unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.25 dell'8 luglio 2001

Macedonia: tra "corridoi" e mafia
Una strana guerra civile

Gli ultimi avvenimenti della "strana guerra civile" macedone-albanese confermano quanto andiamo dicendo sulle pagine di UN da alcune settimane.

Il copione delle guerre balcaniche di fine secolo viene perfettamente rispettato anche in questo ultimo conflitto.

Dopo aver mantenuto un atteggiamento sostanzialmente responsabile e riguardoso degli appelli dell'occidente, il mondo politico macedone vede oggi l'emergere di figure come quella del ministro degli interni (appartenente al VMRO) Ljube Boskovski, che si fanno esplicitamente carico di essere i promotori della "rinascita nazionalista" in Macedonia. L'assalto armato svolto da cinquemila manifestanti al Parlamento di Skopije, con il preciso intento di abbattere il governo di unità nazionale che ospita nel suo seno rappresentanti dei due partiti albanesi PdSh e PPD, non può essere ritenuto un'azione spontanea, bensì un'azione attentamente programmata che vede come suo principale protagonista proprio il Ministro degli Interni che, non tanto casualmente tre settimane fa aveva iniziato a distribuire armi ai cittadini della capitale di etnia macedone. Riteniamo, inoltre, che questo "armamento del popolo", sia avvenuto in forma non generalizzata, ma privilegiando la base elettorale del VMRO, disponibile a azioni di forza per imporre una soluzione di tipo nazionalista alla crisi in corso nel paese.

D'altra parte, non si può ritenere del tutto innocente nemmeno il primo ministro Ljubko Georgievski (anch'egli del VRMO), che ha ritenuto di utilizzare la prova di forza nazionalista per interrompere le difficili trattative di governo con i partiti albanesi.

In questo modo è venuto allo scoperto il protagonista occulto della crisi macedone: il nazionalismo macedone, non meno pericoloso e ottuso di quello delle controparti albanesi.

Occorre, però, dire che il comportamento occidentale ha in tutti i modi favorito l'insorgere di un posizionamento nazionalista da parte dei macedoni, i cui partiti avevano finora insistito sul carattere di operazione anti terrorismo della guerra condotta da Marzo a oggi contro l'UCK-M.

Gli avvenimenti che hanno preceduto l'assalto al Parlamento sono stati, infatti, tali da far fortemente dubitare dell'interesse occidentale per la salvaguardia della Macedonia; ci troviamo, infatti, di fronte alla ripetizione dello scenario jugoslavo di inizio anni Novanta, quando, da un lato l'Occidente (USA e Gran Bretagna in testa) assicurava il suo appoggio al progetto di mantenimento della Jugoslavia, dall'altro tagliava i cordoni della borsa alle casse di quel paese, e, infine, riconosceva secessioni ampiamente finanziate come dati di fatto non più discutibili.

In Macedonia, nelle due ultime settimane è avvenuto qualcosa di simile; l'inviato europeo Javier Solana (questo nome non vi dice niente?) incontrando i responsabili governativi macedoni alzava sempre di più la posta per acconsentire all'arrivo di aiuti alla Macedonia, ottenendo l'impegno del Primo Ministro a operare nel senso del cambiamento costituzionale del paese da stato unitario a confederazione binazionale (caso strano, le stesse richieste dell'UCK-M). Lo stesso trattamento subiva il Presidente Boris Trajkosvski, accorso a Washington per implorare l'aiuto americano, forte dei meriti ottenuti dal suo paese durante la guerra in Kosovo, quando ospitò alcune decine di migliaia di profughi albano-kosovari.

Dopo aver incassato l'impegno macedone, e il varo del governo di unità nazionale con i due partiti albanesi all'interno, le cancellerie occidentali si sono ben guardate dall'onorare i propri, visto che, tuttora, l'unico apparecchio di cui si costituisce l'aviazione macedone è un vecchio Tupolev, acquistato in Ucraina sul mercato dell'usato.

Per quanto riguarda il disarmo dell'UCK-M, le cose sono andate pure peggio, dal momento che non solo questo non è avvenuto, ma il contatto tra le truppe NATO e quelle della guerriglia albanese è più che altro servito a quest'ultima per dimostrare il buon livello dei legami con l'Occidente. I guerriglieri chiusi in una sacca dai macedoni nei pressi di Skopije sono stati, infatti, accompagnati alle proprie retrovie dall'esercito americano, che si è ben guardato dal disarmarli. In compenso gli elicotteri italiani vengono usati dalla guerriglia albanese come vere e proprie autoambulanze del cielo, incaricati di portare i guerriglieri feriti alla base americana di Gnijlane, nel Kosovo sotto amministrazione USA. Questi dati, tra l'altro, vengono forniti da osservatori neutrali, e non smentiti né dall'esercito USA, né da quello del Belpaese.

Attualmente l'UCK-M continua a controllare gli immediati dintorni della capitale e delle altre due città a forte presenza albanese (Tetovo e Kumanovo), mentre le offensive dell'esercito macedone continuano a brillare per scarsa capacità militare e irresolutezza. A questo proposito è interessante rilevare come l'esercito macedone sia stato addestrato dalla Military Professional Resources Inc., compagnia privata di sicurezza di proprietà del generale americano Richard Griffits, noto per aver costruito le forze armate croate e bosniache, ma, anche, per aver avuto un compito di primo piano nell'addestramento dell'UCK kosovaro nelle basi italiane, kosovare, turche e tedesche, su incarico dei sevizi americani e tedeschi, e del 22deg. reggimento SAS (le teste di cuoio) britannico.

Il ruolo quantomeno ambiguo di questo personaggio è confermato dalle dichiarazioni da lui rilasciate nell'Autunno del 2000, quando aveva sostenuto l'opportunità di concentrare le truppe macedoni nei distretti orientali del paese (lontano, quindi, dall'area abitata dagli albanesi di Macedonia) allo scopo di rendere l'esercito più mobile e più leggero.

A questo punto della notte, è necessario rilevare come l'UCK-M, abbia ottenuto tutti gli obiettivi che si era prefisso con l'inizio dell'offensiva di Marzo: l'esercito macedone è frustrato e sostanzialmente impotente, il governo di Skopije, dopo l'iniziale atteggiamento di apertura verso i partiti albanesi (con i quali, ricordiamolo, governa il paese dal 1994, prima il PPD con i socialisti, poi il PdSh con la Destra), sta rapidamente scivolando in mano a esponenti nazionalisti che trasformeranno il conflitto con la guerriglia in una guerra etnica, l'occidente ha continuato a essere generoso di dichiarazioni e povero di aiuti militari e politici con la Macedonia, mentre ha mantenuto un occhio di riguardo nei confronti dei guerriglieri albanesi dei quali non tenta né il disarmo, né l'espulsione dal territorio della piccola repubblica balcanica.

Soprattutto, l'UCK-M ha ottenuto i tre obiettivi che si era proposto con questa offensiva. Il primo riguarda la progressiva trasformazione del conflitto su basi etniche; che il conflitto non avesse ancora raggiunto la dimensione della guerra tra macedoni e albanesi è dimostrato dal numero di morti di origine albanese tra le file dell'esercito macedone, dalla scarsa volontà di collaborazione con la guerriglia da parte delle popolazioni di origine albanese e dall'alto numero di "collaborazionisti" (giovani che si rifiutavano di entrare nell'UCK-M, piuttosto che pastori che segnalavano all'esercito i movimenti dei guerriglieri) fucilati dai guerriglieri. Il secondo obiettivo raggiunto è l'internazionalizzazione del conflitto con l'intervento delle truppe NATO che, come abbiamo visto tutto fanno tranne che disturbare i guerriglieri, e con le pressioni occidentali sul governo macedone volte a spingerlo a mutare la Costituzione del paese e a riconoscere de facto la guerriglia come interlocutore.

Il terzo obiettivo consiste proprio nella messa in questione del carattere unitario del paese e, nel fatto che ormai sia all'ordine del giorno la sua trasformazione in una confederazione di stati sovrani, anticamera della secessione e del congiungimento della Macedonia occidentale prima con il Kosovo, poi con l'Albania.

La radicalizzazione del nazionalismo macedone si rivela, quindi, come una tappa in questo processo, processo che porterà inevitabilmente alla guerra etnica, a una probabile insurrezione degli albanesi della capitale (duecentomila su una popolazione di seicentomila) e alla creazione di due campi etnicamente "puri" che si spartiranno il paese.

La prossima triste fine della Macedonia, unica repubblica dell'ex Jugoslavia a avere finora evitato il bagno di sangue che ovunque ha segnato l'inabissamento del paese che fu di Tito, non avviene però come un fulmine a ciel sereno. Nell'ultimo articolo, avevamo segnalato come la spartizione del paese tra cordate politiche definite etnicamente (PdSh e PPD tra gli albanesi, PS e VMRO tra i macedoni) fosse in realtà un fragile accordo che teneva in piedi il paese sulla base dei reciproci interessi di controllo politico, economico e mafioso del proprio campo. È evidente come l'entrata in scena di un soggetto escluso da questa spartizione, sconfitto in Kosovo sul piano politico, ma ancora in grado di costituire un potenziale pericolo militare, nonché capace di mantenere il controllo mafioso dell'area di frontiera Macedonia-Kosovo e degli imponenti traffici che vi transitano, ha mandato in frantumi tutto il quadro.

Come avevamo visto, il casus belli che ha innescato l'offensiva è stato proprio il tentativo macedone di riprendere il controllo armato sulle frontiere e escludere i mafiosi kosovari dal controllo dell'area, ma, in prospettiva, altre e più pressanti ragioni, hanno spinto i radicali albanesi a riprendere la strada della guerriglia.

Per comprenderla meglio, dobbiamo guardare a Belgrado, oggi nuovamente accettata dall'occidente nel consesso degli stati internazionalmente riconosciuti, e fuoriuscita dal ruolo di "stato criminale". Questo fatto rilancia, nella geoeconomia dei Balcani il corridoio X, per intenderci quello che collega Salonicco con la Germania tramite Skopije, Belgrado e Zagabria, da sempre la tratta meglio strutturata e più rapida per i commerci dal Medio Oriente all'Europa. Con la riapertura di questo corridoio, la Macedonia viene a assumere un ruolo centrale perché nel suo territorio, si incrocerebbero il corridoio X e il corridoio VIII, in costruzione, che dovrebbe collegare Italia e il porto bulgaro di Burgas, tramite Skopije, il Kosovo, Scutari e Durazzo. In particolare viene a assumere un'importanza strategica la valle del Vardar, fiume sulle cui rive sorge Skopije, e che da accesso dalla Macedonia, sia alla Grecia che al Kosovo, che alla Serbia. Specificando ulteriormente, l'attuale linea del fronte passa (oltre che presso Tetovo e Gostivar, storiche città albanesi in Macedonia) per la valle che collega il corso del Vardar e le sorgenti della Morava, unica lingua di terreno pianeggiante dell'area, stretta tra le montagne della Crna Gora e la catena montuosa della Sar Planina (le cui cime toccano i 2800 metri).

A partire da questi dati, si può ragionevolmente ipotizzare che la guerriglia albanese combatta sostanzialmente per la creazione di un territorio da essi controllato che si situi a cavallo di questi due corridoi, e che gli consenta di mantenere una quota esclusiva dei traffici illeciti associati al grande commercio.

Una conferma della sensatezza di questa analisi è contenuta in un libro prodotto dal francese Xavier Raufer sulla mafia albanese, dove la guerriglia (allora) kosovara veniva analizzata come ala paramilitare della stessa mafia, più o meno riverniciata da proclami nazionalisti. Anche il cattedratico tedesco Wolf Oschlitz, svolge un'analisi simile, nella quale afferma che la creazione del "Grande Kosovo", piuttosto che della "Grande Albania", altro non sarebbe che lo strumento per ottenere un territorio infeudato a questa mafia, dove essa potrebbe svolgere tranquillamente i propri traffici di armi, droga e esseri umani.

In uno dei precedenti articoli, abbiamo visto come l'UCK-M sia nato nel locale di Vitina (nel Kosovo sotto controllo USA), di proprietà del boss Xhavit Hasani, signore della zona di Tanusevci (in Macedonia, a pochi chilometri dal collegamento valle del Vardar-sorgenti della Morava), ora si può osservare come la fascia di azione dell'UCK-M copra esattamente l'area gestita dalla criminalità albanese. I gruppi che si sono parzialmente sciolti nell'UCK-M (un pulviscolo di formazioni con nomi da tifoserie calcistiche: Tigri nere, Aquile unite...) si sono costituiti nell'interregno tra la trasformazione dell'UCK Kosovaro in polizia interna alla regione con il nome di TMK, e la costruzione della nuova formazione guerrigliera. Questi gruppi, sono tutti riconducibili alle varie famiglie mafiose della zona, e la loro temporanea unificazione risponde alle necessità della guerra e all'autorità tra i trafficanti di Hasani e della coppia zio-nipote che guida le sorti dell'UCK-M. L'ideologo di questa formazione è, infatti, Fazli Veliu, nipote di Ali Ahmeti, leader politico-militare della stessa. Il primo era il leader della sezione della diaspora della LPK (Movimento Popolare del Kosovo), un gruppo ufficialmente Hoxhista (marxista-leninista all'albanese), nemico della Lega Democratica del Kosovo di Rugova e, oggi, legato al Partito Democratico di Albania di Sali Berisha, dopo essere stato abbandonato dai socialisti albanesi. Questi ultimi, infatti, dopo le elezioni kosovare del 2000, si sono avvicinati a Rugova, in precedenza legato allo stesso Berisha. Oggi, Veliu è cittadino svizzero in ottimi rapporti (come del resto lo zio) non solo con Hasani, ma anche con il potente clan degli Jashari che diede il via alla costituzione dell'UCK kosovaro nel 1997, e il cui capo, Adem, viene indicato come il principale narcotrafficante dell'area. I rapporti sono gli stessi costruiti a suo tempo dalla famiglia Thaci, nella quale il cugino maggiore (Hashim) è oggi il responsabile del TMK e il leader del PDK (Partito Democratico del Kosovo), e ostenta un'aria di sereno e responsabile leader del secondo partito di un paese in via di costruzione, mentre il cugino minore (Menduh) è il leader in pectore delPdSh macedone, oggi messo nell'angolo dall'offensiva della formazione armata di Veliu e Ahmeti.

Come si può vedere, dietro al moltiplicarsi delle sigle politico-militari, e all'emergere con capacità egemoniche di una di queste, con nomi quasi sempre uguali, ma con direzioni diverse, si può leggere la realtà di uno scontro tra famiglie mafiose, pur se solidalmente unite nell'obiettivo dell'esclusività del controllo del territorio.

Per parte loro le potenze occidentali sembrano aver scelto ancora una volta di favorire l'instabilità dell'area, contando sul moltiplicarsi di stati clienti, fragili e dipendenti dall'aiuto occidentale, incapaci di contrattare alcunché e sostanzialmente interessati esclusivamente a gestire i traffici illeciti associati alla ripresa dei commerci nell'area. Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania, si sono mosse in questa direzione (sia pure in modo concorrenziale tra loro e non solidale) fin dall'inizio del disastro jugoslavo, appoggiando prima croati e sloveni, poi i musulmani di Bosnia, e, infine le guerriglie albanesi. Italia e Francia hanno dato l'impressione di muoversi con grave ritardo su questo scenario, privilegiando a lungo la ricerca del rapporto con l'interlocutore più stabile (quello che restava della Jugoslavia), ma, con la guerra del Kossovo, si sono pienamente allineate alla direzione di marcia.

La polverizzazione dei Balcani è stata, quindi, attivamente ricercata dall'occidente, non per ragioni ideologiche, come sembra ancora oggi credere qualche esponente della sinistra orfano della guerra fredda, bensì, per la possibilità di gestire il gioco geoeconomico dell'area avendo degli interlocutori deboli e frammentati. Se, come nel caso delle aree albanofone, questo vuole dire trattare con dei clan mafiosi, il fatto non sembra angosciare particolarmente le democrazie occidentali. D'altronde, nel 1943, l'amministrazione americana non si fece troppi scrupoli morali a utilizzare cosa nostra per aprirsi la strada su Palermo, e in seguito utilizzò tranquillamente la struttura mafiosa per assicurarsi il controllo dell'isola per una eventuale secessione, a seguito di una possibile vittoria elettorale delle sinistre alle elezioni italiane del 1948. Come si vede, anche i rapporti tra potenze e mafia hanno una loro long durèe.

Giacomo Catrame



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