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Da "Umanità Nova" n.23 del 24 giugno 2001

Ilva di Cornigliano
Cronaca di un fallimento

13 giugno: gli operai dell'Ilva di Cornigliano, uno dei più grossi centri siderurgici d'Italia, abbandonano il lavoro e si dirigano verso la sede della Regione Liguria. Nel centro di Genova il corteo si scontra duramente con la polizia ma gli operai ottengono di costringere il "governatore" della Liguria, Biasotti, ad asserragliarsi all'ultimo piano del palazzo regionale. Intanto il neo-ministro dell'Interno, Scaloja, in visita ufficiale a Genova ritiene più opportuno operare un rapido dietro front. Ma cosa ha fatto scatenare l'ira operaia? La questione è molto complessa ma proveremo ugualmente a riassumerla premettendo che la nostra ricostruzione tende a chiarire solo alcuni passaggi-chiave della vicenda.

L'ACCORDO DI PROGRAMMA DEL NOVEMBRE 1999 NASCE MORTO

L'impianto ILVA di Cornigliano è da anni al centro di dure proteste da parte della popolazione del quartiere genovese, costretta a sopportare le emissioni inquinanti (ben al di sopra dei limiti consentiti dalle leggi) e i rumori provocati dalle lavorazioni. Lo scontro è durissimo e vede da una parte gli ambientalisti e i comitati di cittadini, spesso egemonizzati da elementi legati ai partiti di destra, e dall'altra l'ILVA e i sindacati. Negli anni '80 l'impianto viene privatizzato, passando dall'IRI al gruppo RIVA, ma niente viene fatto per risolvere l'impatto ambientale. Il 29 novembre 1999, dopo anni di polemiche e scontri, il gruppo Riva, proprietario dell'ILVA, i sindacati (CGIL-CISL-UIL e CISAL), il Comune e la Provincia di Genova (centro sinistra), la Regione Liguria (centro-destra) e i Ministeri dell'Industria, dell'Ambiente e dei Trasporti e Navigazione, concludono un "Accordo di programma" che prevede di chiudere la cockeria, il settore più inquinante dell'impianto, bonificare l'area (a spese dello Stato) per restituirla all'Autorità portuale e all'Aeroporto Colombo, tutelare l'occupazione attraverso una serie di accorgimenti, anche questi finanziati dallo Stato, che prevedono un rientro in fabbrica di una parte dei lavoratori e il prepensionamento degli altri. L'Accordo di programma contiene però un'ambiguità di fondo riguardo il futuro dell'impianto siderurgico: perché la proprietà ILVA chiede in cambio della chiusura della cockeria l'apertura del "forno elettrico", cioè di un ciclo produttivo anch'esso inquinante. La mattina del 29 novembre ILVA e sindacati si accordano sul progetto di "forno elettrico"; nel pomeriggio, dopo tre ore di contrattazione, ottengono che tale progetto vanga allegato all'Accordo di programma. Il sindacato giustifica il suo atteggiamento con il fatto che il solo ciclo freddo non è in grado di riassorbire gli operai attualmente impiegati nel "ciclo caldo". Il risultato è un aborto: l'Accordo di programma non verrà mai applicato.

FRA TUTELA AMBIENTALE E SPECULAZIONI SULLE AREE

Immediatamente dopo la stipula dell'accordo un gruppo di cittadini, sponsorizzati con grande clamore da un deputato di AN, preannuncia un ricorso al TAR contro la costruzione del "forno elettrico". Intanto mentre il centro-sinistra, sia a livello locale che a livello nazionale, non muove foglia, la nuova giunta regionale di centro-destra, presieduta dal ragionier Biasotti, non fa mistero della sua avversione all'Accordo di programma ed entra in conflitto con l'ILVA. Con la scusa della tutela ambientale gli ambienti vicini a Biasotti lavorano per la chiusura dell'impianto siderurgico e per lo sfruttamento "alternativo" dei 150 ettari (con banchine) attualmente occupati dall'impianto siderurgico. In una conferenza stampa tenuta il 5 giugno 2000, Biasotti parla chiarissimo: "Se Riva vuole il forno elettrico con la forza, faccia invadere le autostrade, faccia chiudere gli aeroporti... invada la Regione, me li porti qui. Non è un problema mio. È un problema suo con il sindacato." La sua richiesta sarà esaudita poco più di un anno dopo.

Il progetto di Biasotti viene reso pubblico nell'ottobre: si tratta del tentativo di costruire un consorzio fra alcune realtà locali (ci sono anche la Lega delle Cooperative e la Compagnia portuali) per insediare nell'area ILVA una serie di attività economiche. Il costo previsto è di un miliardo, un terzo a carico dello Stato. Il progetto è però estremamente fumoso anche perché i promotori si rendono perfettamente conto che il gruppo Riva non mollerà facilmente un'area sulla quale ha un diritto di concessione fino al 2024.

Intanto mentre infuriano le polemiche l'ILVA non fa nulla per realizzare quanto di sua competenza dell'accordo del novembre 1999. La cockeria continua a funzionare e a inquinare come se nulla fosse.

INTERVIENE LA MAGISTRATURA: DALLA FARSA AL DRAMMA?

L'11 gennaio 2001, pochi giorni prima della scadenza dell'autorizzazione all'attività della cockeria e mentre si approssima la sentenza del TAR Liguria, le parti che hanno sottoscritto l'accordo di programma si ritrovano al Ministero dell'Ambiente. L'incontro romano assume toni ridicoli: dopo che per 13 mesi l'Ilva non ha mosso foglia, ora, improvvisamente, il gruppo Riva si impegna a iniziare il 16 gennaio la rottamazione della cockeria e a presentare il piano per la disattivazione dell'altiforno, disattivazione che viene prevista entro il 30 maggio. Il 20 gennaio il TAR della Liguria accoglie il ricorso dei cittadini contro il progetto di "forno elettrico", giudicandolo contrario allo spirito della legge 426/1998 sulla bonifica dei siti industriali. Riva coglie la palla al balzo e si rifiuta di mantenere gli impegni presi durante la riunione dell'11 gennaio. Contro la sentenza del TAR Liguria ricorrono Riva, l'Associazione industriali di Genova e... la CGIL.

Intanto il Sindaco di Genova è costretto a prendere atto che l'Ilva lavora senza autorizzazione e ordina la chiusura dell'impianto.

Il 12 giugno il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova, accoglie la richiesta dei magistrati che da tempo seguono le denuncie sull'inquinamento provocato dall'Ilva e ordina il sequestro preventivo della cockeria. Nella sua ordinanza il GIP spiega la sua decisione con la "preminente rilevanza del bene - salute" e richiama le allarmanti conclusioni dei due periti nominati dal pubblico ministero. I periti hanno riscontrato un continuo superamento dei limiti di emissione di polveri i cui effetti si riscontrano in modo evidente fino a 1,5 chilometri dal perimetro dell'impianto e un aumento della mortalità per tumore fra gli abitanti di Cornigliano.

Ancora una volta la risposta padronale non si fa attendere: Riva informa che manderà a casa non solo gli addetti alla cockeria ma tutti gli operai del "ciclo caldo", in totale circa 1100 persone. Appena la notizia si diffonde gli operai decidono di uscire dalla fabbrica e di dirigersi verso la sede della Regione. Da qui gli scontri con la polizia e la susseguente decisione di rinviare di 10 giorni ogni decisione. Il 16 giugno uno degli uomini forti di Berlusconi, Letta, comunica alla stampa che la convocazione delle parti a Roma "è imminente".

AMBIENTE E OCCUPAZIONE: I FALLIMENTI DELL'UTOPIA RIFORMISTA

Cornigliano è una "patata bollente" che mette a nudo tutti i limiti della sinistra istituzionale. Pur avendo a disposizione i mezzi dati dal controllo del governo centrale a Genova la sinistra ha mostrato tutta la sua impotenza. Sia a livello locale (dove la sinistra controlla Comune e Provincia di Genova) che a livello governativo, i riformisti si sono dimostrati subordinati agli interessi dell'Ilva. Il gruppo Riva, infatti, per più di un anno ha potuto infischiarsene degli impegni presi con l'Accordo di programma e ha giocato al tanto peggio tanto meglio, puntando tutto sul ricatto occupazionale e sull'incapacità del sindacato di andare oltre la pur sacrosanta difesa dei posti di lavoro. Gli operai hanno diritto ad un lavoro pulito e non inquinante - perché è bene ricordare che le prime vittime dell'inquinamento provocato dalla siderurgia sono proprio i lavoratori siderurgici - così come le popolazioni hanno diritto a vivere respirando aria e non polveri cancerogene. La soluzione non è quella di allontanare le fabbriche dal centro città come vorrebbero gli industriali dell'acciaio - una fabbrica inquinante fa male a Genova come a 50 km da Genova - ma è quello di costruire un modo di produzione ecologicamente compatibile facendo delle esigenze ecologiche le basi dell'attività economica. Questo significa lottare contro il degrado ambientale, dentro e fuori la fabbrica.

Per scendere nel particolare, ritengo prioritario battersi perché:

1. La cockeria venga chiusa;

2. Il resto dell'impianto venga sottoposto a Valutazione di impatto ambientale con l'obiettivo dell'emissione zero inquinanti;

3. La parte dell'area lasciata dall'Ilva venga bonificata e riconvertita a produzioni non inquinanti.

Come si vede non sono proposte "barricadiere" ma ritengo che attorno a queste proposte e ai relativi progetti sarebbe possibile iniziare quel processo di trasformazione, dentro e fuori la fabbrica, che svincoli gli operai dal ricatto occupazionale legandoli alle esigenze di salvaguardia della salute e dell'ambiente.

G. Battara



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