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Da "Umanità Nova" n.17 del 13 maggio 2001

Lobby sindacali
Neoparlamentarismo e gruppi di pressione

Capita da qualche tempo di leggere sui giornali della sinistra appelli elettorali per questo o quel candidato (solitamente presentatosi nelle liste del PRC) firmati da una serie di militanti di diversi sindacati di base ognuno dei quali indica il sindacato di appartenenza e, in qualche caso, il ruolo che svolge nel sindacato stesso.

Sul piano formale non si pone, ovviamente, alcun problema. La pratica di votare e, soprattutto. di invitare a votare per qualcuno è ampiamente diffusa e irridere al fatto che questa pratica non coinvolga solo intellettuali di professione, cantanti e registi, sarebbe, nella sostanza, errato e nulla aggiungerebbe alla nostra critica del parlamentarismo.

Può, però, valere la pena di sviluppare alcune riflessioni su di una forma non del tutto nuova ma interessante di parlamentarismo.

Come è noto, il tradizionale partito parlamentare di massa ha sempre cercato di presentare in lista, oltre ai classici personaggi di spicco, esponenti di associazioni, sindacati, movimenti vari al fine, assolutamente ovvio, di raccogliere voti in settori di elettorato diversi da quelli tradizionalmente fedeli al partito. A questo fine, visto che non sempre queste persone aderivano al partito stesso, era nata la figura dell'indipendente. L'universo degli indipendenti non è, ovviamente, omogeneo e può essere diviso, come si è già rilevato, in almeno due gruppi:

- l'uomo di successo (imprenditore, cantante, attore, professore universitario, professionista ecc.) "prestato alla politica";

- il rappresentante di un gruppo di pressione che ha un rapporto di scambio con il partito nella cui lista si presenta.

Parlando di "rapporto di scambio" non ci si riferisce necessariamente a qualcosa di scandaloso, a clientele ed a pratiche di corruzione. Può trattarsi, semplicemente, di un accordo, più o meno formalizzato, fra un soggetto sociale istituzionale ed un partito del tipo: io ti porto un pacchetto di voti e tu mi garantisci la tutela di alcuni particolari interessi, meglio ancora se questa tutela è affidata ad uomini direttamente espressi dall'associazione. È un fatto che questo rapporto dimostra l'infondatezza della classica opposizione fra "società civile" e "classe politica" visto che la società civile, che è, per chi lo avesse dimenticato, la borghesia o, comunque, la società civile capitalistica, tutto è tranne che estranea alla gestione della macchina statale.

Con la crisi del partito di massa il ruolo della società civile e dei gruppi di pressione che la costituiscono è cresciuto a scapito dell'apparato del partito con l'effetto di trasformare i partiti stessi in collettori di interessi particolari tenuti insieme dalla leadership carismatica dei dirigenti e dal controllo dei flussi di spesa dello stato (essenzialmente da questo controllo anche se non va sottovalutato il ruolo dell'immaginario collettivo nella nobilitazione delle pratiche quotidiane del sistema dei partiti).

Se consideriamo, inoltre, che mentre i classici partiti di massa si sono, diciamo così, asciugati dal punto di vista del radicamento e della militanza mentre i sindacati di stato hanno mantenuto una struttura corposa e capillare, si comprende che le relazioni fra partiti e sindacati sono significativamente cambiati: la CGIL fa certamente, nella maggioranza, riferimento ai DS ma certo l'apparato della CGlL ha un rapporto ben diverso con i DS stessi rispetto a quello che aveva con il PCI mentre la CISL, più per sorte che per scelta, si trova liberata dalla sua tradizionale sponda politica democristiana al punto che Sergio D'Antoni sta cercando di crearla di nuovo con l'esperimento di Democrazia Europea.

Questa deriva non ha risparmiato il PRC e si intreccia con il fatto che questo partito, in presenza di un ridimensionarsi della componente cossuttiana, sembra sempre più un circo equestre e sempre meno il classico apparato stalino togliattiano dal quale ha preso le mosse. Le diverse componenti della sinistra non istituzionale, semi istituzionale e decisamente istituzionale che fanno riferimento al PRC convivono in una problematica convergenza e definiscono, di volta in volta, una linea generale del partito che deve tenere assieme esigenze contrastanti. Basta, a questo proposito, pensare alle ultime scelte elettorali.

Sul piano sindacale, come è noto, il PRC punta essenzialmente su due interlocutori diversi:

- la sinistra CGIL;

- il sindacalismo alternativo e, all'interno di quest'area, soprattutto sulla Confederazione Cobas.

Naturalmente iscritti e militanti del PRC sono iscritti e attivi anche in altri soggetti sindacali istituzionali o alternativi ma basta sfogliare "Liberazione" per comprendere quali sono le scelte tattiche, non parlerei di strategia, del PRC.

È mia opinione che, per fare un esempio abbastanza noto, la recente iscrizione di Giorgio Cremaschi al PRC non vada interpretata come il passaggio di un settore della sinistra CGIL a questo partito ma, al contrario, come una scelta che garantisce la potente sinistra sindacale torinese rispetto alle scelte del partito di riferimento. Basta, a questo proposito, considerare il radicamento sociale della sinistra sindacale a fronte di quella del partito di riferimento e, soprattutto, le risorse delle quali dispone in termini di distacchi per rendersi conto dei diversi pesi specifici dei soggetti dei quali ragioniamo.

Considerazioni analoghe si possono fare per l'area del sindacalismo alternativo i cui gruppi dirigenti e, per la verità, il cui tessuto militante fa riferimento in misura significativa alla sinistra parlamentare senza accettarne necessariamente un ruolo di direzione ed, anzi, guardandola con un certo disincanto, maggiore o minore a seconda delle organizzazioni e degli individui ma evidente.

Non vi è in questa sede lo spazio per trattare delle ragioni programmatiche e strutturali di questo rapporto che pure meriterebbero un approfondimento. In estrema sintesi, basta tenere presente che, sul piano politico culturale, è forte, come lascito della vecchia sinistra statalista, l'idea che si debba puntare su di un rilancio del welfare e di forme di democrazia sociale e, su quello strutturale, che ogni organizzazione tende a produrre un apparato che si pone, consapevolmente o meno, come primo obiettivo la propria sopravvivenza.

Gli appelli, dai quali abbiamo preso le mosse per questo articolo, appaiono, a questo punto, come espressione, in piccolo, di un processo sociale generale: il tentativo di darsi una sponda istituzionale diretta attraverso candidati d'area.

Questa sponda, oggi, si trova soprattutto nella sinistra (sarebbe meglio dire le sinistre) del PRC ma non sono mancate interlocuzioni con i Verdi. In futuro la situazione potrebbe cambiare.

Le ricadute di questo parlamentarismo strumentale nell'area del sindacalismo di base sono evidenti:

- se si punta ad avere dei rappresentanti eletti (bisogna tenere conto del fatto che gli eletti possono esservi, realisticamente, solo nelle elezioni locali), i gruppi sindacali devono scegliere i candidati sui quali puntare ed evitare che il voto d'area si disperda su troppi candidati mentre ai partiti interessa avere il maggior numero possibile di candidati che portino voti e non siano eletti;

- di conseguenza, vi è una lotta di potere nei sindacati per scegliere i candidati o almeno per impedire una concorrenza eccessiva;

- queste operazioni si svolgono, necessariamente, al di fuori del controllo della base che viene manipolata dai fautori del neoparlamentarismo;

- chi controlla i rapporti con gli eletti controlla risorse che gli danno potere nell'organizzazione sindacale.

Sarebbe interessante rileggere alcune pagine che Armando Borghi ha dedicato al semiparlamentarismo di settori del sindacalismo d'azione diretta dell'Italia giolittiana per rendersi conto del fatto che non si tratta di problemi del tutto nuovi anche se, questo viene da sé, prendono forme specifiche e determinate.

Oggi, ritengo che l'essenziale sia sviluppare una critica puntuale del parlamentarismo e, soprattutto, dei meccanismi sociali che ne costituiscono il fondamento: la burocratizzazione del movimento operaio e lo sviluppo, in forme apparentemente nuove, di pratiche gerarchiche nella sua strutturazione, per un verso, la deriva verso ipotesi neoriformiste, per l'altro.

Cosimo Scarinzi



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