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Da "Umanità Nova" n.13 dell'8 aprile 2001

Difficoltà e prospettive dello zapatismo
Il rischio di un genocidio economico e culturale
Intervista a Mimma di ritorno dal Messico

Mimma era già stata nel 1997 in Chiapas per la marcia dei/delle 1111 verso la capitale. Ora c'è ritornata, grazie alla revoca delle espulsioni, per seguire la Comandancia ed i suoi 24 capi nella lunga marcia per la dignità dei popoli indigeni che si è mossa da S. Cristobal il 24 febbraio scorso ed è arrivata a Città del Messico l'11 marzo. "Attraversando i dodici stati della confederazione, dappertutto la marcia è stata accolta con entusiasmo, talvolta talmente eccessivo da dover badare a limitarne le manifestazioni di espansività. E tuttavia, a differenza di quattro anni orsono, la presenza della società civile è stata inferiore alle attese". Indubbiamente, gli indios sono troppo presi dalla sopravvivenza per poter pensare ad altro; le formazioni della società civile seguono le sorti del progressivo immiserimento dei ceti medi, tipico degli stati che si trovano al punto di biforcazione tra afferrare il bus della globalizzazione (una infima minoranza ci potrà riuscire) e subirne gli effetti vedendo buona parte della popolazione cadere nella spirale della povertà. "Inoltre, gli zapatisti hanno scaricato il Prd, il partito socialdemocratico, che in questa occasione ha brillato per la sua assenza nell'organizzazione logistica della marcia attraverso i vari stati, compresi quelli retti da suoi uomini. La verità che la forma-partito, con i suoi tatticismi politici, è distante mille miglia dallo stile politico dell'Ezln". E forse uno delle traiettorie possibili di Marcos e compagni sarà quello di divenire soggetto politico a tutti gli effetti, se il negoziato con il governo andrà a buon fine.

"Marcos è letteralmente spiazzante nei suoi gesti. Tutti lo aspettavano al Parlamento riunito ma lui è rimasto fedele alle cento dichiarazioni rilasciate in questi ultimi tempi: Marcos non esiste, dietro il passamontagna non c'è un uomo, ma un popolo, che vuole riscattare la propria dignità calpestata da 509 anni in qua". Se c'è una persona che vuol evitare il culto della personalità, è proprio il subcomandante, i cui comizi - "poca politica e tanta magia nelle sue parole" - vedono migliaia di persone silenziose ad ascoltarlo. "Si è tanto parlato della scorta delle tute bianche in quei due stati dove i locali, evidentemente, non garantivano un servizio minimale di sicurezza. Ebbene, in quella settimana di tensione per noi italiani, Marcos appariva rilassato, quasi a voler scherzare su di sé, sul proprio ruolo, a giocare con la messinscena del nostro servizio d'ordine, quasi a volerci prendere in giro prendendo in giro prima di tutto se stesso in quanto leader maximo".

La marcia ha rimesso in moto alcuni meccanismi che sembravano bloccati. "Certo, c'è il rischio di una manipolazione da parte delle istituzioni di un evento riducendolo ad un singolare tenzone tra Fox e Marcos, come anche la stampa ha riportato. Marcos stesso ha evitato di dare legittimità al governo se prima non avesse compiuto tre minimi gesti di distensione (rilascio dei prigionieri, abbandono delle postazioni militari in Chiapas, ricezione costituzionali degli accordi di S. Andres del 1996). Per questo ha accettato solo di confrontarsi con il parlamento, eclissandosi per dare la parola alla comandante Esther, uno donna minuta e spaurita, apparentemente, ma il cui discorso è stato molto forte in quanto proveniente da una donna indigena doppiamente esclusa, cancellata dalla storia".

Il presente dimostra una società messicana viva seppure frantumata da condizioni di vita non certo favorevoli. "Il fatto che gli indigeni non siano stati vittime di un genocidio totale, ma che rappresentino il 10% della popolazione dà grande speranza di un rimescolio delle cose in quel paese, come del resto gli indios lo stanno dando in tutte quelle nazioni del continente latino-americane dove sono presenti: dall'Ecuador ai Mapuchi cileni". La comunità indigena, con tutti i suoi pro e i suoi contro, e con l'impulso dato dalle zapatiste, ha fatto passi da gigante nel rappresentare un baluardo di resistenza culturale contro l'omologazione della civiltà capitalistica. "Il pericolo oggi proviene dal piano Puebla-Panama, una corsia nord-sud che dovrebbe spianare letteralmente la strada alla penetrazione del mercato neoliberista in direzione sud, con progetti di autostrade, disboscamenti e espropri di terra, quindi rivoluzionando la forma di vita delle popolazioni che vivono lungo quell'asse destinato a trasformare chi non è ancora cittadino a pieno titolo addirittura in imprenditore di se stesso, in consumatore di beni di una civiltà che fino a pochi secondi fa non lo riteneva degno nemmeno di esprimersi nella propria lingua, di curarsi con le proprie erbe terapeutiche, di apprendere la propria cultura".

La sfida del genocidio economico è indubbiamente quella lanciata dall'avvento dell'era Fox, che ha bisogno di chiudere il capitolo politico del Chiapas facendo concessioni agli zapatisti per obbligarli a deporre le armi - quelle dell'autonomia culturale innanzitutto - per indurli a gettarsi nella mischia politico-istituzionale, sguarnendo il fianco sul piano di un temibile genocidio economico. "Non è un caso che leggiamo, in qualche intervista di Marcos, alcuni accenni a forme di impresa collettiva e comunitaria al servizio dei bisogni della popolazione, che possano misurarsi su un mercato non falsato dalle lobbies imprenditoriali legate alla corruttela politica del regime passato". Forse la percezione di un nuovo fronte e quindi di nuove risposte sul piano dell'autonomia economica, attraverso creazioni inventive di autoproduzione vitale per le sorti degli indios, comincia ad assumere un rilievo nelle argomentazioni degli elementi più avvertiti della Comandancia. "Anche se gli accordi di S. Andres verranno costituzionalizzati, ridando quindi piena dignità culturale e politica alle comunità indigene, accogliendo pertanto le forme anche giuridiche, giudiziarie, politiche di autogoverno degli indios, la battaglia del Chiapas sarà sempre lunga e dovrà trovarci ancora una volta accanto ad essa, anche per continuare ad apprendere qualcosa che potrà servire alle nostre battaglie locali". Perché i molteplici nessi tra globale e locale sono visibili anche a casa nostra, dove si dimostra sempre più necessario radicarsi tra le popolazioni, esattamente come gli zapatisti lo sono all'interno del popolo indios.

Massimo Tessitore



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