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Da "Umanità Nova" n.28 del 5 agosto 2001

Le tre giornate di Genova
Testimonianze
Il massacro della Diaz

Il massacro perpetrato all'interno della scuola Diaz che a Genova ospitava per la notte numerosi manifestanti è stato uno dei più efferati compiuti dal dopoguerra. Ad una settimana dall'accaduto non si conosce ancora con certezza la sorte di tutti coloro che sono incappati nella repressione. I racconti di quelli che sono stati rilasciati ci riportano alla mente le tristi narrazioni dell'orrore delle dittature sudamericane. Diversi testimoni riferiscono anche di sacchi neri, simili ai body bags impiegati per il trasporto dei cadaveri, fatti uscire dalla Diaz da infermieri. Cosa contenevano? L'interrogativo resta, angosciosamente, aperto... E non è il solo perché diverse persone mancano ancora all'appello e più nulla si sa della ragazza gravemente ferita il 20 le cui tracce sono andate perse.

Riportiamo ampi stralci delle testimonianze di due "fortunati" che al momento dell'irruzione si trovavano nella scuola di fronte, quella che ospitava gli uffici legali del GSF e la redazione di Radio GAP, la radio "inventata" per l'occasione che ha trasmesso la cronaca delle giornate di Genova.

Il primo, M., è di Torino ed era redattore di radio GAP, il secondo, Eco 81, è un compagno di Palermo.

Raccontare episodi di ordinaria follia risulta spesso retorico, molte volte si aggiunge violenza nel racconto quasi come se quella reale non fosse sufficiente. Le due scuole Diaz sono poste una di fronte all'altra, divise da una strada e dai due piccoli cortili antistanti i rispettivi portoni. La distanza tra le finestre dei due edifici è di circa 15 metri. Solo 15 metri separavano i nostri occhi da quelli dei ragazzi della scuola dove è avvenuto il vero e proprio massacro. Pochi metri hanno fatto la differenza fra chi si è salvato e chi non ha avuto scampo.

Già dal pomeriggio si respirava aria di assedio. Sapevamo che negli isolati intorno la gente veniva fermata e portata via, che il cerchio si stava chiudendo. (...)

Ci siamo resi conto che parecchia gente stava raccogliendo le proprie cose per andarsene in fretta. In poche ore infatti i due stabili si sono svuotati almeno della metà degli abitanti. Noi di Radio GAP, IndyMedia, due avvocati del GSF e un paio di infermieri abbiamo deciso di restare per motivi di ordine pratico (portare via tutta la nostra attrezzatura non era un gioco) ma soprattutto politico.

A mezzanotte circa abbiamo cominciato a sentire le urla della gente che annunciava l'arrivo della polizia. Da quel momento in poi abbiamo cominciato a correre per raccogliere la nostra roba e a costruire rudimentali barricate all'inizio del corridoio del secondo piano (il nostro) per rendere la vita un po' più difficile ai caschi blu. Non sono servite a molto dato che in 5 minuti ce li siamo trovati nel corridoio e nell'aula dove ci eravamo rifugiati e dalla quale abbiamo continuato a trasmettere per documentare il tutto fino all'ultimo. Cercate di immaginare la concitazione degli eventi e degli animi, cercate ora di immaginare come mi possa essere sentito quando mi sono affacciato alla finestra e ho visto che nella scuola di fronte la polizia stava rastrellando tutti i piani in assetto anti sommossa. Continuavo a ripetermi che se ne sarebbero andati, che avrebbero solo controllato qua e là e che non potevano farci del male: eravamo nel media center del GSF, quello stabile ci era stato dato dalla provincia, di che cosa potevamo essere accusati? Dopo pochi minuti sono arrivati i giornalisti, i politicanti e i curiosi, noi li guardavamo dalle finestre, sembravano così lontani... Tre colpi secchi, hanno sfondato le "barricate" e ce li siamo visti nell'aula: volto scoperto, lo sguardo di chi ti scopre quando si gioca a nascondino. Non avevano l'aria arrabbiata, ci hanno chiesto con calma chi fossimo, ci hanno chiesto i documenti (che per altro non hanno neanche controllato) e se ne sono andati. Non cercavano noi, non hanno neanche controllato gli zaini. In seguito abbiamo scoperto che si erano portati via i dati raccolti dagli avvocati del GSF e che al piano di sopra avevano sfasciato due computer ai ragazzi di Indymedia. Potevamo dunque scaricare la nostra tensione, ma riguardando dalla finestra vedevamo che nell'altra scuola le cose si mettevano male: tante, tantissime barelle uscivano dall'edificio e mentre la nostra scuola era stata ormai liberata un fitto cordone di carabinieri chiudeva ogni accesso all'altra parte. È stato in quel momento che ho notato che un carabiniere a differenza degli altri non portava la maschera antigas, anzi si era addirittura alzato la visiera del casco e controllava i nostri movimenti e quelli dei presenti in strada con gli occhi sbarrati. Cominciavano le urla, sia da parte nostra sia dalla scuola sotto sequestro, urla molto diverse: da noi rabbia, dagli altri dolore. Quel carabiniere sembrava nutrirsi di quelle urla, spalancava sempre di più gli occhi tanto che una ragazza gli si è avvicinata per fotografarlo. Lui per tutta risposta ha digrignato i denti in una smorfia macabra, voleva dimostrare la propria potenza. È stato in quel momento che ho capito la gravità del momento, ho capito che in quella scuola si stava liberando la bestia umana. Sono tornato alla finestra e ho cercato di vedere meglio cosa stessero facendo. Quello che ho visto preferisco non raccontarlo. Le foto del sangue sui muri apparse sui giornali parlano da sole. Il macello è continuato per circa mezz'ora, nel frattempo un politico ha cercato di sfondare il cordone dei carabinieri ma è stato rimandato indietro e alle domande degli avvocati l'unica risposta era "abbiamo un'ordinanza di sgombero" (peraltro mai esibita).

Continuavano ad uscire barelle, un gruppo di persone con le mani dietro la nuca è stata condotta in cortile per poi essere riportata all'interno della scuola: li abbiamo visti uscire tutti sulle lettighe (resistenza a pubblico ufficiale?).

Poi finalmente se ne sono andati fra le urla della gente e i flash dei fotografi. Sono corso all'interno della scuola. Gli zaini in palestra erano stati tutti rovesciati, i computer al pian terreno distrutti e le porte divelte. Sapevo che ai piani superiori avrei trovato altro. Infatti al primo e al secondo piano nei corridoi e nelle aule c'era sangue ovunque. Ciò che avevo visto dalla finestra era accaduto davvero, i miei occhi non avevano ingrandito nulla. Così semplice e così reale.

Sono sceso facendomi spazio fra i cameraman che chiedevano spazio per riprendere i particolari e i politici che facevano dichiarazioni, volevo scappare, mi sembravano tutti impazziti.

Mi sono ritrovato per strada vagando col timore che se mi fossi messo a correre avrebbero arrestato anche me. Ero in gabbia. Non potevo uscire da quell'incubo, gli occhi di quel carabiniere mi avrebbero trovato. Retorico tutto questo? Forse si, un poco. La paura è difficile da affrontare e da raccontare.

Ma gli occhi non mentono, mai.

M.

Avevo appena preparato il sacco a pelo per dormire in una stanza del secondo piano dell'edificio che ospitava l'Indymedia center, precisamente era la stanza che ospitava la redazione di Carta e il Manifesto, almeno mi pare. (...)

All'improvviso sentiamo delle urla che provengono dalla strada: "police! police!", ci affacciamo dalle finestre, guardiamo giù, e vediamo una carica di sbirri che proveniva dalla parte sinistra della strada, dall'altro capo della strada invece, c'era uno sbarramento di blindati di polizia! In un attimo vengono chiusi i cancelli dei due edifici! Un compagno che purtroppo era rimasto fuori dai due edifici, è stato il primo ad essere brutalmente pestato dagli sbirri. Mi ricordo ancora bene la scena: lui si trovava nel marciapiede della scuola Diaz non ha fatto in tempo a rifugiarsi dentro, non ha avuto neanche il tempo di difendersi o capire che cosa gli stava accadendo. Rimasto immobile accucciato su sé stesso: il primo a picchiarlo è stato proprio lo sbirro che comandava la carica e successivamente tutti gli altri!

Subito dopo gli sbirri hanno sfondato il cancello della Diaz, sono entrati dentro.

Io e gli altri che ci trovavamo al secondo piano, ci siamo rifugiati tutti nella stanza da dove trasmetteva radio GAP, eravamo all'incirca 30 persone rifugiate in quella stanza, eravamo letteralmente terrorizzati, guardavamo dalle finestre gli sbirri che salivano nel nostro edificio, e anche gli sbirri che salivano nella scuola Diaz. Vedevamo attraverso i vetri, che gli sbirri facevano mettere tutti quanti con le mani dietro la nuca e poi andavano giù con i manganelli! Vedevamo i ragazzi cadere a terra e gli sbirri inferociti che devastavano tutto!

Noi dall'altra parte, aspettavamo il nostro turno. Sentivamo gli sbirri salire le scale del media center e che andavano sfondando le barricate da noi issate: sono stati momenti terribili!

Sentivamo le urla che venivano dall'altra scuola! Spesso le urla venivano coperte dal rumore dell'elicottero che ci sovrastava e ci illuminava col suo faro.

Dopo pochi minuti, o forse attimi, gli sbirri sono arrivati anche al nostro piano. Nessuno di noi sapeva cosa fare o che pensare! Eravamo solamente terrorizzati!

Quando sono entrati nella stanza di radio GAP con i loro manganelli, il casco messo ed il fazzoletto tirato su hanno avuto alcuni istanti di esitazione. Appena hanno capito che stavamo trasmettendo in diretta tutto ciò che stava succedendo si sono apparentemente calmati. Solo per questo ci hanno risparmiato. Non per altro.

Eco81

a cura di M. M.



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