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Da "Umanità Nova" n.15 del 29 aprile 2001
Primo Maggio 2001
Il deserto che avanza
Viaggio tra le pieghe della cronaca, dove il silenzio dei media è
oscenamente assordante.
Lesotho, Africa. Un posto dove l'inferno non fa paura a nessuno. C'è un
telefono pubblico ogni mille abitanti, 7 dei quali possiedono un apparecchio
radio. La gente campa con meno di un dollaro al giorno. Ad avere un lavoro sono
ben pochi: solo il 41% della popolazione ha un'occupazione. Tra questi
fortunati gli operai impiegati nelle fabbriche tessili taiwanesi, quelle, per
intenderci, che producono le cosiddette "sottomarche" che imperversano nei
mercati rionali delle nostre città. Roba a poco prezzo per chi non
può permettersi quella "autentica". Roba sulla quale non si sente il
lezzo del sudore, del sangue e della fame di chi la produce. Lavoratori
praticamente ridotti in schiavitù, costretti a turni massacranti senza
pagamento degli straordinari e con salari nettamente al di sotto della
già misera paga minima. Ogni forma di organizzazione sindacale è
vietata all'interno di fabbriche costruite come fortezze, prive di qualsiasi
sicurezza, senza finestre e quasi senza uscite. Parecchi operai sono ingaggiati
giornalmente, scelti tra la piccola folla che quotidianamente si affolla ai
cancelli, costretti ad una precarietà che spesso dura anni.
Finché un giorno le fabbriche chiuderanno per spostarsi altrove, in un
altro angolo di mondo dove la disperazione e la fame possono garantire un costo
del lavoro ancora più basso, turni più lunghi, agevolazioni
fiscali anche più vantaggiose da quelle assicurate oggi dal governo del
Lesotho. Negli ultimi trent'anni queste aziende si sono spostate continuamente
passando dall'Europa al sud-est asiatico, poi verso il Bangladesh e le
Filippine, poi in Cambogia, Laos, Mauritius, Madagascar e altri paesi
dell'Africa, fino al Lesotho, dove si trovano adesso. Un girone infernale. Il
walzer della globalizzazione ballato senza ritegno tra le mille periferie di un
Sud sterminato. La logica fredda e perversa del profitto trionfa. Incurante
delle macerie, delle baracche, del deserto che avanza. Il deserto fisico e
morale di questo inizio di secolo, che brucia le risorse del pianeta, accresce
la diseguaglianza, allarga la povertà, lo sfruttamento, l'ingiustizia,
la repressione.
Bangladesh. Asia. Dove l'inferno è storia quotidiana. A Narshingdi,
cinquanta chilometri a nordest di Dhaka, il 26 novembre scorso nell'incendio di
una maglieria, in cui lavoravano più di 500 persone, almeno 50 operai,
per la maggior parte donne e bambini, sono morti soffocati dal fumo o bruciati
prima che i pompieri potessero sfondare la porta d'ingresso, sbarrata per
ragioni di "sicurezza". Centinaia anche i feriti, specie tra chi ha cercato di
salvarsi gettandosi dalle finestre o precipitandosi dalle scale in fondo alle
quali ha trovato una porta chiusa. In Bangladesh le fabbriche tessili sono
circa duemila ed impiegano un milione e mezzo di persone, in maggioranza donne
e minori. Le norme di sicurezza non esistono, le condizioni di lavoro sono
spaventose, i salari risibili, gli "incidenti" mortali frequenti. I prodotti
sono destinati quasi interamente al mercato europeo e statunitense, dove la
puzza di bruciato che li accompagna non arriva.
Shenzhen. Cina. Dove i figli dei poveri lavorano per la gioia dei nostri
piccini. La pubblicità dei McDonald's enfatizza il carattere disinvolto,
familiare, allegro dei pasti consumati: si vedono genitori e ragazzi sorridenti
mentre i più piccoli giocano nei pressi. Li chiamano "Happy Meals" -
Pasti Gioiosi - e rappresentano una sorta di fiore all'occhiello della
famigerata catena di fast food. I giochi per gli Happy Meals vengono fabbricati
a Shenzhen da bambini di età inferiore ai 14 anni. La loro giornata
lavorativa è di 16 ore ed i giorni liberi due al mese. La fabbrica
è anche la loro casa perché vi passano anche le notti, stipati in
dormitori senza servizi e privi di materassi. Infezioni bronco-polmonari,
crampi, stordimento, dolori allo stomaco, diarrea e parassiti sono assai
diffusi tra i 400 lavoratori-bambini. Qui da noi c'è chi ritiene che i
veri delinquenti siano i manifestanti che sempre più spesso infrangono
le vetrine o tingono con uova di vernice i McDonald's. Sono i vantaggi della
retorica della globalizzazione: i bambini-schiavi cinesi sono il frutto di
un'economia arretrata, i prezzi vantaggiosi dei panini e l'ambiente familiare
dei McDonald's l'indice di una strategia vincente di marketing.
Quebec City. Canada. Dove il diavolo forgia i propri strumenti. I
rappresentanti di 34 stati americani riuniti per il Summit delle Americhe si
riuniscono in una città blindata, circondata da uomini armati di tutto
punto: una gigantesca recinzione di ferro e cemento separa la "zona rossa",
l'area vietata, dalle migliaia di manifestanti arrivati da ogni dove per
contestare la ratifica del trattato per il libero commercio (FTAA). Le regole
di un mondo senza regole vengono sottoscritte tra il clamore delle proteste, il
fumo dei lacrimogeni, l'urlo incessante delle sirene. Nello stesso giorno altri
manifestano a San Paolo del Brasile: da un lato all'altro del continente
americano la voce della protesta si leva alta. I potenti della terra vengono
disturbati nel loro sporco lavoro e ovunque vadano trovano ad attenderli
migliaia di persone che vogliono per se e per tutti un altro mondo, un mondo
"fuori dal mercato". Un mondo da abitare e non da sfruttare, un mondo in cui vi
sia speranza per gli operai del Lesotho, per quelli del Bangladesh, per i
lavoratori-bambini cinesi, per noi tutti.
È tempo di fermare il deserto che avanza. Buon Primo maggio.
Maria Matteo
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