![]() Da "Umanità Nova" n.18 del 20 maggio 2001 La guerra dei bambiniLa morte di Iman, la bimba palestinese di appena quattro mesi uccisa da una scheggia di proiettile nel corso di una rappresaglia di soldati israeliani nei territori controllati dalla polizia di Arafat, ha fatto il giro del mondo come un'icona mediatica, a testimonianza della tragedia umana che da sette mesi infanga il Levante arabo. Un'icona mediatica immediatamente scambiata con la lapidazione di due quindicenni israeliani a loro volta divenuti immagine tragica della guerra arabo-israeliana. I corpi infantili - vivi e morti - sono utilizzati come moneta di scambio per acquistare a livello di politica internazionale la ragione e la giustificazione del conflitto, accelerando la dimensione tragica della sofferenza, come se la guerra - fin qui combattuta - non avesse già manifestato l'insensato dolore vissuto quotidianamente dalla popolazione. Non abbiamo mai creduto possibile considerare la guerra un'arte - al contrario di Sun Tsù o del più noto stratega delle guerre antinapoleoniche, il barone Carl von Clausewitz - sebbene non sia affatto difficile considerare le guerre di "posizione" palestre in cui esercitare tattiche psicologiche e strategie tecnico-militari. Ma i tempi sono cambiati, e anche in guerra non é più questione di tempo, quel "fattore" che garantiva il successo di un'operazione militare, perché ora nulla é più possibile considerare nei termini propri "operazione militare". Non gli obiettivi, non gli strumenti, non gli agenti. I conflitti armati non solo non prevedono uno scenario militare, ma non implicano neppure un personale militare se a combattere - stando a quanto riportano i dati ufficiali dell'Onu - sono sempre più bambini. Più di 300 mila, tra i quindici e i diciotto anni, sono attualmente impiegati nei diversi eserciti che si stanno fronteggiando. Bambini che non sanno cos'é la vita, perché impiegati a negarla e a negarsela. Bambini addestrati ad essere crudeli, sanguinari, spietati, come soltanto chi é privato di tutto sa esserlo. Bambini che non giocano alla guerra, la fanno! Abbracciando un fucile o brandendo una fionda, i bambini sono diventati una mercanzia ideologico/militare: il simbolo/valore di una "lotta di popolo". Anzi, la testimonianza di una vita votata al sacrificio per un ideale, in cui non é l'ideale che motiva il sacrificio, bensì il bambino che giustifica l'ideale. La guerra non é più maschia. Non é di esclusiva pertinenza degli uomini provati e valorosi. La guerra é di tutti e tutti sono in guerra. Ma lo sono soprattutto le donne e i bambini. Che uccidono e sono uccisi. Sono loro la merce/prodotto dei crimini contro l'umanità. Un'umanità sempre più in guerra al punto che il concetto di "guerra umanitaria" é diventato forse l'unico e ultimo valore che la specie ha acquisito da un mondo della produzione che si afferma come produzione di un mondo in perenne conflitto. In conflitto con la vita senza più età, né sesso. Jules Élysard
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