Da "Umanità Nova" n.12 del 1 aprile 2001
Rompere il compromesso sociale
Piccola impresa e grandi illusioni
Secondo l'applausomentro, non so da chi curato, il convegno "Saper Crescere.
Poter Crescere" della piccola e media industria tenutosi a Parma il 17 ed il 18
marzo ha premiato Francesco Rutelli con dieci secondi d'applauso alla fine del
suo intervento mentre Silvio Berlusconi ne ha ottenuti trentadue e,
soprattutto, Berlusconi è stato interrotto dieci volte dagli applausi
dei piccoli imprenditori mentre Rutelli non è stato applaudito nemmeno
una volta durante il suo intervento e si è tenuto contento del fatto che
non è stato fischiato.
Si tratta, con ogni evidenza, di una comparazione in sé di scarso
interesse ma rende conto, quantomeno, di un clima che caratterizza l'ambiente
dei piccoli e medi industriali, di quella rude razza pagana che costituisce il
nerbo dell'industria italiana.
Nella sua relazione al convegno Tommaso Padoa-Schioppa ha, a questo proposito,
rilevato che: "La grandezza media delle imprese è diminuita in tutte le
economie industriali, riflettendo mutamenti strutturali nell'organizzazione
produttiva. Ma in Italia il fenomeno è stato tanto pronunciato da
divenire un'anomalia: le imprese con meno di 10 addetti danno oggi impiego ad
una quota dell'occupazione totale circa doppia della media europea (più
del 45 per cento). La proporzione del lavoro autonomo nell'occupazione non
agricola è, in Italia, oltre due volte e mezzo quella di Francia e
Germania (del 10 per cento circa). In circa vent'anni l'occupazione delle
imprese manifatturiere con più di 500 addetti è scesa intorno al
15 per cento del settore, dimezzando la propria incidenza; è del 56 per
cento in Germania e del 43 in Francia. Le imprese medie, quelle fra 100 e 400
addetti, rappresentano solo il 10 per cento del totale, contro il 17,5 in
Germania e il 16 in Francia."
Credo che questo mero dato quantitativo renda evidente la rilevanza politica e
sociale della piccola e media industria in Italia e permetta di ragionare
sull'evolvere del quadro politico a partire dalle mutazioni dei principali
soggetti sociali, delle relazioni che intrattengono fra di loro a livello
nazionale ed internazionale.
Proverò a tenere conto di tre livelli del confronto in corso fra le
forze sociali e politiche senza, ovviamente, alcuna pretesa di completezza:
- il ruolo della piccola e media impresa e la crisi dei precedenti equilibri
interni all'oligarchia del potere;
- i rapporti fra padronato e sindacati istituzionali;
- la mediazione politico istituzionale.
La crescita del ruolo della piccola e media impresa e del lavoro autonomo in
Italia non è certo una novità. Possiamo far risalire questa
deriva alla seconda metà degli anni '70. Contraddicendo i luoghi comuni
sulla "naturale" tendenza all'accrescimento delle dimensioni medie delle
imprese, il capitalismo italiano ha intrapreso una strada particolare con il
decentramento produttivo, l'esternalizzazione di segmenti della produzione, la
messa a valore della struttura familiare nel tessuto della fabbrica diffusa.
Sull'argomento è possibile rinvenire una sterminata letteratura di vario
interesse. A mio avviso siamo di fronte ad un classico caso d'intreccio fra
relazioni produttive e sociali arcaiche e processi d'innovazione produttiva
(informatica, robotica ecc.) che colloca il capitalismo italiano nel settore
medio basso di quello mondiale a causa di una significativa debolezza per quel
che riguarda la ricerca, l'innovazione, le risorse e lo rende adatto ad
occupare una nicchia di mercato interessante grazie alla flessibilità ed
al basso costo della forza lavoro.
L'universo sociale che si sviluppa grazie a questa dinamica è,
ovviamente, subalterno alla grande impresa, al sistema bancario, alle
oligarchie politiche e burocratiche nazionali ed internazionali ma sente questa
subalternità come sempre più intollerabile. Da ciò la
rivolta antifiscale e l'affermarsi, con la crisi della prima repubblica, di
nuove ipotesi politiche che mescolano neoliberismo e federalismo secondo
modalità particolari. Non a caso, qualcuno parla di un nuovo terzo stato
in opposizione all'oligarchia dominante.
In realtà questo terzo stato non è, per la sua stessa natura in
grado di scalzare la vecchia oligarchia di potere ma può influenzare sia
il sistema dei partiti che gli equilibri di potere interni alle associazioni
padronali. La nascita e lo sviluppo della Lega Nord prima e il successo alle
ultime elezioni europee della Lista Bonino sono l'effetto più visibile
della mutazione sociale della quale ragioniamo sul sistema politico anche se,
ovviamente, né la Lega Nord né la Lista Bonino sono solo
l'espressione politica della piccola e media industria. L'affermarsi al vertice
della Confindustria di D'Amato è il prodotto di una crisi interna alla
vecchia oligarchia padronale accorpata intorno all'asse Fiat Mediobanca e
dell'esigenza della base padronale di contare di più. D'Amato che,
è bene non dimenticarlo, era stato corteggiato sia dalla destra che
dalla sinistra prima della sua trionfale ascesa ai vertici della Confindustria,
è parso l'espressione di una nuova linea politica nell'azione del
sindacato dei padroni almeno da due punti di vista:
- la disponibilità a rompere o, almeno, a indebolire il patto
corporativo fra governo, padronato e sindacati istituzionali che aveva
funzionato sino ad allora;
- un'esplicita rivendicazione per il padronato di un ruolo di classe dirigente
inteso propriamente come classe portatrice di valori sociali generali.
Quando D'Amato arrivò ai vertici della Confindustria fu evidente il
compiacimento della destra, di quella destra che, nel 1994, era stata
brutalmente scaricata dall'oligarchia che aveva ritenuto più affidabile,
per governare la transizione allora in corso, la sinistra. In quel momento,
insomma, i gruppi egemoni nel fronte padronale scelsero un mix fra
concertazione volta a garantire la pace sociale grazie al coinvolgimento del
sindacato di stato e processi di taglio della spesa sociale, liberalizzazione
del mercato del lavoro, privatizzazioni. Oggi, a fronte di una situazione
diversa, settori del padronato sembrano ritenere possibile ed opportuno
un'accelerazione dei processi che loro interessano e, in particolare, la
deregolamentazione del mercato del lavoro in modo da eliminare i "privilegi"
dei lavoratori del settore oggi protetto, almeno parzialmente, dalla
legislazione.
Che la destra assuma come proprie le rivendicazioni della piccola e media
impresa è assolutamente logico e il fatto che questa rivendicazioni si
sposino male sia con l'arruolamento in quota polo di consistenti settori della
CISL e della UIL che con la presenza di consistenti clientele ereditate dal
pentapartito non pare un gran problema. Come si suol dire, domani è un
altro giorno soprattutto se si tratta dell'indomani del giorno delle
elezioni.
D'altro canto, CISL e UIL in una serie di situazioni stanno candidandosi al
ruolo di sindacato responsabile e disposto ad una concertazione al ribasso e
firmano serenamente accordi senza la CGIL. La recente presa di posizione del
buon Cesare Salvi, ministro del lavoro e diessino di sinistra, contro questo
genere di accordi ha un peso relativo e sembra più l'onorare una
cambiale nei confronti della CGIL che un'azione efficace dal punto di vista
delle relazioni sindacali.
Nei luoghi che contano, infine, la Casa delle libertà ha già
chiarito, con una recente intervista dell'economista e ministro in pectore
Tremonti sulla stampa finanziaria inglese, che il programma che propone agli
elettori non va preso troppo sul serio, che le tasse saranno ridotte con
moderazione, che gli impegni internazionali dell'Italia saranno onorati.
In questo contesto, la sinistra politica e sindacale si trova di fronte a
difficoltà di non poco conto. La CGIL si sta già attrezzando per
giocare un ruolo più vivace ma dovrà cercare di risuscitare una
combattività dei lavoratori che ha operato a smorzare per troppi anni e
di recuperare una credibilità che ha sin troppo logorato e, per di
più, in una struttura produttiva e sociale che garantisce al padronato
rapporti di forza decisamente favorevoli. I partiti parlamentari della sinistra
si affannano a cercare di dimostrare al padronato che sono comunque più
seri e credibili di quanto sia la destra e, se al padronato la
credibilità interessasse davvero avrebbero qualche possibilità di
successo. Il fatto è, a mio avviso, che la putrefazione della politica
apre al padronato spazi nuovi che tende ad occupare e un avventuriero come
Berlusconi potrebbe essere funzionale a questa operazione più dei
partner tradizionali.
Sembrerebbe di trovarsi in una situazione analoga a quella che
caratterizzò la fine dell'epoca giolittiana con i liberali moderati che
vedevano erodere la loro base di potere a causa del radicalizzarsi delle
posizioni padronali.
Se questa è la situazione, ritengo che il vero problema consista nella
capacità da parte delle classi subalterne di rompere il compromesso
sociale attuale a proprio vantaggio. Si tratta, in altri termini, di accettare
la sfida che il padronato lancia al livello che pone: quello di una adeguata
ripresa della lotta di classe.
Cosimo Scarinzi
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