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Da "Umanità Nova" n.27 del 22 luglio 2001

Immigrazione
Lo Stato nega le libertà per concedere diritti

Non passa settimana che le cronache non segnalino cinicamente la presenza di esseri umani annegati nel tentativo di approdare sulle coste meridionali dell'Italia; alla fine di ogni anno gli elenchi di queste vittime sembrano un bollettino di guerra, una guerra silenziosa consumata sui confini tra l'avere e il non avere.

Basterebbe un pensiero a quei poveri corpi trasportati a riva dal mare per considerare l'immigrazione in modo diverso da come ci viene presentato dai cosiddetti mezzi d'informazione; purtroppo invece sembra dominare un'estesa complicità anche se quasi sempre dissimulata.

Secondo una ricerca effettuata pochi anni fa a Milano, il 43,9% dei giovani interpellati ammetteva l'idea di poter considerare gli immigrati come cittadini a condizione che questi fossero disposti ad "adeguarsi alle regole della nostra società". Da una parte, tale frase esprimeva nella sua disarmante banalità la convinzione che "chi ospita decide le regole dell'ospitalità", secondo la raggelante logica leghista del "padroni a casa nostra"; per altro verso, rivelava la forza dell'etnocentrismo, ossia della presunta superiorità culturale europea, italiana o padana, nei confronti dei portatori di altre culture e di altri modelli di vita.

L'immigrato, secondo l'immagine ormai accreditata sia dai politici che dai mezzi d'informazione, o è sradicato o è forza-lavoro, pertanto sono annullati tutti quei tratti del suo essere persona e individuo sociale che non rientrano nelle categorie del deviante clandestino o del lavoratore manuale.

Su questa diffusa impostazione "culturale" si è andata sviluppando l'intolleranza razziale in seno alla sedicente comunità civile che, suggestionata dalle ricorrenti emergenze-criminalità, avverte e respinge come estranei e pericolosi i soggetti più facilmente discriminabili; ma accanto a questo razzismo ordinario peraltro fomentato e cavalcato dalle destre si è andata consolidando anche una non meno razzista legislazione statale in grado di assicurare, come candidamente ammesso dallo stesso presidente della repubblica Ciampi, "quei flussi d'immigrazione che sono produttivi per la nostra economia" oppure finalizzati, come anticipato dal Ministro della Difesa Martino, al futuro arruolamento nelle forze armate come moderni Ascari.

Tale logica sotto il precedente governo di centro-sinistra ha prodotto l'infausta legge 40/98, meglio conosciuta come Turco-Napolitano, che oggi il governo di centro-destra apparentemente vuole rivedere al fine di inasprire le misure repressive, come promesso durante la campagna elettorale, contro i cosiddetti "clandestini"; secondo i post-fascisti di Alleanza Nazionale che volevano trasformare l'immigrazione illegale - ossia la mancanza di permesso di soggiorno - da irregolarità amministrativa a reato penale, adesso l'esecutivo dovrebbe stabilire il "reato di permanenza clandestina" per cui un immigrato privo di documenti regolari una volta fermato dovrebbe essere processato per direttissima e rimpatriato nel paese d'origine, mentre da parte sua il leghista Pagliarini vorrebbe trattenere in carcere il malcapitato finché non dichiara la sua provenienza.

In conseguenza di tali proposte, peraltro di problematica applicabilità e di alquanto dubbia legittimità sul piano costituzionale, da un lato rilevanti settori confindustriali hanno avvertito il governo che la conveniente manodopera immigrata è sempre più indispensabile per mandare avanti le loro aziende con buoni margini di profitto e da un altro lato la sinistra politica, in nome dell'antirazzismo, si è affrettata a stringersi a difesa della legge Turco-Napolitano, ossia di quella legge che aveva recepito pienamente le esigenze di padroni e padroncini stabilendo già quote-flussi di immigrati da accogliere sulla base della domanda prevista, ma anche l'istituzione di quei "centri di detenzione temporanea" per gli irregolari in attesa di identificazione ed espulsione che hanno evocato l'incubo concentrazionario, senza dimenticare le recenti modifiche apportate alla legge che tra l'altro hanno legalizzato la schedatura degli immigrati attraverso il prelievo delle impronte digitali anche se costoro non hanno violato il codice penale.

Questa è la realtà con cui gli immigrati sono costretti a misurarsi quotidianamente, una realtà sovente lontana anche dalle rivendicazioni portate avanti da settori sociali e partiti che pur dichiarandosi solidali riducono la questione dei diritti sociali negati ad una questione di rappresentanza politica realizzabile attraverso il voto e la partecipazione degli immigrati agli organi istituzionali elettivi, al contrario la concretezza dei bisogni e la radicalità delle libertà che muovono i migranti sono tali da andare ben oltre la sfera dei diritti di cittadinanza che, senza un'effettiva uguaglianza economica, sono destinati a rimanere un'antica illusione di carta.

KAS



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