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Da "Umanità Nova" n.21 del 10 giugno 2001
Genova 1960-2001
Il filo che non si spezza
Questo articolo che riproponiamo, scritto da Umberto Marzocchi all'indomani
delle grandi mobilitazioni antifasciste dell'estate 1960 contro il governo
Tambroni - in particolare di quella portentosa di Genova -, potrebbe sembrare
un parallelismo forzato con l'attualità. È evidente che ci si
può solo riferire ad una grande valenza evocativa di quei fatti lontani,
che in più ci viene rafforzata dalla coincidenza, bene augurante, del
capoluogo ligure quale città dei "contro-appuntamenti" (ieri contro il
raduno fascista, oggi contro il vertice G8). Lo scritto piuttosto, che al di
là dei moduli di linguaggio usati mantiene la sua freschezza
nell'analisi, sa ben cogliere quale sia il reale "pericolo" in questi casi. La
rivolta generosa e disinteressata di chi, padrone di nulla ma anche servo di
nessuno, ritiene moralmente giusto manifestare il suo dissenso (ossia compiere
un "dovere civico rivoluzionario" per dirla con Marzocchi) contro qualsiasi
concezione autoritaria e dittatoriale della vita, deve fare i conti con almeno
due tipi di sollecitazioni. Queste fanno comunque capo ad un unico disegno: da
una parte si tratta di "recuperare al solo gioco parlamentare" istituzionale
queste pulsioni; dall'altra si paventa l'equazione opposizione sociale =
crimine. Se nel 1960 la stampa governativa individuava il pericolo nei giovani
'teppisti' con le magliette a strisce, oggi il terrorismo massmediatico ha
già deciso chi dovrà interpretare il ruolo di "anima nera del
movimento".
Chi da tempo immemorabile e a spese del contribuente, peraltro in modo poco
professionale, origlia le nostre conversazioni e segue i nostri passi; chi ci
fa recapitare un invito in RAI per dibattere due minuti sui recenti attentati
attribuiti e rivendicati da fantomatiche sigle (non sui nostri ultimi dieci
libri); chi, dopo aver confezionato il solito minestrone, questa volta con punk
a bestia e separatisti baschi, ci indica quali autori di "possibili atti
terroristici" dovrebbe pensare meno a leccare il culo e riflettere piuttosto
sulla matrice delle stragi che hanno insanguinato l'Italia in questi ultimi
decenni. Il nostro diritto a manifestare ci discende unicamente dall'essere
degli "umani", donne e uomini comunque liberi. Ma, se proprio insistete, esso
deriva anche dall'aver impugnato le armi in quel lontano 1943-1945, un'epoca
quella in cui - secondo la vostra vulgata - sembra che i buoni e i cattivi
fossero da tutte le parti.
Giorgio Sacchetti
I giovani con la piazza
I giovani sono scesi in piazza di loro iniziativa. Abbiamo assistito al
magnifico spettacolo datoci dai giovani di Genova e i giornali di questi ultimi
giorni ci portano la documentazione fotografica e cronistica delle
manifestazioni che hanno coronato lo sciopero generale, dove i giovani sono
stati all'altezza del loro dovere civico rivoluzionario. I feriti di Roma, i
feriti ed i morti di Reggio Emilia, di Palermo, di Catania sono anch'essi come
i feriti di Genova, per la più parte dei giovani.
Con questo, si ha la prova che il giovane di oggi è un fine osservatore,
in quanto sa trarre insegnamento dai fatti che avvengono nel mondo, nei quali
è protagonista la gioventù. I giovani di Francia, che nel 1955 si
rifiutarono ammutinandosi alla stazione di Austerlitz a Parigi, di partire per
l'Algeria in guerra; i giovani turchi, coreani, giapponesi, che con la loro
azione di piazza determinarono la caduta di regimi tirannici e la protesta
ostile ai patti di guerra, hanno fortemente impressionato i nostri giovani.
In questi 15 anni dalla caduta del fascismo, durante i quali il giovane avrebbe
dovuto ignorarne ogni ripercussione fisica e morale, i privilegi di classe si
sono mantenuti e ampliati; l'apparato della forza e dell'inganno si è
perfezionato e raffinato; i dolori e i drammi umani sono, ogni giorno che
passa, più profondi, più estesi, più sanguinosi; le
sofferenze si moltiplicano; i pericoli di guerra crescono e il male si
sviluppa: la tetra ombra dell'era fascista si addensa sulla gioventù
disperata ed esasperata.
Il fascismo è dovunque, non soltanto nel M.S.I. Ma se lo scioglimento
del M.S.I. viene imposto dalla volontà popolare, anche i sostegni dove
si puntella dovranno ricredersi e capitolare. Questo i giovani hanno compreso e
per questo hanno agito. Non vogliono essere gli assassini dei loro fratelli,
come purtroppo lo furono quelli delle generazioni fasciste, delle "Disperate"
di triste memoria; vogliono essere i militi della libertà: vogliono
liberare il popolo, di cui sono i figli più cari, dalla lebbra fascista;
non ammettono tentennamenti, né tregue, né compromessi.
Aperta con Genova la breccia ribelle per un motivo ideale, la sua efficacia
risulterà soltanto da una continuità che in maniera consecutiva
inutilizzerà tutti i mezzi di coercizione e abbatterà tutti gli
ostacoli. La rivolta morale è indispensabile; il suo servizio sociale
è dei più meritori. Del resto tutti i progressi della vita umana
lo dimostrano. E in tutto quello che viene interpretato come fattore di
civiltà, questa rivolta ha sempre avuto, ha ed avrà il suo atto
di presenza.
I partiti di massa hanno prosperato, in questi ultimi 15 anni, grazie alla
tendenza che spinge densi strati di esseri umani a credere in qualcuno o
qualche cosa che faccia autorità su di loro. Anche la gioventù
italiana si lasciò illudere dagli apparati, credette in essi in modo
quasi religioso e fanatico; il partito e gli uomini che lo incarnano divennero
la sua ragion di essere. Tal quale si affaccia oggi alla ribalta degli
avvenimenti, la gioventù potrebbe costituire, se coltivata nei suoi
impeti e nelle sue decisioni, una nuova leva capace di sforzo, di senso e
ragione propria, ben disposta ad uscire dall'assurdo, dallo stato di ubbidienza
e dalla disciplina di partito che la rese fino ad ora irrazionale, apatica e
gregaria.
Il dramma della gioventù italiana risiede nell'aver seguito, senza
amore, le tattiche politiche dei partiti, oggi elettorali e domani
parlamentari, delle quali hanno tratto profitto agrari e industriali, borghesia
e governo, preti e fascisti. Oggi siamo alla svolta dello Stato forte, alla
minaccia di un ritorno sempre più temuto della tirannide fascista.
L'antifascismo ufficiale e parlamentare volle essere magnanimo e i da lui
perdonati divennero e sono spietati contro gli uomini ed i valori della
Resistenza.
E' giunta l'ora per tutti di impostare l'azione chiaramente, realisticamente.
Impedire nuovi tradimenti, nuovi agguati, nuovi attacchi alle libertà
è compito più che mai serio ed urgente. L'inizio è stato
buono, valido, determinante. Di fronte all'azione di piazza, alla
volontà fisica del popolo, allo slancio ardimentoso dei giovani,
fascisti e governo hanno dovuto ripiegare. Vuol dire che gli italiani
antifascisti hanno imboccato la strada giusta.
Attenti, ora, alla svolta parlamentare dei partiti antifascisti.
I giovani non devono permettere una seconda edizione della politica del
suicidio fin qui da partiti legalitari praticata, politica che ci ha dato uno
Stato capitalista e clericale, che porta gli ultimi ritocchi al rullo
compressore sotto il quale vengono schiacciate le poche libertà che ci
erano rimaste. E noi anarchici saremo con loro.
La piazza ha fornito prove di maschia energia, ha rimosso il morente, ha scosso
la sonnolenza, ha rimesso ciascuno al suo posto.
Se la "tattica" parlamentare riprende il sopravvento, se la piazza cede alle
manovre elettoralistiche dei partiti, se i giovani si lasciano convincere dai
becchini di servizio, che si fanno premurosi, suadenti, pressanti attorno ai
crocchi, nelle sedi del partito, nelle associazioni, nei sindacati, la rivolta
popolare si trasformerà come per incanto in atto che si vuole
ostinatamente politico, sarà svuotata di ogni contenuto sociale, i
poveri assassinati avranno raggiunto la folla degli altri caduti e per noi vivi
continuerà, senza soste e senza strappi, l'eterno gioco della politica
del suicidio, fino alla restaurazione di un regime tenebroso di reazione
fascista.
Stiano vigilanti i giovani, perché una cosa è conoscere i metodi
della persecuzione fascista per sentito dire e dalla voce dei testimoni che
vissero quegli orrori, ed altra è vedere con i propri occhi, toccare con
mano la realtà, subire e soffrire quegli orrori nel primo spirito e
nella propria carne.
Ma se i giovani vogliono assolvere ad una missione propria, debbono
persuadersi, rappresentando una componente delle inquietudini generali, che vi
debbono esercitare una funzione ed una pressione per dare un contenuto alle
loro attività ed alla loro azione. E se gli adulti vorranno mantenere il
contatto con i giovani, dovranno abbandonare il terreno della predica
paternalistica e fornire esempi buoni più che buone parole, consigli e
comminatorie.
Umberto Marzocchi da "Umanità Nova", n.29 del 17 luglio 1960
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