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Da "Umanità Nova" n.26 del 15 luglio 2001

Nuovo Ordine Balcanico
La resistibile ascesa di Dijndijc

La situazione in Macedonia, durante queste ultime due settimane, sembra segnare uno stallo.

Dopo il quasi golpe agito dall'interno del governo per mano dell'ala più oltranzista del VMRO, la rinnovata azione occidentale ha portato alla ripresa delle trattative tra i partiti macedoni e quelli albanesi.

L'ipotesi di riforma costituzionale sponsorizzata dall'Unione Europea verte sul progetto di cantonalizzazione della Macedonia per linee territoriali e non etniche.

Se i partiti albanesi hanno già dato un assenso di fondo a questo progetto, l'UCK-M, per parte sua, ha fatto sapere di non riconoscersi in questa mediazione e di continuare a richiedere una riforma costituzionale che preveda la trasformazione del paese in uno stato binazionale. La guerriglia, ricordiamolo, non può accettare una mediazione che non ne riconosca il dominio assoluto sui territori di confine tra Albania, Kosovo e Macedonia. Dominio che è il presupposto per la continuazione dei traffici di droga, armi, prostitute e migranti, dei quali vive la mafia albanese-kosovaro-macedone.

Quest'ultima, come abbiamo visto, è tutt'uno con l'UCK-M (come lo era dell'UCK kosovaro), anzi, quest'ultimo è, di fatto, espressione di alcuni clan in aperta contrapposizione con altri.

Nel frattempo sono arrivate le prima statistiche sulle conseguenze di questa guerra e ci dicono che circa 63.000 persone hanno già abbandonato le loro case, chi verso le truppe macedoni, chi verso il Kosovo, chi verso l'Europa.

In questo modo, i due campi hanno già collezionato i propri "martiri" in vista della guerra aperta. Tra di loro non sarà difficile reclutare qualche migliaio di fanatici sostenitori dei due nazionalismi contrapposti, da agitare in faccia al mondo come prova della "barbarie" dell'altro.

La situazione militare vede ormai il 70% della zona albanofona occupata dalla truppe dell'UCK-M, l'esercito macedone tiene le città come Tetovo e Kumanovo, dove la guerriglia si muove con difficoltà, ma l'incognita è rappresentata dall'atteggiamento della popolazione urbana di origine albanese. Quello che è certo è che il progressivo deteriorarsi dei rapporti etnici, non potrà che favorire il progressivo riconoscersi delle popolazioni della Macedonia nei due campi contrapposti.

La soluzione bosniaca, ossia due semi-stati di fatto in uno di diritto, apparirà l'unica praticabile.

Nei prossimi numeri tornerò ancora sugli sviluppi della situazione in Macedonia, ora, in questo articolo, credo sia importante portare ai lettori di UN alcune riflessioni riguardanti gli ultimi avvenimenti in Jugoslavia e, segnatamente, quelli relativi all'arresto dell'ex-presidente Milosevic, e al suo trasferimento in un carcere olandese per essere processato dal Tribunale Internazionale dell'Aja.

Gli avvenimenti, in se e per se, sono sufficientemente conosciuti per doverli ricostruire. I commenti della stampa nostrana variano dalla soddisfazione delle testate polo-uliviste, che vedono nel processo (non diversamente dai vertici NATO) l'occasione di giustificare a posteriori l'aggressione alla Jugoslavia, al sarcasmo del "Manifesto" e di "Liberazione" che leggono nella consegna di Milosevic il pegno dovuto dai nuovi padroni di Belgrado, per ottenere, infine, gli aiuti occidentali. È noto, d'altra parte, che i 3000 miliardi di aiuti promessi alla Jugoslavia sono stati sbloccati dopo che l'aereo dei funzionari della solerte Carla Dal Ponte aveva lasciato la pista dell'aeroporto di Belgrado col suo prigioniero particolare a bordo. Nonostante la questione degli aiuti abbia avuto un'importanza considerevole nella decisione finale del governo serbo, credo sia legittimo leggere quest'episodio nel quadro dello scontro di potere in atto a Belgrado tra il presidente jugoslavo Kostunica e il premier serbo Dijndijc.

La concatenazione degli eventi che ha visto prima l'arresto di Milosevic effettuato dalla polizia serba con la sorda resistenza della presidenza federale e degli alti gradi dell'esercito, successivamente il pronunciamento della Corte Costituzionale federale contraria all'estradizione e, infine, l'estradizione decisa dal governo serbo, utilizzando una norma costituzionale introdotta dallo stesso Milosevic (quando era presidente della Serbia) che prevede che in caso di "pericolo per la nazione" (serba) il governo di quest'ultima prevalga sugli organi federali.

La prima conseguenza di questa decisione sono state le dimissioni del premier federale, il montenegrino Zizic, eletto in parlamento con il Partito Socialista montenegrino (SNP), oppositore del premier montenegrino Milo Djukanovic, già allora premier a Podgorica, e sostenitore dell'indipendenza del Montenegro fin dal 1997.

Dopo la caduta di Milosevic la SNP si è trovata in una situazione paradossale: da un lato la Costituzione federale prevede che, se il presidente è serbo, il premier dev'essere montenegrino. Dall'altra, il boicottaggio da parte di Djukanovic delle ultime elezioni federali faceva sì che l'intera rappresentanza montenegrina in seno al parlamento federale fosse in mano all'SNP.

Aggiungendo a questo fatto la decisa distanza presa dal premier montenegrino verso la DOS (la coalizione al potere a Belgrado), il gioco è stato presto fatto.

La SNP ha abbandonato il "cane che annega" Milosevic, si è liberata da personaggi impresentabili perché troppo legati al vecchio padrone belgradese come Namir Bulatovic (il quale ha fondato un suo partito, la NSS, che alle recenti elezioni in Montenegro non ha passato lo sbarramento del 3%, rimanendo fuori dal parlamento), e ha candidato il suo nuovo leader Zizic al posto di premier.

Nel corso di quest'anno si è venuta a formare una stretta alleanza tra il presidente federale Kostunica, il premier Zizic e i loro rispettivi partiti: il conservatore e monarchico Partito Democratico di Serbia (DSS) e la SNP. A questa coalizione si sono aggiunte tutte le istituzioni federali, dall'Esercito alla Corte Costituzionale, in sempre più aperta contrapposizione con il premier serbo Dijndijc che, in compenso ha dalla sua le amministrazioni locali e, soprattutto la polizia serba.

Al di là dei personalismi, ai quali peraltro indulgono facilmente entrambi i protagonisti di questa vicenda, la loro spaccatura riflette profondamente quella esistente nella DOS, mera coalizione di partiti in funzione anti-Milosevic, che l'arresto del vecchio "uomo della provvidenza" serbo ha semplicemente messo in luce. La Dos è, infatti, un coacervo di diciotto partiti diversi in due campi: da un lato i sostenitori di Dijndijc su posizioni sostanzialmente socialdemocratiche, dall'altra quelli di Kostunica, nazionalisti e conservatori.

La divisione tra questi settori della DOS, passa attraverso i tre punti nodali della politica jugoslava, e la classificazione socialdemocratica di Dijndijc e dei suoi allude più al posizionamento internazionale di questi ed ai suoi rapporti con la SPD tedesca che ad un'inesistente politica sociale del leader serbo.

In primo luogo Kostunica e Dijndijc sono divisi dall'atteggiamento verso l'Occidente. Il primo, attento anche all'orientamento anti-NATO di una parte consistente della popolazione svolge una politica attendista nei confronti dell'asse Washington-Londra-Berlino, ha cercato con scarso successo di bloccare la collaborazione serba con il tribunale dell'Aja, non ha perso occasione di denunciare il ruolo degli Stati Uniti nella crisi balcanica e cerca di giocare di sponda con Parigi, al fine di garantirsi un referente internazionale che gli permetta di smarcarsi dal pesante interventismo anglo-tedesco-americano.

In sostanza Kostunica cerca di mantenersi saldo al potere con un progetto di lenta integrazione della Serbia nel Nuovo Ordine Balcanico, salvando il possibile dell'indipendenza serba e, così facendo, punta ad ereditare il blocco conservatore e nazionalista delle campagne serbe, a suo tempo sostegno di Milosevic. Dijndijc, al contrario, forte dei suoi rapporti a livello europeo, cerca una rapida integrazione della Serbia nella NATO e nell'Unione Europea, passando per l'adesione incondizionata al patto di Stabilità per i Balcani, la riapertura dei corridoi commerciali (in particolare il corridoio X Berlino-Zagabria-Belgrado-Skopje-Salonicco) e l'integrazione del paese nell'economia internazionale a guida americana.

Per ottenere questo (altro che i 3000 miliardi), il premier serbo pensa che "Washington (o Berlino) valgono bene una messa" e che il vecchio Milosevic dovesse essere consegnato ai suoi nemici internazionali allo scopo di ottenere il certificato di garanzia come "paese affidabile".

Lo scontro su Milosevic e la sua sorte, però, non sono l'unico terreno di scontro tra Kostunica e Dijndijc. Il futuro dell'Unione federale e l'"affaire Kosovo" sono altrettanti punti di frizione tra presidenza federale e premierato serbo.

Kostunica, infatti, ha legato il suo futuro politico alla continuità della Federazione Jugoslava, ritenendo che una Jugoslavia unita possa gestire meglio le trattative con l'Occidente. La prospettiva di Dijndijc (al di là delle formali rassicurazioni sul futuro della Jugoslavia) passa per una Serbia ed un Montenegro sovrani ed indipendenti,

Non si tratta soltanto per il premier serbo di fare fuori un avversario politico, estinguendone la fonte istituzionale di potere, bensì di una prospettiva politica basata su alcune considerazioni precise. La prima è che, in una Serbia futura integrata nel Nuovo Ordine Balcanico, l'unione con il Montenegro è di scarso interesse. La riattivazione del corridoio X garantisce ai serbi una maggior integrazione commerciale con l'Europa di quanto non lo faccia il controllo sui porti di Bar e Ulcinj. D'altra parte l'unica strada che congiunge Serbia e Montenegro è la superstrada Podgorica-Pec (ora, all'altezza del confine con il Kosovo, devia verso Novi Pazar), soprannominata "autostrada della morte" per l'alto numero di incidenti stradali.

Anche sul piano militare, la prospettiva di un futuro ingresso della Serbia (insieme a Croazia, Bosnia, Macedonia e Albania) nell'Unione Europea, rende inutile mantenere la base militare navale di Bar. La Marina e, più in generale l'Esercito Federale, ovviamente non la pensano così e questo è uno dei motivi del loro schieramento con Kostunica.

Dijndijc, d'altra parte non ignora il peso che il Montenegro con un'economia interamente dipendente dai traffici mafiosi comporterebbe sulla via del pieno riconoscimento internazionale, né che il piccolo paese balcanico è da tempo entrato nell'area di influenza croata, influenza non astratta ma che si esprime con il progetto varato nel 1995 di un'autostrada che unisca Zagabria-Dubrovnik-Bar-Ulcinj-Scutari-Durazzo. Ovviamente, visto che i collegamenti Serbia-Montenegro sono affidati ad una delle peggiori strade d'Europa, mentre il collegamento Croazia-Montengro-Albania con diramazioni sia verso l'Italia che verso la Grecia - e con la prospettiva di incrociare a Durazzo il corridoio VIII - dovrebbe essere di tutt'altra affidabilità, lo scivolamento del Montenegro dall'area di influenza serba a quella croata, diventa quasi un fatto naturale.

In ultimo, ma non per ultimo, a dividere le due personalità serbe resta il dossier Kosovo, con Kostunica ben deciso a mantenere lo status quo, onde evitare di irritare quella parte di ex elettorato di Milosevic sensibile al richiamo nazionalista della Serbia profonda, e con Dijndijc realisticamnte deciso a rassegnarsi a perdere il Kosovo, ottenendo in cambio confini sicuri a Kosovska Mitrovica (l'ultima area kosovara dove vivono ancora dei serbi) e nei tra comuni di Presevo, Bujanovac e Mevdevija nella Serbia meridionale, dove vive una forte comunità albanese ed è attivo UCPMB, branca locale del solito UCK.

Come si può vedere la partita è grossa, anche se - a ben vedere - la rotta della Serbia è già decisa nei suoi tratti fondamentali. Lo scontro Kostunica - Dijndijc può solo ritardare o accelerare un processo già in corso dalla fine della guerra del Kosovo.

Come ho già scritto, il destino dell'area sembra sempre di più quello di arrivare ad un nuovo "Congresso di Berlino", che, come quello del 1878 sancì la nascita di nuovi stati sulle rovine dell'Impero Ottomano, decida, sotto la direzione dell'"onesto sensale americano", nuovi confini più rispettosi dell'appartenenza etnica delle popolazioni che li abitano. Laddove questo non basti, esiste una lunga tradizione balcanica (e, non solo), confermata dal decennio di guerre interjugoslave, di spostamenti coatti e di scambi di popolazione.

A questo punto del processo un personaggio come Kostunica, utile per scalzare Milosevic, ma irrimediabilmente attaccato alla prospettiva di una Serbia neutrale, vicina all'Occidente, ma indipendente, è diventato un ostacolo.

Conferma di questo la si può avere leggendo l'intervista concessa dal Presidente jugoslavo a "La Stampa" dell'8 luglio. In questa intervista Kostunica rivela di essere stato allegramente bypassato nelle decisioni prese dal governo a proposito dell'"affaire Milosevic", e accusa il premier serbo di scarso rispetto per il suo ruolo.

Dette da un presidente federale in carica e non dall'ultimo spettatore di un comizio elettorale, queste parole hanno un suono particolare. A me ricordano quanto sostenuto da Bettino Craxi nel 1990, quando davanti alle rivelazioni del picconatore Cossiga sulla struttura segreta di Gladio, dovette ammettere di esserne stato tenuto all'oscuro, nonostante fosse stato Presidente del Consiglio tra il 1983 e il 1987.

"Mi hanno fatto fesso!" titolò "Il Manifesto" il giorno seguente.

A futura memoria, Presidente.

Giacomo Catrame



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