unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.22 del 17 giugno 2001

Guerra di Macedonia
Tra piccole patrie e mafia

La situazione in Macedonia è definitivamente precipitata; le prime due offensive della guerriglia albanese, quella di Marzo e quella di Aprile, si sono rivelate essere quello che da più parti si sospettava: un tentativo di saggiare le capacità difensive dell'esercito macedone (scarsine, e sicuramente inferiori a quelle della guerriglia, rifornita di tutto punto di armi automatiche e pesanti provenienti da Russia e Croazia), e la volontà NATO di proteggere la piccola repubblica balcanica (inesistente, a parte il profluvio di parole).

La guerriglia albanese, in questi mesi, ha così compreso di avere mano libera nella sua offensiva contro la Macedonia, e ha iniziato una campagna in grande stile, esibendosi in tutti i numeri già visti nel corso della precedente offensiva del 1998 contro la Jugoslavia. La scarsa simpatia per i regimi micronazionalisti creatisi in questi anni nell'area balcanica, non ci può, infatti, esimere da un giudizio chiaro sullo stato delle cose: l'attuale conflitto è figlio di un'offensiva in grande stile della guerriglia albanese, e il risultato di quest'ultima guerra sarà probabilmente la frattura della Macedonia lungo linee etniche, confermando il progetto atlantico di ricostruzione dell'area balcanica sulla base di formazioni statali di piccole dimensioni e etnicamente "pure".

Intanto proviamo a ricostruire cosa è avvenuto fino a questo momento.

Il 25 Febbraio compaiono le prime milizie dell'UCK-M (Esercito di Liberazione Nazionale - in Macedonia) nel villaggio di Tanusevci, posto a pochi kilometri dal Kosovo e residenza di Xhavit Hasani, boss malavitoso albanese e eroe della guerra del Kosovo. Questo signore, del quale sono noti i rapporti con la Sacra Corona Unita pugliese (il boss Francesco Prudentino è solito pranzare al suo ristorante a Vitina, in territorio kosovaro, durante gli incontri d'affari tra SCU e mafia albanese-kosovara), controlla la rotta Tanusevci - Qale Kepi i zanit (quest'ultima in territorio albanese), tramite la quale armi, donne e droga muovono verso l'Italia. La rotta si snoda in territorio montagnoso tra il Kosovo e la repubblica di Macedonia, in quella che per circa dieci anni è stata una virtuale terra di nessuno, dove i traffici sono fioriti sotto la bandiera della "Grande Albania". Le stesse vicende legate a Hasani, arrestato in Kosovo, estradato in ;Macedonia, rilasciato su cauzione, e, infine, rientrato in Kosovo scortato dal leader del Partito Democratico degli albanesi (al governo a Skopjie), Arben Xhaferi, permettono di comprendere il ruolo di quest'uomo, e il livello di protezione della quale può godere.

Ma perché Hasani, e la sua ampia rete di alleanze avrebbe dovuto decidere proprio adesso di lanciare l'offensiva verso la Macedonia? La risposta sembra sia da ricercarsi nell'accordo avvenuto il 23 Febbraio tra Macedonia e Jugoslavia per regolamentare il confine tra i due paesi. Questo accordo avrebbe dovuto avere due conseguenze: la prima, simbolica è la negazione dell'indipendenza del Kosovo, la seconda, maledettamente pratica è il previsto dispiegamento della prima brigata di frontiera dell'Esercito macedone, proprio là dove passa la rotta di Hasani e compagni.

A seguito di quest'accordo inizia la prima offensiva UCK, le uniformi nere della guerriglia e l'aquila a due teste compaiono nei villaggi di frontiera, mentre la reazione stizzita dei leader del Partito Democratico degli Albanesi (d'ora in poi, PDSh, mentre il Partito della Prosperità Democratica -anch'esso albanese, ma oggi all'opposizione dopo essere stato al governo insieme ai socialisti tra il 1994 e il 1998 - verrà citato come PPD), Xhaferi e Thaci (quest'ultimo cugino di Hashim Thaci, leader dell'Uck kosovaro, e oggi riciclato come capo dell'opposizione interna a Rugova, nonché uomo del Dipartimento di Stato americano) rende l'idea di come la sortita dei guerriglieri rompa le uova nel paniere agli ex radicali albanesi trasformatisi in sostegno del potere macedone, in cambio di un'assoluta libertà di gestione dei territori della repubblica a maggioranza albanese.

Il 30 Febbraio, Thaci dichiara esplicitamente: "L'integrità territoriale macedone va difesa dalle forze armate".

Se il partito che fu dei radicali albanesi si schiera in modo deciso a sostegno dello stato macedone, i guerriglieri trovano il sostegno fattivo delle organizzazioni non governative albano-macedoni che organizzano a Skopije e a Tetovo (seconda città del paese, a maggioranza albanese) manifestazioni apertamente schierate con l'UCK, mentre il rettore dell'università albanese di Tetovo dichiara che l'unica speranza per gli albanesi è la guerriglia. L'UCK, in questo frangente si dota di un suo partito, il PND (Partito Nazionale Democratico), guidato da Kastriot Haxhirexha, proveniente dal PDSh, mentre il PPD, assume una posizione ambigua cercando di occupare lo spazio radicale lasciato libero dalla trasformazione gradualista del PDSh.

Mentre la crisi si allarga, il ministro degli esteri macedone vola a Bruxelles a pietire l'aiuto della NATO, aiuto che l'organizzazione non rifiuta ufficialmente, ma che si prende ben guardia da far diventare operativo. Il 28 Febbraio l'UCK attacca l'auto che trasporta gli ambasciatori italiano e americano sul teatro del conflitto; questo attacco comporta una parziale risposta da parte delle truppe NATO in Kosovo, che accerchiano la zona di Tanusevci. L'UCK, mostrando accortezza tattica e agilità di movimento, evita lo scontro e si sottrae all'accerchiamento, spostandosi verso i villaggi di Blace (presso Skopije) e verso quelli di Tearce, Selce, Lisec, Lavce e Sipkovica (presso Tetovo).

In questo frangente, e siamo ormai a Marzo, ha luogo la manifestazione di Tetovo, bellicosa e salutata dal fuoco di artiglieria dell'Uck, che segna il salto di qualità di questo conflitto.

Il governo di Skopije si trova, infatti, ad affrontare una guerriglia meglio armata dell'esercito macedone, e i cui referenti internazionali sono in grado di piegare qualsiasi resistenza non gradita al nuovo ordine balcanico. La strada scelta dai macedoni, diventa così obbligata: nessuna repressione indiscriminata per non alienarsi i partiti parlamentari albanesi, attesa del via libera da Washington e Bruxelles per far avanzare l'esercito, rifiuto di aprire trattative con l'UCK che, in quel momento equivarrebbero a una resa senza condizioni.

Al contempo, il Kosovo si accende per la sorte dei confratelli di Macedonia, o meglio, si accendono i trombati dalle elezioni del 2000 che hanno consegnato la maggioranza a Rugova e l'opposizione a Hashim Thaci. L'AAK di Haradinaj (solo l'8% alle elezioni) organizza manifestazioni in tutta l'ex provincia jugoslava, mentre Bujar Bukoshi (ex primo ministro del governo kosovaro in esilio, un tempo vicino a Rugova e all'ex presidente albanese Sali Berisha, oggi vicino ai radicali) si lancia in dichiarazioni sul "...vento della libertà che dal Kosovo spira sui milioni di albanesi schiavi degli slavi".

Intanto nelle cancellerie europee e nel Congresso americano inizia a prendere piede l'idea che gli armati dell'UCK siano una sorta di taliban europei, prima foraggiati e poi sfuggiti di mano. Le critiche all'operato dei governi NATO iniziano a essere sempre più forti e plateali, mentre il conflitto rischia di imbarbarirsi ulteriormente a causa della creazione (sembra che l'iniziativa venga da gruppi appartenenti al Partito Socialista di Macedonia) di milizie paramilitari macedoni, incaricate di "far pagare" agli albanesi residenti nelle città macedoni le azioni dell'UCK.

Il 20 Marzo il governo macedone incassa l'appoggio UE (ma non USA), alla strategia di risposta moderata alla guerriglia, e alla nascita di un governo di salvezza nazionale che incorpori anche i due partiti parlamentari albanesi. L'UCK si ritira dagli avamposti occupati nei venti giorni precedenti, rendendo noto che la sua è da intendersi solo come una "ritirata strategica", in attesa degli eventi.

Il 24 Marzo il vertice UE fa il punto della situazione, confermando l'appoggio ai macedoni, appoggio che, in quest'occasione viene anche da Colin Powell. Quest'ultimo dichiara di essere pronto a appoggiare Skopije con l'invio di aerei-spia (la Macedonia non possiede aviazione) e di 80 tecnici antiterrorismo.

La Macedonia si sente, a questo punto, abbastanza forte da avviare una strana "offensiva finale". Cinquecento uomini, per lo più riservisti, si fanno strada senza quasi perdite fino ai villaggi occupati da una guerriglia forte di almeno seimila uomini. In realtà, il negoziato tra governo e guerriglia, sempre negato, ha avuto luogo, con la mediazione del "signor PESC", l'ex segretario NATO Javier Solana.

Nei giorni seguenti, infatti, il clima macedone si muove, e il capo del governo Ljupco Geogievski, annuncia la disponibilità alla revisione della costituzione nel senso di riconoscere agli albanesi lo status di popolo costitutivo della Macedonia, e di arrivare a un riposizionamento del paese, da stato unitario a federazione tra due entità - quella macedone e quella albanese - con legami esclusivamente formali.

Fino a quel momento, la guerriglia incassa, con un'azione tutto sommato limitata e ben calcolata, il ritiro macedone dal confine con il Kosovo, la messa in discussione dell'egemonia PDSh tra gli albanesi della Macedonia, e una seria opzione su una futura secessione della Macedonia. Inoltre, e non a caso, visto che l'UCK-M è una filiazione dei radicali kosovaro-albanesi, l'offensiva serve a rilanciare le ipotesi di quella parte dell'estabilishment occidentale più vicino ai radicali kosovari; il 23 Marzo il generale dell'offensiva NATO, W. Clark, propone un'accelerazione nel processo d'indipendenza della regione, mentre l'International Crisis Group, sponsorizza il progetto d'indipendenza montenegrino, subordinandolo alla volontà di Podgorica di cedere all'Albania le terre del sud, abitate da una minoranza albanese.

Mentre a Maggio continuano a Skopije le trattative tra i partiti per la costituzione del governo di unità nazionale, l'UCK rilancia l'offensiva sia a Tetovo, sia nelle colline sopra Skopije, sia per evitare il rafforzamento dell'esercito macedone, sia per premere sui partiti albanesi al fine che essi abbandonino la compagine governativa, lasciando l'esecutivo macedone senza più alcuna copertura di fronte ai suoi cittadini di lingua albanese. Nel contempo, non pochi intellettuali e politici macedoni, lanciano come soluzione dei rapporti tra macedoni e albanesi, lo scambio di territori e popolazioni tra Albania e Macedonia, una sorta di pulizia etnica reciproca che regali ai due stati confini diversi, ma cittadini etnicamente puri.

Questa proposta, da sola, da atto dell'incarognimento dei rapporti tra le popolazioni che la recente offensiva dell'UCK-M è riuscita a creare.

Alla metà di Giugno, in barba agli aiuti militari euro-americani, promessi ma non arrivati, la superiorità dell'armamento della guerriglia ha permesso all'UCK di spingersi fino a sei chilometri dalla capitale; duecentomila abitanti di Skopije (su seicentomila) sono albanesi, se gli appelli all'insurrezione verranno ascoltati nei prossimi giorni, ci troveremo di fronte a uno dei bagni di sangue più feroci delle guerre jugoslave di questo decennio.

Dopo la doverosa cronaca, è necessario scavare sotto le notizie per leggere in filigrana il senso di questo conflitto, conflitto per altro non separabile dai quattro che lo hanno preceduto nelle terre che un tempo furono jugoslave, e da quelli che probabilmente lo seguiranno.

In questo senso, sul prossimo numero di UN, svilupperò l'analisi sui modelli statali oggi sul campo dell'area balcanica, sull'origine della guerriglia albanese, e sui canali che legano gli attori di questo "grande gioco" agli interessi occidentali. Non sempre, infatti, la realtà è quella immediatamente avvertibile, e sotto la patina dell'unanimismo occidentale, a tratti affiorano i segnali di una guerra nascosta che i grandi del mondo stanno silenziosamente combattendo.

Giacomo Catrame



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