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Da "Umanità Nova" n.18 del 20 maggio 2001
Gli anarchici e il popolo di Seattle
La doppia immagine
"L'esercito in marcia su Washington è il più pittoresco della
storia. Vi figurano gli hyppies e i pacifisti degli Anni Sessanta e Settanta, i
verdi di Greenpeace e di Earth first, i naderiani (avvocati dei consumatori) e
i vegetariani, i punk rocker e gli abortisti, i disoccupati e le femministe, i
seguaci di "Rifiuta e resisti", di "Liberate Mumia" (il nero Abdul Jamal,
condannato per l'assassinio di un poliziotto), di "Sciopero dei cittadini" e
così via. Un'armata Brancaleone di ogni sesso, razza ed etnia (...) Gli
anarchici sono la punta di lancia della manifestazione. Le bandiere nere, le
magliette con le scritte più diverse "Brutti poveri felici", "A fondo il
fondo!", gli inni della "Anarchia di canto e di bevute", ravvivano la marcia.
L'America ignorava che il loro movimento fosse così vario. C'è la
"Colonia anarchica" dell'Oregon, guidata da John Zerzan, che devastò il
centro di Seattle e che propone il ritorno "alla civiltà dei contadini e
cacciatori". C'è il "Blocco nero", che vorrebbe "la fine delle
ideologie". C'è il "Blocco rivoluzione anticapitalista" che esige quella
dei sindacati e di Wall Street. C'è "Cinquanta anni sono sufficienti"
della kenyota Njoki Njehu, che invoca l'abolizione dei debiti del Terzo Mondo
("Il futuro non è vostro"). C'è la "Lega anarchica di calcio"
secondo cui il soccer sarebbe "lo sport della rivoluzione democratica."
(Ennio Caretto, Corriere della Sera 13.4.2000)
"La manifestazione era composita ed eterogenea come tutte quelle che si sono
susseguite da Seattle in poi, con gli anarchici del "Black Bloc" in
passamontagna nero, gli sfottenti "Billionaires for Gore and Bush" che
distribuivano biglietti da un dollaro ("Per qualunque candidato votate, non
preoccupatevi, noi l'abbiamo già comprato"), i lavoratori dello
spettacolo (Film and Television Association di Hollywood), il partito verde di
Ralph Nader, i lavoratori socialisti, le organizzazioni pacifiste, quelle di
omosessuali, i gruppi per la fine dell'embargo all'Iraq, quelli per la
liberazione di Mumia Abu-Jamal, quelli contro la pena di morte, i carri
carnevaleschi, i pupazzi di maialoni con facce di Gore e Bush, missili
gonfiabili, alieni verdi, pellirosse danzanti, bande con gli ottoni, anziane
signore da arsenico e vecchi merletti con cartelli "basta con la violenza", lo
slogan "sì alle necessità umane, no alle avidità bancarie"
(Human Needs not Corporate Greeds), ritornelli "Niente sangue per il petrolio"
e un grande camion con sopra la band Rage against the Machine (...) Due ragazzi
si sono arrampicati sul reticolato per sventolare le loro bandiere nere
dell'anarchia."
(Marco D'Erasmo, Il Manifesto, 17.8.2000)
Le cronache giornalistiche degli appuntamenti del "popolo di Seattle" tendono a
somigliarsi tutte, qualsiasi sia il corrispondente e qualunque sia la
testata.
È il trionfo dell'umanità varia, in un'atmosfera revival delle
precedenti contestazioni, dove l'unica apparente novità è
rappresentata dalla presenza degli anarchici ed è proprio su questo
ultimo aspetto che, in particolare, meriterebbe interrogarsi.
Improvvisamente gli anarchici non sono più stati "invisibili" e talvolta
tutti gli oppositori vengono etichettati come anarchici, mentre vengono
ignorati e fatti scomparire dalle scene i "comunisti" e gli "operai": i primi
quale inammissibile persistenza dopo la celebrata "fine del comunismo" ed i
secondi, autentici convitati di pietra, in un mondo in cui tutti fanno a gara
nel seppellire le contraddizioni e i conflitti di classe.
Gli anarchici da parte loro sembrano generalmente stare al gioco che li vede
protagonisti e, forse sorpresi da tanta imprevista notorietà, rinunciano
a chiedersi perché.
Proviamo invece a tornare alla nostra "scuola del sospetto".
Innanzitutto non si può non osservare come l'IMMAGINE veicolata dai
media delle mobilitazioni contro i diversi summit-vetrina del potere economico
e politico globale risponda perfettamente alle dinamiche ed ai problemi che lo
stesso dominio mondiale si pone: ossia quei "punti di non ritorno" che a
livello planetario, dalla distruzione dell'ambiente allo smantellamento del
welfare, minacciano la stessa sopravvivenza del sistema di sfruttamento.
Ecco quindi che i nuovi movimenti di protesta finiscono per essere inseriti
nella prospettiva politica di "democratizzare e governare la globalizzazione" e
rendere "sostenibile" il vigente modello economico di sviluppo e mai, si badi
bene, ipotizzando un suo radicale sovvertimento.
Se non si comprende questo, rimane incomprensibile perché l'informazione
si dimostra comunque benevola verso le "ragioni" del cosiddetto "popolo di
Seattle", pur criticandone alcune forme di protesta, così come
può sorprendere il fatto che tutti i governi hanno cercato di limitare
la violenza repressiva e di non creare martiri, pur mettendo in campo autentici
eserciti antisommossa che puntualmente trasformano l'ambiente urbano delle
città e la vita dei loro abitanti.
In questo contesto l'utilizzo degli ANARCHICI risulta doppiamente funzionale.
In primo luogo sul piano ideologico, la DEMOCRAZIA afferma la propria
supremazia e la propria forza "concedendo" persino ai suoi più radicali
nemici di manifestare il loro dissenso, spettacolarizzando (e quindi
controllando) gli aspetti di maggiore antagonismo e favorendo il dialogo con la
"società civile", come testimoniano le recenti dichiarazioni del
sottosegretario agli Interni Frattini riguardo il prossimo vertice del G8 a
Genova. Meglio infatti, per il potere costituito, lasciare margini di
contestazione, anche estrema, purché si releghi ogni ipotesi sovversiva
nel regno dei sogni o alla bottega dell'antiquario.
La protesta, per quella che Montesquieu chiamava "macchina dispotica", appare
ancora il minore dei mali, in quanto comunque chiede, più o meno
garbatamente, qualcosa al potere politico e quindi implicitamente ne riconosce
l'autorità di governare sulla vita e la morte di tutti, preoccupa molto
di più chi, invece di protestare, comincia ad organizzare
quotidianamente l'insorgenza globale e la rivolta dei "dannati della terra".
Su questo aspetto ci sarebbe peraltro da soffermarsi a lungo, dato che siamo di
fronte ad un'autentica e sistematica offensiva ideologica mirante a far
apparire qualsiasi progettualità rivoluzionaria come anacronistica,
sanguinaria o destinata in partenza al fallimento; purtroppo invece gli
intellettuali della sinistra radicale che dovrebbe essere i primi a riconoscere
e a smontare tali meccanismi risultano essere culturalmente succubi e partecipi
di tale logica, quando invece la storia di questi ultimi decenni ha semmai
messo una pietra tombale sulle illusioni riformiste all'interno della
cosiddetta globalizzazione.
In secondo luogo va osservato che gli anarchici, o meglio il MITO degli
anarchici, romantici UTOPISTI o feroci TERRORISTI , si presta in anticipo -a
seconda del momento e delle situazioni- a ridicolizzare o a criminalizzare
tutto il "movimento", ma soprattutto le sue componenti anticapitaliste e
antistatali.
Di certo, se la rivolta continuerà ad estendersi e radicalizzarsi,
vedremo che l'immagine colorata dei "sognatori" si trasfigurerà in
quella nera dei "bombaroli" e dei "nichilisti" e che tutti faranno a gara nel
condannare i nemici dello Stato.
Lo sappiamo da un secolo.
Sandra K.
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