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Da "Umanità Nova" n.26 del 15 luglio 2001

Tre piccioni con una Lepri
Torino: esternalizzazione dei servizi assistenziali

Il fatto che le amministrazioni pubbliche esternalizzino i propri servizi assistenziali, non costituisce, ormai, una novità. Neppure il fatto che Torino sia all'avanguardia in questo processo può, oggi, essere messo in discussione. Da quando, infatti, il signor Lepri (campione delle preferenze alla ultime elezioni comunali, in quota Margherita) ha assunto la poltrona di Assessore all'Assistenza, questo processo ha preso una velocità vertiginosa. Correva l'anno 1993 e Lepri si insediava al suo posto di combattimento nella giunta Castellani I. Da allora di strada ne ha fatta, introducendo nettamente il "mercato" (come si usa dire oggi) all'interno del settore dell'assistenza alla persona. Questa strada è stata percorsa sottraendo l'esternalizzazione alla pratica della convenzione e normando, in modo da favorire le cooperative più grosse e più solide, i meccanismi dell'appalto.

Questo primo lavoro, si è rivelato un semplice assaggio del progetto complessivo di questo signore, deciso a ristrutturare complessivamente l'intero settore, riducendo le spese sostenute dall'amministrazione e consentendo lo sviluppo del cosiddetto settore "no profit". Che il profit, invece, centri, e molto, con tutta l'operazione, lo si è visto in modo chiaro con il passaggio successivo, ossia con l'introduzione del meccanismo dell'accreditamento. Questo meccanismo, sostituisce i vecchi appalti, dove l'ente pubblico affida a un soggetto esterno lo svolgimento di un servizio, con un vero e proprio mercato dei servizi, dove il pubblico si ritaglia esclusivamente il ruolo di controllore dell'erogazione dei servizi.

Le cooperative (e gli altri soggetti economici interessati) devono, infatti, iscriversi in un albo dei fornitori, all'interno del quale i soggetti che necessitano di assistenza possono scegliere il proprio. Il tutto con conseguenze facilmente immaginabili, che vanno da uno scadimento complessivo dei servizi causato dalla competizione sul mercato che porta a accrescere la parte spettacolare e più "vendibile" del sevizio, all'ulteriore precarizzazione del lavoro di soci e dipendenti delle cooperative, appesi al filo rappresentato dal fatto di venir "scelti" per il numero maggiore possibile di servizi (non è un caso che sempre più assunzioni avvengano con la formula della collaborazione coordinata continuativa, che permette il rapido "scarico" del lavoratore esuberante), alla sempre maggior competizione tra cooperative per assicurarsi la fetta maggiore di mercato.

In questo allegro quadro, cui si deve aggiungere la progettazione di comunità per minori caratterizzate dalla presenza di coppie residenti, la valorizzazione di quelle cooperative che possono vantare una rete di volontari, a scapito di quelle che sono solite pagare i propri lavoratori, l'indizione di appalti con sempre minor numero di personale previsto, allo scopo di favorire l'utilizzo del volontariato (tutte misure che servono a favorire il no profit cattolico, dal quale Lepri proviene), si deve ora aggiungere un ulteriore iniziativa di questo eroe del nostro tempo.

In questi ultimi mesi è stato, infatti, varato il progetto "Motore di ricerca", con il quale l'assessorato intacca il funzionamento dell'ultimo caposaldo del vecchio modello dell'assistenza: i centri socioterapeutici diurni, volgarmente detti CST.

Questi luoghi, rispondono a un bisogno dei disabili, fornendo loro un luogo di socializzazione (anche se, spesso, si trasformano in luogo di parcheggio), di attività pratica e di scambio. Sono, oggi, gestiti per lo più dagli educatori del Comune (anche se sul territorio torinese vi sono CST gestiti da cooperative), e hanno un difetto: costano troppo. Le nobili ragioni addotte dall'amministrazione per il loro progressivo superamento, sono, infatti, risibili: aprire al territorio (ma non esiste già un intervento assistenziale territoriale?), favorire il contatto con altri ambienti (ma le forme e i modi non dovrebbero essere decisi caso per caso da chi ha il contatto diretto con l'utenza?), impedire la sclerotizzazione del disabile (come se questa dipendesse dal numero di persone che si occupano di lui e, non dalla qualità del servizio).

L'intenzione dell'assessore è, in realtà, quella di costruire una rete di soggetti associativi costituiti da cooperative e volontariato che assicuri al posto degli educatori comunali la gestione delle attività dei singoli disabili. Naturalmente lo svolgimento del progetto individuale non assicura per nulla che l'attenzione in questi luoghi sia personalizzata, dal momento che associazioni e cooperative sono tenute a presentare progetti che coinvolgano un certo numero (possibilmente alto) di utenti.

Questo progetto si situa parecchi gradini più in alto nella scala dell'esternalizzazione rispetto alle altre forme. Infatti, a differenza di appalti, convenzioni o accreditamenti, questa formula prevede che il Comune finanzi con una cifra ridicola (sotto i dieci milioni, per lo più) il progetto presentato dall'associazione, ma non prevede affatto di pagare per il lavoro svolto da queste associazioni. Si viene così a creare un circolo vizioso di questo tipo: il Comune grazie a questo progetto, risparmia lavoro educativo, potendosi permettere di diminuire (o di non assumere in futuro, il che, dal punto di vista strettamente economico, è lo stesso) il personale e ridurre le strutture; il lavoro educativo svolto dalle associazioni e dalle cooperative non viene retribuito, e, quindi si espande l'uso dei volontari che consentono un ulteriore risparmio; infine, le associazioni e le cooperative vengono finanziate con fondi che non sono tenute a utilizzare per stipendiare chi lavora allo svolgimento dei progetti (altrimenti, che volontari sarebbero?), creando così un legame clientelare tra assessorato e no profit interessato all'operazione.

Come si vede, tre piccioni con una Lepri. Ovviamente, la famosa qualità del servizio sbandierata dal nostro eroe in tutte le occasioni possibili, è l'ultima delle preoccupazioni dell'assessorato, altrimenti con che coraggio affiderebbero l'utenza a personale volontario, magari volenteroso ma per lo più giovane e inesperto, necessariamente di passaggio e privo di alcuna attenzione professionale?

Per quanto riguarda gli educatori comunali, al di là della retorica che li vuole estensori dei Piani Educativi Individuali (proprio come a scuola), la loro sorte sembra essere quella di accompagnatori dell'utenza da una risorsa all'altra (leggi da un gruppo di volontari che canta in cerchio le canzoni di Lucio Battisti a un altro che modella la ceramica o che lavora la cartapesta), e di gestori dei tempi morti tra un'attività e l'altra. Sempre che il nostro vulcanico assessore non ne inventi un'altra delle sue, e costringa gli educatori a occuparsi pure del reperimento dei gruppi che assicurino all'utente tante divertenti attività. In questo modo viene tolta agli educatori l'unica attrattiva che aveva ancora il nostro mestiere, ossia quella di poter progettare il proprio lavoro e seguirlo nel suo svolgersi. Non c'è che dire, se fossimo operaisti (disgrazia che, per fortuna, non ci tocca) potremmo dire dall'educatore di mestiere all'educatore massa.

Per quanto riguarda le cooperative, questa ulteriore simpatica evoluzione del quadro dell'assistenza, non sarà senza conseguenze. Verrà, infatti, a strutturarsi un sottosettore ad alta intensità di manodopera non pagata, sottosettore destinato a assorbire una quota consistente dell'utenza disabile che, oggi, usufruisce di servizi i cui operatori vengono regolarmente pagati.

Le cooperative, d'altro canto dovranno specializzare alcuni professionisti della ricerca di microfinanziamenti all'interno di questo progetto, professionisti che diventeranno anche dei veri e propri gestori di manodopera volontariamente ridotta in schiavitù. Come nel gioco del domino, l'introduzione di un modello di questo tipo, comporterà l'estensione dell'uso dei volontari anche negli altri comparti del settore, con conseguenze facilmente immaginabili sul lavoro degli educatori.

Che, forse, sia giunto il momento di ribellarsi a tutto questo?

Flora Purim



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