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Da "Umanità Nova" n.28 del 5 agosto 2001
Le tre giornate di Genova
Testimonianze
"Perché sparano i gas?" Intervista ad alcuni compagni genovesi
Come abbiamo percepito, come abbiamo subito la militarizzazione della
città noi genovesi? Come abbiamo vissuto la zona rossa, le
manifestazioni, gli incidenti, la violenza poliziesca e istituzionale?
Ho raccolto una serie di testimonianze dirette di compagni genovesi e ho
cercato di farne un collage per aver un quadro - anche se parziale - di quello
che è successo. Qualcuno ha lasciato spazio alle emozioni, altri alle
riflessioni, altri ancora hanno tentato di dare un resoconto obbiettivo e
distaccato di quello che hanno visto. C'è un po' di tutto e capire
è difficile. Quello che colpisce è che su alcuni dati di fatto
che emergono ci sono interpretazioni - forse sarebbe meglio dire percezioni -
anche molto differenti: cito ad esempio l'azione del Black Bloc, gli scontri di
venerdì 20, la carica poliziesca al grande corteo di sabato 21.
Ma andiamo per ordine. Che clima si respirava in città i giorni
immediatamente precedenti il G8?
R. B. dice che è stata: "...uno di quei genovesi che ha deciso che
valeva la pena di starci, a Genova, nei giorni del G8; sono uno di quelli di
cui nessuno ha mai parlato perché pareva che l'intera città fosse
stata colonizzata da folte truppe di combattenti, mercenari, servi di stato di
altre città e paesi. Ho incontrato gente che si stupiva nell'apprendere
che io ero di qui, che non avevo preso treni, pullman, fatto autostop o
organizzato una gita fuori porta con colazione al sacco, ma che, per scendere
in piazza, mi ero semplicemente tirato dietro la porta di casa", una dei
tanti che: "è stato ingabbiato in quella che paradossalmente
nonostante fosse fuori dalla zona rossa (che invece rappresentava una isola di
tranquilla quotidianità con i negozi aperti, le edicole con i giornali,
le rosticcerie con i polli arrosto, i fiori, gli zampilli festosi della fontana
di Piazza de Ferrari) era la vera prigione, è stato affamato
perché sono stati impediti i rifornimenti nei negozi della cosiddetta
zona gialla ed è stato instillato per mesi premeditatamente e
volutamente il panico tra la gente comune; è stato limitato negli
spostamenti e condannato a lunghissime peregrinazioni per coprire distanze
normalmente brevissime; è stato guardato con sospetto, fermato,
perquisito, controllato e in mezzo a tutto questo non ha potuto neppure bere un
espresso in uno stupido bar". E la militarizzazione, l'atteggiamento della
polizia? Sentiamo ancora R. B.: "...carabinieri, poliziotti, finanzieri,
armati, occhio vigile e sguardo attento (per quel che possono); a ciascuno il
suo varco da difendere, a ciascuno la facoltà di decidere chi fare
passare e chi lasciare fuori (anche tra quelli che fieri esibiscono il pass).
Parlano tra commilitoni, racconti da caserma, ma chiara, una voce al terzo
varco, quello dei finanzieri, si distingue tra le altre: "Per me ammazzare un
maiale o un uomo è la stessa cosa...". Mi si rizzano i peli sulle
braccia e ho la prima vera sensazione di paura. È da questo momento che
compare il senso di angoscia che non mi abbandonerà più. Le forze
di "sicurezza" sono state armate e non sono qui solo per fare figura". E
ancora (R. B): "Mercoledì 18 luglio. Gli elicotteri sorvolano
incessantemente i tetti. Oltre a questo c'è un silenzio irreale. La
tensione è palpabile e questo senso di sospensione non promette niente
di buono.
In Carignano, mentre brandisco la macchina fotografica nella piazza deserta,
vengo circondata da 10 carabinieri e una poliziotta mi intima di consegnarle il
rullino. Al mio rifiuto mi vengono presi i documenti e costretta a rimanere 15
minuti in attesa che loro effettuino i dovuti controlli. L'angoscia cresce.
Dove cazzo siamo?".
Il 19, il giorno della manifestazione dei migranti, tutto scorre tranquillo. Un
corteo di almeno 50.000 persone attraversa la città. Pochissimi i
momenti di tensione. Arriviamo al 20. Il giorno dell'assalto alla zona rossa,
il giorno delle piazze tematiche.
R. N.: "...in piazza Carignano e piazza Dante l'atmosfera era distesa e
allegra. Canti e balli, con slogan non offensivi o violenti. "Genova libera" e
simili, qualche lancio di bottiglie di plastica mezze vuote, palloncini,
qualche attivista di Attac e di Prc appeso alle cancellate, applausi ai gorilla
della PS - innaffiamenti (graditi) dalle autobotti della forestale. Un clima
goliardico. Col tempo, e le notizie che arrivavano, il clima è diventato
teso e aleggiava un sentimento di paura generalizzata. Scontri e notizie
allarmanti su possibili morti hanno contribuito a creare un clima teso. Si
è deciso di partire in corteo verso piazzale Kennedy. Da piazza Dante il
corteo si è mosso verso Carignano e quando la coda stava defluendo dalla
piazza sono uscite all'impazzata dalla galleria di via D'Annunzio delle
camionette che hanno cominciato a sparare candelotti alla coda del corteo,
senza nessuna ragione. Da quello che ho visto io mi è sembrato che
alcuni candelotti siano stati esplosi dalle finestre del grattacielo di piazza
Dante. I candelotti rimbalzavano sui muri dei palazzi di via Fieschi.
C'è stato un fuggi fuggi fino a metà della strada e si sentivano
i poliziotti che urlavano. Il corteo è partito molto lentamente verso
piazzale Kennedy.
Durante tutto il pomeriggio si sono verificati, nei pressi del
concentramento di Carignano, dei fatti inquietanti che hanno contribuito a
creare tensione e allarmismo. Un gruppo di ragazzi che transitavano in via
Corsica sono stati bloccati da una camionetta di PS che sono scesi e li hanno
sospinti in un vicolo dove li hanno pestati e lasciati a terra sanguinanti. Io
ho visto due dei ragazzi picchiati. Uno vomitava tenendosi le mani sullo
stomaco e poi si è disteso per terra perché respirava a fatica.
L'altro era stato colpito al volto e alla testa e sanguinava copiosamente. Sono
arrivati in piazza degli abitanti della zona che hanno raccontato quanto
avevano visto in merito a questi pestaggi indiscriminati. Dopo questo episodio,
primo di molti altri, ha cominciato a girare la voce che i PS facevano delle
ronde per pestare quanti si trovavano in gruppetti isolati in giro per una
città che non conoscevano."
Altra zona della città, Piazza Manin e dintorni. Sentiamo M.: "Mi
avvicino a Piazza Manin, a piedi, per unirmi al sit-in che il gruppo "rosa" ha
organizzato davanti al varco di piazza Corvetto. Sono con la mia ragazza,
Alessandra. Ma ancora prima di arrivare in piazza ci accorgiamo che qualcosa
non va: clamori, gente impaurita e confusa che arretra disordinatamente,
capiamo che più avanti ci sono disordini. Vediamo, come, una piena una
massa di gente venirci incontro: ripariamo in una via laterale. Di qui
assistiamo allibiti alla sfilata dei blocchi neri: arretrano con calma,
lanciando pietre, sfasciando le macchine, bruciando cassonetti. Poi è la
polizia a passare, ma non li sta caricando; in formazione chiusa si limita a
spingerli verso Castelletto. Quando i poliziotti arrivano all'altezza della via
laterale in cui siamo noi (sono a circa 10 metri) incredibilmente ci lanciano
un paio di lacrimogeni, tra le gambe, e ci vengono incontro. Noi siamo
pietrificati dalla sorpresa, ma non scappiamo. Io sono davanti insieme a un
ragazzo inglese con una chitarra. Alziamo le mani e li aspettiamo. Mi dico che
sicuramente hanno capito che non c'entriamo niente. Invece improvvisa, cieca,
esplode la violenza: manganellate, calci, pugni, lo scopo: annullare
fisicamente e psicologicamente persone che sono nemiche solo per essere in
strada a testimoniare le loro idee. Senza una parola, il ragazzo accanto a me
adesso tiene in mano quello che resta della sua chitarra, il volto coperto di
sangue. Donne e ragazze che piangono e urlano, alcuni svenuti. Ancora non posso
crederci. La polizia, sempre in formazione serrata, si è ritirata.
Suoniamo a un portone ed alcuni inquilini escono portando bende, cerotti,
ghiaccio. Chiamano un'ambulanza. Fortunatamente io me la sono cavata (solo!?)
con lividi e contusioni, e Alessandra è sfuggita alla carica, ma non
dimenticherò facilmente quello che ho visto, e soprattutto l'assurda
irrealtà di non sentirsi più in un paese civile".
Pestaggi a freddo. Sentiamo M. C.: "Tardo pomeriggio. Avevamo saputo che
Carletto era stato assassinato, e, passando in mezzo a decine di automezzi
della polizia e in mezzo a centinaia di agenti che si stavano complimentando a
vicenda per l'ottimo lavoro svolto mentre si rilassavano bevendo e scherzando,
beh, io e un compagno che viaggiava in auto con me abbiamo urlato "assassini",
"begli eroi che siete!" accompagnati da qualche altro epiteto che non ricordo,
mentre un energumeno, rosso in volto, col busto fuori dal finestrino, ci urlava
qualcosa mentre guidava incolonnato con le altre auto e i blindati. In pochi
istanti, senza che me ne accorgessi, due o tre pattuglie sui fuoristrada si
sono staccate dalla colonna e mi hanno tagliato la strada obbligandomi a
fermarmi in corso Buenos Aires. Un calcione sul retro dell'auto, il
tergicristalli strappato, mi volto a guardare dal finestrino e sento un dolore
lancinante all'occhio, non vedo più nulla... un manganello in faccia. Il
capopattuglia era sceso e si stava vendicando per averlo chiamato assassino.
Poi apre la portiera, mi tira per i capelli trascinandomi fuori. Si avvicinano
altri due o tre, ginocchiate nello stomaco, sento male al braccio, alla
schiena, mi copro il viso con le mani mentre mi sbattono sulla macchina, e
intanto scivolo giù, a terra... Stessa sorte per il compagno che
viaggiava con me. Scoprirò dopo che averlo gettato a terra, uno gli si
era messo a sulla schiena col ginocchio e lo picchiava con le mani, mentre gli
altri gli sferravano calci dappertutto. Po, é arrivato qualche testimone
civile e allora si sono dileguati tutti, su suggerimento dei funzionari.
Riusciamo alla fine ad andare al Pronto Soccorso. Ci é andata bene.. a
noi".
Arriva il 21, la grande manifestazione di oltre 200.000 persone,
deliberatamente e pesantemente caricata dalla polizia. Come è
successo?
F.: "Sono le 15, sono all'altezza di Punta Vagno, con i miei compagni. Si
sparge la voce che il corteo è stato spezzato alla Foce, trasformata in
un teatro di scontri e incendi. Poco dopo il corteo proveniente da Corso Italia
decide di svoltare in via Casaregis, tagliando così fuori dal percorso
la zona della Foce, con l'obiettivo di ricongiungersi successivamente al primo
blocco in corso Torino. Io e i miei compagni decidiamo di proseguire. Davanti a
noi sfila una variegata moltitudine di manifestanti. Li lasciamo passare, ci
inseriamo poco dopo. Arrivati in via Casaregis, all'improvviso si scatena
l'inferno: si alzano decine, centinaia di mani, sono di quelli che abbiamo
davanti, quelli già detti, piovono decine di lacrimogeni, alcuni tentano
una fuga in avanti, il corteo, fitto, gremito, indietreggia pericolosamente,
siamo ammassati e pressati come sardine. Perdo tutti i miei compagni tranne uno
col quale mi ritrovo schiacciata contro il muro. Un lacrimogeno mi arriva sui
piedi, non ho nemmeno lo spazio per raccoglierlo e rilanciarlo, la massa
spinge, l'aria è irrespirabile, vie di fuga non ce sono, infilo la testa
dentro un negozio con le vetrine infrante alla ricerca di un po' d'aria. Sta
per diffondersi il panico, penso: basta che ne cada uno solo di noi ed è
la fine. Si levano alcune voci: stiamo calmi, spostiamoci piano, non
spingiamo...Ci riusciamo, miracolosamente. Arrivo con il mio compagno di nuovo
all'angolo con Corso Italia, la strada in salita adiacente al corso,
incredibilmente stipata, sembra un quadro inquietante, nel Corso davanti a noi
solo la nebbia grigia dei fumogeni, attraversarlo è rischioso,
continuano a lanciare lacrimogeni, stanno per avanzare, decidiamo di
attraversare, corriamo verso il mare. Siamo ai giardini di Punta Vagno, passano
10 minuti di pace, si fa per dire, il tempo appena di gridare: BASTARDI.
Eccoli, i bastardi, rincorrono il corteo, una carica dietro l'altra,
violentissime. Obiettivi: frantumare il corteo, terrorizzare tutti. Il corso
viene sbarrato con le camionette poco prima dei giardini. Il corteo è
spezzato, disperso."
S. F.: " La polizia sta caricando pesantemente il corteo (mentre più
avanti di nuovo si alza del fumo). Ci rifugiamo nei giardini Gilberto Govi,
vicino a Punta Vagno. Vediamo poco distanti alzarsi le nubi dei lacrimogeni. Ci
sentiamo un po' in trappola, decidiamo di aspettare. La spiaggia poco distante
è piena di poliziotti, in mare gommoni e motoscafi sia dei carabinieri
che della polizia. La gente è disorientata, non sa che fare. Vediamo
ogni tanto arretrare il corteo, la polizia lo respinge indietro. A un certo
punto molti si rifugiano nei giardini dove noi già siamo, cercano una
via di fuga dalle cariche e dal lancio dei lacrimogeni. Poi i lacrimogeni
vengono lanciati anche lì nei giardini, corriamo avanti, superiamo un
varco e siamo in un altro spiazzo, che però non ha vie d'uscita. Siamo
braccati!! Da terra, dal mare, dal rombo degli elicotteri. Scavalchiamo un
cancello, scendiamo sugli scogli. La rabbia è tanta. Ci ritroviamo sulla
spiaggia, ma a un certo punto per proseguire è necessario scalare un
muro di due metri oppure scendere in acqua. I carabinieri sono impegnatissimi a
creare più onde possibili con i loro motoscafi, sembrano soddisfatti e
divertiti della "caccia", vedo e sento chiaramente uno di loro, da un gommone,
gridare rabbioso verso di noi: "siete dei bastardi comunisti!" Dei
compagni volenterosi aiutano molti di noi a salire il muro di due metri.
Proseguiamo sulla spiaggia fin dove è possibile. Risaliamo in Corso
Italia, tempo pochi minuti e alle nostre spalle la polizia carica ancora, si
rischia di mettersi tutti a correre, di restare schiacciati dalla folla.
Abbandoniamo Corso Italia, saliamo in Albaro. C'è un altro pezzo del
corteo, ormai frammentato e disperso. Caricano anche lì. Scendiamo verso
piazza Tommaseo, vorremmo tagliare giù da una scalinata, ma vediamo uno
sbarramento della polizia in Corso Buenos Aires. Arriviamo in Corso Gastaldi,
dovunque ci sono manifestanti che cercano un percorso sicuro, la città
è completamente priva dei suoi abitanti, solo manifestanti e forze del
"disordine"!! Andando verso Corso Sardegna di nuovo guerriglia, vetrine
infrante, auto date alle fiamme. Finalmente riusciamo ad arrivare a
casa".
M.: "Al pomeriggio mi trovavo in via Nizza, un po' in disparte (data la
temporanea cecità di un occhio causata da un manganellata di un celerino
il giorno precedente), sopra corso Italia. La zona, presidiata dalla GdF, era
circondata da curiosi e qualche manifestante che discendeva giù verso
corso Torino. Di punto in bianco qualcuno da l'ordine di sparare lacrimogeni a
grappoli sul corteo, là dove piegava per immettersi in via Rimassa.
Nessuno aveva ancora lanciato nulla contro gli agenti, nessuno aveva provocato
la reazione della polizia, nulla. I presenti, sbigottiti, incominciano a farsi
domande l'un l'altro: "che é successo..?", "perché sparano i
gas?", ".. mah? mi sembrava fosse tranquillo..", azzardo che forse era una
provocazione della polizia verso i manifestanti e una signora in bicicletta
sorride: "figurarsi.. la polizia..", poi sollevo l'occhiale da sole e mostro
l'occhio tumefatto.. "anche questo signora sembra impossibile"".
Si potrebbero riempire ancora decine di pagine con testimonianze come queste,
storie personali, modi simili e allo stesso tempo differenti di vivere
circostanze del tutto particolari. Credo che basti.
Vargo
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