Le formazioni dell'estrema destra emergono o si rafforzano nelle contraddizioni
esistenti, dalle quali attingono a piene mani per costruire i propri successi.
Il successo politico dell'estrema destra europeo-occidentale negli anni '80 e
'90 coincide con profondi cambiamenti, economici, culturali e politici e con
l'espansione di forme di precarizzazione, insicurezza sociale e povertà.
In questo senso, esiste un'analogia tra l'estrema destra europea che miete
successi politici a cavallo del nuovo secolo e i movimenti fascisti e nazisti
degli anni '20-40: in entrambi i casi si tratta di una risposta autoritaria ad
una fase di accresciute contraddizioni dello sviluppo capitalistico e ai
fenomeni di modernizzazione sociale e culturale. Per riprendere quanto scritto
dal filosofo tedesco Ernst Bloch nel 1933, il loro successo risultava dalla
loro capacità di fornire una risposta, con stile spesso populista, alle
paure e alle incertezze di settori eterogenei di "perdenti" colpiti
dalle crisi di quegli anni, ma collocati in "momenti" diversi del corso
storico: dai ceti medi tradizionali e dai contadini, componenti di una
società preindustriale, alla classe operaia di fabbrica, emersa dalla
rivoluzione industriale. In sintesi, la tesi di Bloch è che il successo
del nazismo in Germania (ma si potrebbe fare un ragionamento analogo in Italia)
sarebbe racchiuso nella capacità di rispondere, nel contempo, a gruppi
sociali collocati in ambiti tradizionali, precapitalistici, e a segmenti
situati ai massimi livelli dello sviluppo capitalistico, contrariamente a
quanto erano riuscite a fare le organizzazioni del movimento operaio, integrate
nelle istituzioni dello stato, divise tra loro, e incapaci di tenere conto
delle paure dei ceti tradizionali. Va insomma ricordato che oggi come ieri i
movimenti dell'estrema destra attingono i propri consensi soprattutto nel ceto
medio tradizionale e tra i lavoratori subalterni.
L'affermazione di una continuità con il passato - quando si definiscono
in generale le condizioni che favoriscono l'ascesa e quelle che possono
attribuire un forte successo ai movimenti di estrema destra - non deve farci
dimenticare la sensibile discontinuità dei movimenti sorti negli anni
'80 e '90. Gran parte dell'estrema destra europea emerge o si espande in
società molto più "moderne" di quelle degli anni '20 e '30.
Insomma, una parte dei movimenti e i partiti di questi anni non possono essere
considerati "fascisti" o "neo-fascisti" solo perché non si
rivendicano apertamente di quelle tradizioni e identità storiche. Se
l'etichetta di "fascista" serve ad additare il pericolo di quell'esperienza
storica e la necessità di ricordarla, questa stessa etichetta, se
applicata senza distinguo, può rischiare di fornire, implicitamente,
un'immagine per così superata di questi movimenti: come se fossero una
risposta di altri tempi alle sfide delle trasformazioni in atto. Al contrario,
mostrarne il carattere innovativo, soprattutto dei movimenti con maggiore
successo di massa (anche nel loro uso spregiudicato della politica spettacolo,
una concezione dell'individuo meno semplificata di quella dell'autoritarismo
tradizionale), accanto a quello arcaico (come risposta aggressivo-autoritaria
ai cambiamenti), fornisce non solo la chiave della loro forza, ma anche la loro
preoccupante attualità.
La crescita delle nuove povertà e il cristallizzarsi delle vecchie, la
crescita della disoccupazione, nell'Europa occidentale negli ultimi anni, hanno
poco in comune con l'indigenza estrema provocata dalle catastrofi economiche e
sociali che hanno dominato il periodo tra le due guerre mondiali. Il regime
fascista e quello nazista sono stati una risposta per un verso alla crisi delle
democrazie liberali, per altro alla forza del movimento operaio, ai movimenti
socialisti, comunisti e, in parte, ad esempio in Spagna, agli anarchici.
È per rispondere al pericolo delle classi subalterne montanti, che le
classi dominanti hanno a suo tempo optato per il fascismo e per il nazismo. Nei
paesi dove questo pericolo non è stato incombente - dove la
delegittimazione delle istituzioni dello stato e il movimento operaio non
rappresentavano un pericolo immediato - le classi dominanti hanno preferito
lasciare in piedi l'ordine democratico-liberale. In analogia - pur senza
escludere a medio termine una svolta destabilizzante - nelle democrazie
occidentali odierne, comprese quelle europee, dove la forte frammentazione
produttiva e sociale delle classi subalterne si accompagna ad un movimento
operaio in piena crisi, dove la stabilità istituzionale non appare
più di quel tanto erosa dai processi di transazionalizzazione
dell'economia e dalla crisi delle capacità regolative dello stato
nazionale, le classi dominanti non hanno l'interesse a rimettere in discussione
in modo aperto l'ordine costituzionale, e puntando su un partito che introduce
un stato di emergenza nel nome dello slogan fascista per eccellenza: "Un
popolo, uno stato, un capo".
Nella fase attuale, più che di minaccia fascista, occorrerebbe parlare
di minaccia neoautoritaria e restauratrice, nel quale i movimenti e i partiti
d'ispirazione neofascista o neonazista e di tendenza modernizzante (magari in
un'implicita divisione del lavoro) svolgono un ruolo importante. L'estrema
destra odierna svolge una funzione di accompagnamento e rafforzamento delle
tendenze neoautoritarie e neoliberali. Qui sta forse la loro maggiore
pericolosità odierna. Quasi tutti i più importanti partiti
dell'estrema destra occidentale contano su un importante elettorato proletario
in libera uscita dai partiti socialisti o comunisti. Nel recuperare e
mobilitare segmenti significativi di proletariato "nazionale", l'estrema destra
indebolisce ulteriormente le organizzazioni del movimento operaio, ostacola la
ricomposizione con il proletariato "immigrato", ridefinisce, dal punto di vista
culturale e politico, amici e soprattutto avversari (stranieri, ecc.). La forte
capacità mobilitante dell'estrema destra stimola la pressione contro la
burocrazia statale e il ceto politico, inguaribili adepti dello sperpero e
dell'inefficienza; favorisce la diffusione delle ideologie inegualitarie e
belliche, alleate del darwinismo sociale, dell'ideologia della competizione di
tutti contro tutti, ecc. In un'epoca di forte crisi dei legami tradizionali, il
nazionalismo (nazionale o regionale) rappresenta una risposta - anche
soggettivamente rassicurante - all'anomia sociale, all'isolamento, alla
distruzione del tessuto sociale prodotti dalle trasformazioni produttive, alle
ansie dell'individualismo consumista, alla crisi del patriarcato e a quella
della morale del lavoro. In altri termini, le ideologie nazionaliste promosse
dai partiti di estrema destra risultano essere funzionali alle esigenze stesse
dello sviluppo capitalistico e agli effetti perversi della globalizzazione: da
un lato, per la legittimazione della propensione al rischio (concorrenziale)
individuale e del senso di sacrificio verso un'entità esterna e
superiore (l'esigenza di identificarsi ad un'azienda contro le concorrenti),
dall'altro per il rafforzamento del "senso" dello stato (nazionale o regionale,
poco importa), come attaccamento all'ordine istituito e interiorizzazione del
disciplinamento sociale.
Oscar Mazzoleni
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