Da "Umanità Nova" n.23 del 24 giugno 2001
Il valore dei bambini
Dalla nascita alla scuola: la "morale" in moneta sonante di Buttiglione
Qualche giorno fa l'onorevole Rocco Buttiglione (il cui anagramma ormai famoso
è "un clerico bigotto") ha sparato la sua ennesima proposta per rivedere
la legge sull'aborto.
I giornali condensavano le modifiche in quella più plateale di un
milione al mese per un anno (aumentato poi a 1.200.000 per tre anni) per tutte
le donne che decidevano di non abortire e tenersi il figlio.
Partiamo dal primo rilievo: questa proposta non è affatto nuova. Lo
stesso Buttiglione l'aveva fatta, ospite di Porta a Porta, il 14 maggio,
citando una legge tedesca. Anche Berlusconi a febbraio, in pre campagna
elettorale, in un Forum a Famiglia Cristiana, nel tipico suo linguaggio
aziendalista aveva affermato che occorreva "disincentivare il ricorso
all'aborto", come se qualche donna scegliesse di abortire perché
"incentivata".
La proposta quindi era già conosciuta ed inoltre ricalca dei sostegni
analoghi alla maternità già esistenti, anche se legati al reddito
individuale. Inoltre, dal (loro) punto di vista economico non è
sostenibile, a meno di non voler introdurre una sorta di salario sociale dalla
nascita fino a tre anni. Dal punto di vista ideologico nessuno l'ha sostenuto.
Lo stesso giornale cattolico Avvenire gli ha dato pochissimo spazio,
Ma allora perché ogni tanto questo tipo tira fuori le sue stupidate?
Secondo me il motivo principale è di ordine ideologico. La parte
più pericolosa della sua proposta è infatti non il sostegno
economico "promesso" a chi non abortisce (una promessa in più non
può far male), ma quell'altra, passata in sordina, scritta più in
piccolo nei giornali. Non sbandierata ma lasciata trapelare affinché
cominci a farsi strada tra le coscienze: la necessità del consenso del
padre del bambino. La battaglia delle donne sull'aborto è stata fondata
innanzitutto sul diritto di scelta femminile, sulla possibilità di
decidere cosa fare del mio corpo, considerando il figlio come una parte del mio
corpo fin quando ne è dentro e quindi avendo l'unica ed ultima parola.
Richiedere quindi il consenso del padre rompe questo principio fondamentale:
non può essere solo la donna a decidere. "Pagare" poi le donne che fanno
un figlio le mette nella condizione di "prestatrici d'opera". Il figlio
è un lavoro, una fatica, pertanto deve essere pagata. Io ti pago, tu mi
fai un figlio. Perché ti lamenti: è un lavoro come un altro? Se
poi non vuoi tenere il bambino ci penseranno i tanti enti benefici cattolici
finanziati dallo stato...
Cambiare pertanto l'immaginario che era stato costruito intorno al tema del
fare o non fare figli: il problema non riguarda più solo le donne, ma
diventa pubblico, risolvibile con l'aiuto del padre e dello stato.
Nel contrastare quindi questa proposta occorre tenere presente qual è la
reale portata dell'attacco che viene fatto: non solo soldi, ma soprattutto
sudditanza economica e psicologica. Teniamo però sempre gli occhi bene
aperti perché le iniziative contro le donne sono per lo più
striscianti ed indefinite, ma ogni tanto si scatenano anche le crociate:
ricordiamo il ddl che voleva presentare la Lega che prevedeva 6 mesi di
domicilio obbligato ed altrettanti di "riabilitazione sociale" per la donna che
sceglie di abortire e la proposta di AN di reintrodurre nel codice penale il
reato di "istigazione all'aborto".
Il giorno dopo aver tentato di monetarizzare la nascita, il nostro uomo (inteso
come maschio e non come essere umano), fa un'altra bella proposta sullo stesso
stile della precedente: parificare completamente scuole pubbliche e private
modificando la costituzione ed eliminando la frase che afferma che le scuole
private debbano essere "senza oneri per lo stato".
Anche qui il trucchetto è sempre lo stesso: fare una proposta dirompente
ma difficilmente realizzabile (l'opposizione alla modifica della costituzione
è ancora alta). Agitare quindi l'argomento per poi farlo cadere dando
l'impressione che la destra più sordida sia stata battuta dagli
organismi di "destra" sì, ma democratici. Allo stesso tempo, in sordina,
attraverso la signora Moratti, che fino ad ora di lavoro faceva la manager
aziendale e quindi sa come si fa, trasformare la scuola in una scuola azienda.
Introdurre su scala nazionale un buono scuola sul modello di quello lombardo,
introdurre sponsor nelle scuole private e pubbliche, dare ai presidi la
possibilità di assumere chi vogliono eliminando quelle stupide
graduatorie per le assunzioni, costruendo così una forte scuola privata,
ma anche, e soprattutto, una forte scuola pubblica di serie A ed una di serie
B, sul modello americano. Provate a immaginare chi frequenterà quella di
serie A e chi l'altra? Avete mai visto i telefilm americani?
Del resto questa politica non è prerogativa del governo delle destre. Se
analizziamo un rapporto presentato a Parigi pochi giorni fa riguardanti le
spese per la scuola pubblica nei paesi OCSE, ricaviamo che nel biennio 1996-98
l'Italia aveva investito nella scuola solo il 5% del suo reddito nazionale
(contro la media del 5,7% degli altri paesi), ed anche la percentuale della
spesa per l'istruzione nell'intero bilancio pubblico è più bassa
che altrove: 10%, contro la media Ocse del 12,9%.
La costruzione di una scuola pubblica "da buttare" affonda quindi le sue radici
nel passato.
Probabilmente ora ci attendono, nella scuola e non solo, cambiamenti in "giacca
e cravatta" che non rivestiranno le vesti della crociata, ma saranno
altrettanto pericolosi, ma decisamente più subdoli e più
difficili da smascherare.
Rosaria Polita
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