Da "Umanità Nova" n.13 dell'8 aprile 2001
Morti bianche nel paese del marmo
A colloquio con Pedrazzi del Cobas di Carrara
D.: Il "marmo macchiato dal sangue operaio" non è soltanto
retorica di un tempo ma una ben triste realtà. Che cos'hai da dirci a
questo proposito?
R.: L'ultimo incidente è avvenuto sul monte sopra
Miseglia, quello che si vede anche dalla città che è stato
abbassato notevolmente in questi ultimi anni. Eravamo agli inizi di marzo, e
per caso anch'io mi trovavo da quelle parti per verificare le condizioni di
lavoro in una cava attigua dove, da quando tre anni fa sono morti due operai,
è in corso una vertenza lunga e complessa.
Quella mattina alle 9 il freddo era intenso e la brezza sferzante; forse non si
era molto sotto lo zero ma la terra era dura e friabile sotto i piedi. In
queste condizioni climatiche il monte è instabile e spesso delle scaglie
anche grandi si staccano per precipitare sui piazzali. Avevo raggiunto la cava
da una via inconsueta e, verificato il clima e le operazioni che si stavano
svolgendo, non ho esitato a consigliare gli operai di lasciare il lavoro, come
è infatti avvenuto, seguiti dagli operai delle due cave confinanti. Il
luogo ove è successo l'incidente era invece lontano oltre la portata di
voce e ad una segnalazione (agitando le braccia) ci venne più o meno
risposto che terminata l'operazione che avevano in corso avrebbero anche loro
sospeso il lavoro. Ma non fecero in tempo. I giornali hanno detto che un sasso
si è staccato dal monte e Fialdini, un operaio molto esperto, per
evitarlo si è lanciato dalla bancata, facendo un volo di 8-10 metri. Non
ne sono affatto convinto, perché il luogo di caduta è ad oltre 4
metri dalla perpendicolare di caduta. Il lavoratore è rimasto in coma
per vari giorni ed ha fratture un po' dappertutto; ora attendo che le sue
condizioni migliorino per sentire la sua versione ed eventualmente
intraprendere delle rivendicazioni.
D.: Ma perché eri al monte?
R.: Ero salito per verificare di persona ciò che stava
subendo nella cava adiacente un nostro associato, perché da diverso
tempo ormai lì si sta vivendo una situazione anomala. Ma sarebbe bene
raccontare la storia dall'inizio.
Tre anni orsono, il 28 aprile, in quella cava sono morti due operai, poco
più che apprendisti malgrado la loro età fosse già sui
trent'anni. In questi tempi non vi è soltanto la meccanizzazione
selvaggia a rendere autentici pozzi d'oro le cave di marmo, vi sono anche la
precarizzazione ed i contratti a termine ed un sotterraneo ma ben concreto
ricatto nei confronti dei lavoratori. Sembrano storie degli albori del
movimento operaio, ma ancora oggi molti padroni assumono con già la
lettera di dimissioni firmata per tutelarsi. Le condizioni della società
in generale poi fanno di tutto per asservire fino in fondo il prestatore
d'opera, con cambiali e prestiti che non assolvono altro che alla funzione di
ricatto permanente.
D.: Due vittime inconsapevoli del pericolo?
R.: Non solo, vittime di operazioni errate ordinate loro dal
responsabile della escavazione, un parente dei titolari. Questo non lo dico io
soltanto, è anche la sentenza emessa dal giudice Ferri del Tribunale di
Massa, dove dopo un interminabile tempo di istruttoria, quando finalmente si
è arrivati alla fine, vi è stata una condanna penale.
D.: Ferri, ma è il figlio del magistrato-deputato-sindaco di
Pontremoli, ex socialdemocratico, ex ministro, simpatizzante monarchico ecc.
ecc.?
R.: Non ne sono sicuro, ma potrebbe esserne figlio.
D.: Potrebbe dunque trattarsi di una sentenza demagogica, un'occasione
per accaparrare voti da un settore come quello dei cavatori, tradizionalmente
ostile ad ogni forma di votazione?
R.: È molto difficile dirlo, e poi non è detto che
un figlio segua per forza le idee del padre. In ogni caso è una sentenza
a favore delle famiglie dei lavoratori morti sul lavoro, che potrebbe anche
segnare un passo in avanti nella interminabile sequela di morti bianche, e se
è stata emessa per demagogia è destinata a ritorcersi comunque
contro i padroni, se la coscienza operaia la sa utilizzare. Oltretutto come
dicevo prima non è stato facile arrivare ad ottenerla, ci sono volute
delle testimonianze precise, ed è proprio per questa ragione che come
dicevo all'inizio ero ai Bettogli quella mattina.
Attorno all'incidente di tre anni fa, come in pratica sempre, si era venuta
formando una specie di omertà fra padroni e operai. Ogni volta è
molto difficile risalire alle vere cause di un fatto, perché spesso ti
trovi contro proprio quelli che maggiormente sarebbero interessati a che le
cose si sappiano nel modo giusto, e che stanno zitti. Per paura, per
chissà quale ragione, ma stanno zitti.
Con il processo per le vittime dei Bettogli vi è però chi ha
rotto il muro del silenzio e da allora è diventato la bestia nera della
cava. Subisce ricatti di ogni genere, decurtazioni in busta paga, si cerca di
isolarlo dagli altri lavoratori, insomma lo si vuole convincere a cambiare
posto di lavoro.
D.: E anche questo non è una novità...
R.: No. Ora il fatto è che noi siamo convinti che a cambiar lavoro
questa volta debbano essere loro. Non soltanto vi è stata la sentenza
che ti dicevo, ma anche il Consiglio Comunale ha decretato la caducazione della
cava.
D.: Caducazione vuol dire revoca della possibilità di esercitare
l'escavazione a quei padroni. Ma non ti sembra anche questa
demagogia?
R.: Il Sindaco di allora era la signora Emilia Fazzi Contigli,
che stava per ultimare il suo mandato. Essa convocò un Consiglio
Comunale straordinario il quale, all'unanimità dei presenti,
deliberò la caducazione. In città per il Primo Maggio convennero
le alte dirigenze confederali dei sindacati che tennero una manifestazione
pubblica ed in quella stessa occasione la proposta appena approvata dal
Consiglio venne resa pubblica. Noi non c'eravamo: i Cobas come ogni anno erano
al Primo Maggio anarchico. Dunque non abbiamo fatto pressione perché
venisse fatta quella delibera. Ma ora c'è, ed il nostro compito come
sindacato sta dunque qui: come per il magistrato, si tratta ora di dar seguito
alle parole pronunciate in quei momenti.
Fra mille manovre fumogene, ora si sta parlando di convertire la sanzione in
multa, ed a questo noi ci opponiamo. Una multa, fosse anche di un miliardo, fa
solletico a chi possiede una concessione come quella. Il marmo lì
estratto può essere venduto, se il blocco è buono, anche a due
milioni a tonnellata, un discreto a novecentomila lire, un informe a trecento.
Un miliardo sarebbe nient'altro che l'escavato di una settimana. Bella
punizione! E senza contare che se l'amministrazione recede da quanto
proclamato, il passo successivo può essere anche un ridimensionamento
della condanna in secondo grado di giudizio.
Noi invece fin da subito abbiamo sostenuto la revoca della licenza e
l'affidamento di quella cava ad una cooperativa, ove i rapporti di lavoro siano
ben diversi e le tutele massime. Non dobbiamo dimenticarci che questa porzione
di monte era definita già alla fine dell'800 la "Mossa", cioè
quel terreno particolarmente instabile e che necessita di esperienza e
soprattutto molta cautela. Da queste parti è avvenuta anche la tragedia
del 1911, quando persero la vita 10 cavatori col crollo del monte e altri
quattro restarono gravemente feriti. È dunque il luogo meno adatto per
l'estrazione frenetica e incontrollata come è purtroppo consueta di
questi tempi.
D.: Interessante. Mi sembra di capire che questa può diventare una
battaglia a più ampio respiro, che può coinvolgere altre
categorie di lavoratori: nel momento in cui venga accertato che vi è
omissione delle misure di sicurezza da parte del datore di lavoro, e
riconosciuta colpevolezza nella causa di un evento mortale, la revoca del
permesso di esercitare quell'attività dovrebbe diventare un'automatica
conseguenza.
R.: Proprio così. E forse si imboccherebbe davvero la
strada per la diminuzione delle morti bianche!
Intervista a cura di Alfonso Nicolazzi
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