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Da "Umanità Nova" n.23 del 24 giugno 2001
Giustizialismo?
Botta & risposta
L'articolo di Massimo Ortallli pubblicato sul numero scorso di UN mi pone alcuni interrogativi
Ciò che maggiormente mi pone delle perplessità è questo
"giustizialismo" di fondo che, secondo me, pervade l'articolo. Io non sono
riesco ad essere contenta di vedere nessuno in prigione, neppure un boia come
Pinochet.
Non so quanto Pinochet si senta umiliato dall'essere fotografato e schedato
da quelli che, secondo me, Pinochet stesso giudica nemici suoi e dell'ordine
costituito. Tra l'altro una successiva notizia ha dichiarato che le
autorità giudiziarie cilene non sono ancora riuscite a far rispettare
l'ordinanza del giudice Guzman di prendere foto ed impronte digitali,
dimostrando quanto i mass media riescano a distorcere le notizie: ma non
è questo il punto che vorrei discutere.
È possibile che, comunque, un fatto di questo genere ci dia
soddisfazione? Qual è il punto oltre il quale una persona deve andare
perché per noi sia accettabile vederlo in galera? Un morto, due,
un'intera nazione? E se siamo felici di vederlo trattato così per chi
altri desidereremmo la stessa fine? Quanti altri? Come si concretizza nel
"mondo nuovo che portiamo nel cuore" una società senza galere e senza
carcerati?
Altre domande che mi pone l'articolo sono: come possiamo credere che
l'incriminazione di Pinochet dia valore alla giustizia statale? Perché
Massimo parla di "spada del giudice, che se anche arriva, arriva sempre troppo
tardi?" Cosa abbiamo noi da spartire con questo tipo di giustizia?
Un altro passo che mi suscita perplessità e quello in cui definisce
l'esercito di Pinochet un esercito senza "onore", il che presuppone che possa
esistere un esercito "onorevole".
Infine un ultimo rilievo: i ladruncoli non sono anch'essi vittime della
società? Non mi sembra giusto paragonarli a Pinochet.
Rosaria
Cara Rosaria
sono convinto che nulla sia più distante da me del giustizialismo. Non
ho mai amato i magistrati e i loro strumenti nemmeno quando tutta Italia
plaudiva alla loro opera di "moralizzazione" riempiendo le carceri italiane di
politici malandrini o di mafiosi impenitenti. Non amo le carceri e non le
auguro a nessuno e infatti di carceri e carcerati nel mio articolo non se ne
parla assolutamente. In esso mi limito a ricordare lo svolgersi di fatti
dolorosissimi e a considerare come la storia, a volte, ritorni sui propri passi
riaprendo momenti che sembravano definitivamente conclusi. In questo caso
mostrandoci come, per una sorta di legge del contrappasso, viene (o stava per
essere? Che importanza ha?) clamorosamente colpito da quei "valori" di onore,
giustizia, legittimismo e via dicendo proprio un macellaio che in nome di
quegli stessi "valori" non esitò ad uccidere migliaia e migliaia di
oppositori. Le impronte digitali e le foto segnaletiche in questione non sono
un fatto positivo o negativo in sè, ma semplicemente un elemento di
riflessione su come ogni tanto chi di spada ferisce di spada perisce. E che chi
si è sentito legittimato ad uccidere, schedare, imprigionare, torturare,
umiliare, ora si trova ad essere egli stesso umiliato (in forma molto minore,
per carità) con alcuni di quegli strumenti (i meno violenti, no?) che
con tanta tracotanza ha usato. E questo, lo ribadisco, non mi dispiace. E non
penso di essere giustizialista per questo motivo.
Rispetto alle altre osservazioni che mi fai, mi sembrava chiaro che l'utilizzo
di certe espressioni da me usate dovesse essere rapportato a quello che ne
avrebbe potuto fare il personaggio di cui parlavo. Il cosiddetto "onore",
infatti, è tutto suo, così come la spada del giudice è la
stessa che lui si è sentito in dovere di brandire, in quel lontano 1973.
Quanto ai ladruncoli, non ho una particolare simpatia per la loro
attività, ma, effettivamente, non credo che meritino di essere
paragonati a quell'anziano boia cileno.
Massimo
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