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Da "Umanità Nova" n.13 dell'8 aprile 2001

Le periferie del Nord fra modernità e tradizione
Nazionalismi e populismi prealpini d'inizio secolo

Negli ultimi anni, una parte significativa di abitanti di paesi collocati sull'arco alpino sono stati sedotti dall'estrema destra populista: l'Austria di Jörg Haider, soprattutto dalla Carinzia (uno delle otto regioni-stato della federazione austriaca), malgrado le recenti sconfitte elettorali a Vienna; la Baviera del nazionalista regionale Edmund Stoiber, presidente del Länder; la Confederazione elvetica, soprattutto nella parte germanofona, dove l'Unione democratica di Centro di Christoph Blocher ha continuamente accresciuto i propri consensi elettorali nell'ultimo decennio; senza dimenticare l'Italia del Nord, soprattutto la Lombardia settentrionale e il Nord-Est, dove le leghe (la Lega Nord di Bossi, anzitutto), per molti versi vere e proprie anticipatrici di una tendenza transnazionale, ancora oggi possiedono i loro principali bastioni elettorali. Soprattutto dopo che il Fronte nazionale di Le Pen ha subito la scissione di Bruno Mégret, perdendo l'aura internazionale che lo accompagnava negli anni '90, il "populismo alpino" sembra oggi rappresentare un modello per l'intera estrema destra occidentale. Per un verso, l'odierno nazionalismo dell'arco alpino si inserisce nell'onda lunga dei successi dell'estrema destra occidentale dagli anni '80 ad oggi, per altro il populismo nazionalista alpino, o meglio prealpino, comporta alcuni caratteri specifici comuni ai diversi movimenti e partiti che lo compongono, benché le sfumature non manchino:

* il nazionalismo, su base regionale e/o nazionale;

* il federalismo etnico (l'autonomia delle regioni nella purezza etnica);

* un neoliberismo temperato (contro la globalizzazione culturale e per un sostegno misurato di quella economica), anche se in questo caso il populismo favorisce non poche oscillazioni;

* l'opposizione all'integrazione europea;

* la critica antipartitocratica.

La modalità principale in cui queste componenti ideologiche sono veicolate e diventano dei temi mobilitanti è quella della costruzione di capri espiatori. I nemici sono gli stranieri (per sfruttare le paure indotte dall'emergere di una società multiculturale e nell'arrivo di manodopera poco o per nulla qualificata); i sindacati, le sinistre e il movimento operaio in generale; le burocrazie e le inefficienze dello stato sociale (per incunarsi nel clima prodotto dall'egemonia liberal-liberista degli anni '90); l'establishment politico (sfruttando la crisi di rappresentanza e di governabilità dei processi economici dei sistemi politici nazionali, gli scandali finanziari, la corruzione, il centralismo tecnocratico della costruzione europea).

Il discorso e l'azione politica di questi movimenti è risultato efficace perché a potuto sfruttare delle condizioni di favore prodotte dall'accelerarsi dei processi di modernizzazione in contesti periferici. Malgrado la loro eterogeneità, i territori prealpini (al Nord, al Sud, all'Est, all'Ovest) condividono in generale, una condizione economica, sociale e politica "di periferia". Lo sviluppo produttivo e il benessere economico-sociale della società dei consumi arriva in ritardo rispetto ai maggiori centri urbani e industrializzati. Questi cambiamenti economico-sociali penetrano in un tessuto culturale e sociale tradizionale senza produrre i laceranti sconvolgimenti (migratori, ecc.) che la grande fabbrica ha portato con sé. Ciò favorisce il persistere nella memoria collettiva, sia di un passato vissuto nella scarsità (con la consapevolezza della sua fragilità), sia frammenti di miti tradizionali (di unicità, di purezza, di particolarità irriducibile) veicolati dalle lingue locali e dai dialetti. Questi frammenti mitici diventano facile alimento di politiche fondate sull'etnia e il nazionalismo, nel momento in cui l'accelerarsi delle trasformazioni sociali e culturali fa emergere le difficoltà di queste periferie a mantenere i livelli di benessere raggiunti. In queste condizioni, entrano in scena i movimenti e partiti nazionalisti, che con un efficace discorso populista, agitato da un suadente leader carismatico, riescono sia a raccogliere i voti della piccola borghesia che fino a ieri sosteneva i partiti tradizionali, sia a conquistarsi una parte importante dei "perdenti" della globalizzazione delle aree metropolitane o perlomeno urbane, ossia i ceti proletari colpiti dai processi di ristrutturazione della fabbrica, dalla precarizzazione, dalla crisi dello stato sociale.

L'emergere e il perdurare nel corso degli anni '90 e nel nuovo decennio che si è ancora aperto di un nazionalpopulismo di estrema destra sull'arco prealpino può essere letto come l'esplodere di un nuovo conflitto tra centro e periferia che tende a prendere la forma di un clivage tra nazionalismo e globalismo, dove la periferia ricca ma impaurita, per un verso tende alla rassegnazione, per altro, quando un leader e un partito politico sono in grado di creare ed usare nemici credibili contro cui sfogare le frustrazioni sociali, coglie l'occasione per diventare protagonista all'interno di un processo di modernizzazione che non ha probabilmente eguali per radicalità nel corso dell'ultimo secolo. La rimessa in discussione di un benessere fragile, la contemporanea erosione di tradizioni e miti popolari, ancora però presenti nella memoria collettiva, la crisi dell'immaginario nazionale tradizionale e della centralità del territorio nazionale come riferimento culturale, politico e di regolazione finanziaria, l'incapacità crescente dei partiti tradizionali di gestire il cambiamento, hanno creato le migliori condizioni di possibilità perché possano nascere e radicarsi dei movimenti populisti nazionalisti (a base regionale o nazionale), che capitalizzano il proprio successo dosando elementi tradizionali e moderni.

La convivenza di aspetti contrastanti, tradizionali e moderni, come fonte e mezzo di successo politico, si ritrova anche sul piano della geografia elettorale, ossia nell'alleanza tra dimensione periferica (o prebalpina) e dimensione urbana. Il populismo prealpino esce dalla propria nicchia periferica e comincia ad conquistare un peso nazionale, nel momento in cui riesce ad allacciare un'alleanza verso le zone metropolitane. Il caso della Lega lombarda è evidente: il suo successo politico è dipeso dalla capacità penetrare i principali centri urbani della Lombardia e del Veneto. Questa strategia si è potuta realizzare all'interno del movimento (nella conquista degli esecutivi o come Lega Nord), oppure all'esterno, con efficacia certo minore, attraverso un'alleanza con Forza Italia e la casa della libertà. L'arco prealpino come "periferia" arricchita in perdita di velocità non va comunque intesa come "montagna" o "valle". Nelle regioni valligiane e montagnose più discoste, già colpite da processi di spopolamento in decenni precedenti, non esiste neanche la massa critica per sviluppo dell'estrema destra. E' invece in zone prealpine, mediamente urbanizzate, in città di media dimensione, che troviamo i maggiori e durevoli bacini elettorali di questi movimenti, cui si aggiunge, come detto, una parte significativa di segmenti proletari delle metropoli e dei centri urbani attratta dalla vena protestataria di questi movimenti. I maggiori sostegni al nazionalismo populista dell'arco alpino si ritrovano nella piccola borghesia contadina e commerciale in declino, e nella classe operaia poco qualificata colpita dai processi di ristrutturazione e della precarizzazione e situata in zone altamente urbanizzate: il Fronte nazionale di Le Pen è stato forte negli anni '90 sia in zone prealpine (come Alsazia) e sia in molti ex centri industriali, così come lo è il partito liberale di Haider (nell'agricola Carinzia e, almeno ancora in parte, nella Vienna industriale) e l'Udc di Blocher a Zurigo (in molte regioni semi-urbanizzate dell'altipiano svizzero e nella Zurigo finanziaria e industriale); lo stesso si può dire per le leghe subalpine (in particolare lombarda, veneta e del Canton Ticino).

E' probabile che il populismo prealpino abbia un futuro davanti a sé. Certamente, la capacità di sopravvivenza delle singole forze politiche dipende molto dalla forza d'attrazione e dalla credibilità del leader carismatico, un tratto decisivo per spiegare il successo dei movimenti di estrema destra. Se i leader escono per un verso rafforzati dalle conquiste elettorali, dall'altro la parziale integrazione di queste forze nel sistema politico attiva un processo di omologazione che tende a ridurre l'importanza del carisma a favore delle competenze necessarie alla gestione quotidiana del potere, e con esse, la perdita di quella parte di elettorato attratto dalla natura protestataria del movimento. Inoltre, ci si può interrogare sulla capacità reale dell'estrema destra "alpina" di essere un modello applicabile all'intera estrema destra occidentale, visto il tipo di radicamento territoriale. Eppure, poiché le trasformazioni attuali della geografia dei poteri economici tendono a rendere periferiche zone che fino a ieri apparivano centrali, e dato che una parte rilevante dell'estrema destra populista, anche al di là dell'arco alpino, sembra aver trovato negli ultimi anni le formule vincenti per cavalcare le contraddizioni materiali, sociali e culturali dello sviluppo capitalistico, le preoccupazioni relative a sue future possibili avanzate appaiono tutt'altro che infondate.

In ogni modo, appare evidente che le conseguenze sociali e politiche dell'azione dei populismi prealpini interessano fin da ora l'intera Europa occidentale. La parziale integrazione istituzionale di questi movimenti può limitarne i caratteri più aggressivi. Nondimeno, il loro successo nel cuore dell'Europa comporta sul piano sociale una diffusione delle idee nazionaliste e populiste, come risposta autoritaria alle ansie e alle incertezze prodotte dal capitalismo flessibile, e più in generale ne consolida la miscela di conservatorismo e di sciovinismo del benessere; senza contare, la legittimazione, almeno indiretta, della criminalizzazione di proteste sociali non collocabili nella logica "nazionalismo-globalismo". In termini politico-istituzionali, l'espansione dei movimenti populisti dell'arco alpino si accompagna ad un inasprimento delle tendenze xenofobe nel centro e del centro-destra, a caccia dell'elettorato perso in favore dell'estrema destra; ad un rafforzamento delle tendenze tecnocratiche e antipopolari delle sinistre socialdemocratiche, che nella tendenza operaia (o dei "perdenti" in generale) a votare per le destre populiste vedono una conferma della loro strategia "modernizzante"; e, non da ultimo, ad un radicalizzarsi delle misure repressive istituzionali contro l'immigrazione "non produttiva" (come nel progetto di "fortezza europea").

(Una precedente versione di questo contributo è stata presentata al convegno "I soldati dell'autoritarismo", Bologna, 4 marzo 2001).



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