Da "Umanità Nova" n.15 del 29 aprile 2001
Infortuni
Morire di lavoro
Quando si parla di infortuni sul lavoro, come sempre
quando si tratta della questione sociale, sarebbe bene ricordare che i
cosiddetti "dati" vanno esaminati con estrema prudenza. Per tenersi ad un
paragone classico, le statistiche sono simili ad una cartina che rende conto,
per grandi linee, dei caratteri di un territorio e che non ci dicono molto, se
qualcosa ci dicono, della vita concreta delle persone che lo abitano,
dell'ambiente, delle evoluzioni continue del territorio stesso.
Questa considerazione vale, a maggior ragione, se si tiene conto del carattere
di relazione sociale del lavoro, del suo essere determinato dal rapporto di
forza fra lavoratori ed imprenditori, dagli equilibri fra imprese, dal quadro
giuridico, dal clima politico e culturale generale.
Se si tiene conto di queste avvertenze, le statistiche ufficiali, le uniche che
abbiamo a disposizione, appaiono per quello che sono: dei semplici indicatori a
partire dai quali sarebbe necessario un lavoro puntuale di inchiesta sulla
situazione nelle aziende e sul territorio, un lavoro che deve vedere come
protagonisti i lavoratori, i militanti politici e sindacali di base, i medici,
gli avvocati, i tecnici che, purtroppo in misura limitata, scelgono di usare le
proprie competenze come strumento di lotta sociale.
Nelle note che seguono, proveremo, a riportare alcuni dati aggregati
sull'andamento degli infortuni negli anni scorsi e a ragionare su cosa i dati
possono significare.
Fra il 1996 ed il 2000 gli incidenti sul lavoro segnalati all'INAIL sono
passati da 873.830 a 904.565 con un incremento superiore al 3,4%.
Se escludiamo, ed abbiamo molte ragioni per farlo, un salto spettacolare di
efficienza degli enti preposti alla prevenzione ed alla repressione dei
comportamenti illegali e sovente criminali degli imprenditori, alcune
conclusioni sono evidenti:
il governo delle sinistre non ha condotto alcuna efficace azione di controllo
sulle concrete condizioni di lavoro dei salariati;
la crescita degli incidenti sul lavoro si accompagna alla riduzione del potere
contrattuale dei lavoratori, alla diffusione della piccola e piccolissima
impresa, alla crescita del lavoro non normato;
il lavoro che gli apologeti dell'esistente vogliono sempre più virtuale,
immateriale, relazionale ha, con ogni evidenza, caratteri decisamente fisici e
ne sono testimonianza i corpi degli oltre 800.000 disabili censiti dalla stessa
INAIL.
Se riteniamo di segnalare il fatto che un governo amico dei sindacati
istituzionali e dei partiti della sinistra ha fallito persino in un
tradizionale obiettivo riformista quale è quello di garantire condizioni
di lavoro non troppo a rischio non è perché ci fossimo mai illusi
che sarebbe stato altrimenti ma solo per porre meglio in rilievo quanto emerge
da una lettura più articolata degli stessi dati ufficiali.
Negli stessi anni gli infortuni hanno avuto, se guardiamo le diverse aree
geografiche, questo andamento:
nord ovest da 263.846 a 265.939
nord est da 297.235 a 305.996
centro da 163.687a 172.126
sud da 107.571 a 116.836
isole da 41.331 a 43.668
Ritengo sia evidente che:
il nord ovest, caratterizzato da significative aree di decadenza industriale e
dalla presenza ancora forte della grande industria, vede, comunque, una
crescita, contenuta rispetto alle altre aree ma significativa, del numero degli
infortuni.
il nord est ed il centro, caratterizzati dal predominio della piccola impresa,
vedono una crescita spettacolare degli infortuni e non vi è alcuna
significativa differenza fra il Lombardo Veneto polista e leghista e le regioni
"rosse" del centro: se Treviso passa da 20.671 infortuni a 24.168, conquistando
un record nazionale, Parma passa da 11.765 a 13.166 e la burocratica ed
impiegatizia Roma passa da 31.366 a 35.411;
i dati del sud sono impressionanti soprattutto se si tiene conto del fatto che
alla crescita del numero di infortuni non corrisponde quello dei lavoratori
occupati e che il sud si caratterizza per un'evasione contributiva (lavoro
nero) seccamente più alta rispetto alla media nazionale. Fra le
città del sud, si distingue, per fare un caso interessante, Bari che
passa da 14.988 infortuni a 17.995.
Una prima lettura sintetica di questi dati permette di trarre alcune, prime ed
approssimative, conclusioni:
la crescita degli infortuni accompagna quella dell'occupazione nell'impresa
nuovo modello: la leghista Treviso come la polista Bari senza saltare le aree a
più forte insediamento della sinistra. Non vi è opposizione ma
corrispondenza fra insicurezza e sviluppo rendendo concretamente visibile la
natura tossica del capitalismo;
se consideriamo che i lavoratori immigrati che risultano ufficialmente sono
ampiamente meno della metà di quanti lavorano in realtà e che
questo segmento del lavoro è collocato nei classici lavori a grave
rischio (edilizia, concerie ecc.) è possibili immaginare quanto la
realtà degli infortuni è sottostimata. Di questa realtà
l'opinione pubblica è posta a conoscenza solo quando ci si trova di
fronte, come è avvenuto recentemente a Torino, a un cadavere di un edile
immigrato e morto per un incidente abbandonato sulla strada;
la legislazione sulla sicurezza nei posti di lavoro è, sostanzialmente,
inefficace in mancanza di una capacità di controllo da parte sui
salariati sulle condizioni effettive di lavoro;
tutti i discorsi alla moda sulla "sicurezza dei cittadini" appaiono per quello
che sono: una volgare negazione dell'evidente carattere tossico della
condizione di lavoro che milioni di persone subiscono quotidianamente. Se
è vero che il lavoro salariato è nocivo anche quando non si danno
infortuni per il suo carattere di negazione della libertà del lavoratore
è anche vero che la tutela della salute sui posti di lavoro è un
importante indicatore dello stato del rapporto di forza fra le classi.
Su quest'ordine di questioni, sugli oltre 1000 morti all'anno per incidenti sul
lavoro, sulle centinaia di migliaia di essere umani resi invalidi da questo
stesso lavoro è necessario far circolare informazione e sviluppare
iniziative efficaci.
Cosimo Scarinzi
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