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Da "Umanità Nova" n.29 del 2 settembre 2001
Il vertice NATO di Napoli
La globalizzazione dell'imperialismo
Di tanto in tanto, qualche avversario ideologico (meglio informato sulle teorie
anarchiche e/o comuniste rivoluzionarie) mi pone il seguente problema: "Ma voi
non siete internazionalisti? Non predicate l'abolizione delle frontiere? Ed
allora perché vi opponete alla globalizzazione? In fin dei conti, anche
se effettuato in un'ottica capitalistico-statale, questo fenomeno non dovrebbe
avvicinare maggiormente la realtà alle vostre idee? Come fate ad essere
parte integrante di un movimento no-global fondamentalmente
reazionario?"
La risposta che do a questa domanda è più o meno la seguente:
quella che oggi passa per "globalizzazione" tutto è tranne che tale;
dietro un nome tutto sommato nobile e relativamente nuovo si nasconde
ideologicamente la vecchia realtà dell'imperialismo USA, anzi della
politica delle cannoniere! 1984 di George Orwell ed il fenomeno del
rovesciamento ideologico dei nomi (il Ministero della Guerra che diventa il
Ministero dell'Amore, ecc.) sembra aver decisamente fatto scuola: da almeno un
decennio a questa parte le guerre si chiamano "operazioni umanitarie", i
licenziamenti facili diventano "politiche per l'occupazione", il dirigismo
manageriale nella Pubblica Amministrazione diventa "Autonomia", ed ora
l'imposizione della volontà politico-economica della nazione dominante a
tutto il resto del pianeta è divenuta, nel linguaggio dei mass-media di
regime, globalizzazione...
In effetti, quella a cui assistiamo oggi è tutt'altro che una scomparsa
degli Stati-nazione e dell'imperialismo old-style: se la cosa a qualcuno
sembra tale è solo perché il dominio del governo USA su
istituzioni quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca
Mondiale non è immediatamente evidente, e, anzi, è interesse
di questa nazione nascondere la sua politica di potenza dietro il paravento di
queste istituzioni, e dare l'idea di un dominio diretto sul mondo ad opera del
capitalismo sovranazionale.
In questa descrizione molto diffusa del "Nuovo Ordine Mondiale" è
centrale l'idea che la rapidità dei movimenti finanziari renda possibile
"l'era dell'informazione", mentre lo sviluppo delle multinazionali avrebbe
significato che la politica delle cannoniere è stata sostituita da un
più astratto ed invisibile, ma altrettanto potente, governo del capitale
che non è legato ad alcuno Stato. In effetti, oggi l'imperialismo USA
è molto avanti nel nascondersi dietro l'ideologia dei "diritti umani" ed
una serie di supposte istituzioni internazionali. Perché
"supposte?" Perché, in realtà, analizzando a fondo questi corpi
internazionali, troviamo che essi sono stati strutturati in maniera tale che in
esse è il governo USA ad avere l'ultima parola nei processi
decisionali.
Molta gente in buona fede, anche nel movimento no-global, ha fatto
riferimento e si riferisce tuttora alle Nazioni Unite come se esse fossero
un'alternativa al dominio statunitense o NATO del globo. Le Nazioni Unite
rivendicano d'essere un'istituzione globale rappresentante tutte le nazioni, ma
in realtà - per l'effettivo intervento militare - si può solo
agire in base alla decisione di un piccolo numero di poteri militari forti.
Questi sono i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (USA, Gran
Bretagna, Francia, Russia e Cina), ognuno dei quali dotato del potere di veto
su ogni intervento militare che vada contro i loro interessi.
In effetti le Nazioni Unite sono una copertura dietro la quale queste cinque
grandi nazioni possono fare la guerra ad un nemico comune - come quando le
Nazioni Unite intervennero nel 1991 in Iraq con la scusa della sovranità
del Kuwait. Ma esse possono bloccare l'azione delle Nazioni Unite negli altri
casi: nessun corpo militare ONU invase gli USA a proteggere la sovranità
del Nicaragua negli anni ottanta; la NATO può bombardare la Serbia
affermando di proteggere l'"etnia" albanese vivente in Kosovo dai paramilitari
serbi, quando invece la Turchia (membro NATO) massacra l'etnia Kurda l'ONU
resta ferma. Ovviamente, dal mio punto di vista, non cambierebbe
sostanzialmente nulla con un ONU maggiormente "democratizzato" nei meccanismi
decisionali: le esperienze delle democrazie "locali" sono indicative a tal
proposito. Le cose, comunque, al momento stanno così.
Questo meccanismo del Consiglio di Sicurezza attraverso il quale le maggiori
potenze controllano l'ONU e attraverso di esso gli interventi militari è
abbastanza ben conosciuto. Ciò che non è altrettanto largamente
noto è che esiste un meccanismo simile attraverso il quale le maggiori
potenze imperialistiche, e gli Stati Uniti in particolare, possono controllare
l'economia mondiale. Una volta che si è svelato ciò, l'idea
iniziale della globalizzazione diventa nient'altro che un'immagine a buon
mercato costruita per ingannare e sviare l'attenzione dal reale dominio
imperialistico del mondo.
Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale sono oramai nomi
tristemente familiari, ma la maggior parte delle persone ha un'idea molto vaga
di cosa siano e in che consistano le loro funzioni. Esse sono contente di
mantenere le cose in questo stato, tant'è vero che, a differenza di
altre istituzioni (si pensi alle campagne di propaganda dell'Unione
Europea), non fanno assolutamente nulla per ovviare a questo stato di
ignoranza.
In generale, entrambe queste strutture sono state progettate in modo da
favorire le più potenti nazioni occidentali, essendo basate sul
principio affaristico "un dollaro, un voto", il che ovviamente favorisce di per
sé il controllo da parte delle nazioni che maggiormente le finanziano -
in altre parole le più ricche e potenti del pianeta. C'è
però dell'altro ancora: le decisioni interne di queste strutture sono
condizionate dal diritto USA di veto - sono cioè strutturalmente
incapaci di qualunque decisione che vada in senso contrario agli interessi
economici della nazione dominante a livello mondiale. Esse sono formalmente
parte delle strutture ONU, ma in realtà i poteri del governo USA sono
ancora maggiori di quelli posseduti nel consesso delle Nazioni Unite: nel caso
del FMI la partecipazione USA è del 17% al voto, mentre per il diritto
di veto è richiesto il solo 15%. Inutile dire che il caso USA è
isolato e, nel caso della Banca Mondiale (struttura operativa del FMI)
si è sempre manovrato con insistenza, utilizzando a pieno il potere di
veto, affinché ogni singolo presidente fosse un cittadino
statunitense.
In parole povere, il movimento no-global, anche se è convinto
spesso di combattere contro un astratto potere "globale" del capitale, in
pratica va ad impattare direttamente contro gli interessi dello Stato-nazione
dominante attualmente il pianeta, quello stesso che, come Chomsky
magistralmente dimostra nei suoi testi politici, da un lato impone il "libero
mercato" agli altri paesi e dall'altro persegue contro gli
altri paesi una politica ultraprotezionistica. La presenza degli elicotteri
militari americani che hanno, ad un certo punto, sorvolato con insistenza il
percorso delle manifestazioni genovesi, non era perciò casuale. La
stessa scelta di un percorso repressivo così brutale, fatto da un lato
di strategia della tensione e dall'altro di cariche poliziesche selvagge con
ripetuto uso delle armi (per di più contro manifestanti spesso inermi),
potrebbe, in quest'ottica, essere stato deciso a Washington molto più
che a Roma.
Quest'ipotesi, ai miei occhi, è rafforzata dallo strano atteggiamento
che il governo italiano sta avendo a tutt'oggi (25 agosto 2001) relativamente
ai due summit di Napoli e di Roma. Il secondo, in apparenza sarebbe
assai più difficile da spostare del primo e, comunque, appare di per
sé di più facile gestione; il primo, invece, appare ben
più "caldo" nelle prospettive dei mass-media di regime e, allo stesso
tempo, in linea teorica, ben più facile da allocare altrove. Il governo
italiano, con un atteggiamento apparentemente folle, sembra invece, in molte
sue componenti, volersi tenere la riunione NATO di Napoli e tentare
disperatamente, in qualche modo, di dislocare quella romana della FAO.
Un'ipotesi per spiegare quest'atteggiamento schizofrenico di almeno una parte
dello Stato italiano potrebbe, allora, essere che a scegliere la linea dura
contro il movimento no-global sia stato proprio il governo USA, che sta
imponendo tale scelta ai suoi governi satelliti. Il summit NATO
napoletano, con la valenza simbolica di attacco diretto allo strumento principe
dell'imperialismo statunitense che assumerebbero le manifestazioni di dissenso,
sarebbe allora visto dal governo USA come l'ennesima occasione per portare
avanti tale strategia repressiva diretta; al governo italiano resterebbero
margini di manovra solo rispetto al summit romano, presumibilmente
(il condizionale è d'obbligo) poco "caldo" e con meno occasioni di
operare una strategia repressiva genova style. Meglio poco che niente,
potrebbe pensare un Berlusconi il quale tutto avrebbe voluto tranne una tale
perdita d'immagine e di potere d'azione interna...
Queste sono, ovviamente, ipotesi. In ogni caso, summit e
contromanifestazioni napoletane al momento attuale (sempre il 25 agosto 2001)
sembra si faranno: che atteggiamento sarebbe opportuno, ai miei occhi,
prendesse il movimento anarchico? Personalmente non sarei per nulla interessato
ad accettare la logica dello scontro militare così come me la propone lo
Stato al momento attuale. Quello che ho visto a Genova non fa che confermare
ciò che già scrivevo nei miei articoli su UN in occasione delle
cariche napoletane: la dinamica della provocazione poliziesca di piazza non
è tesa, "classicamente", almeno come dato primario, a disperdere le
manifestazioni, bensì a tenerle compatte il più a lungo
possibile, per poterle annegare di lacrimogeni/urticanti/asfissianti, picchiare
selvaggiamente i singoli in massa, creare tra i fermati un clima (e talvolta
non solo quello) di sospensione delle "libertà civili" - in una parola
terrorizzare quanto più possibile e quanti più
possibile.
Si tratta di una strategia rispetto alla quale il movimento no-global,
nel suo complesso, a Genova era assolutamente impreparato a reagire.
Cercherò, d'ora in poi, di effettuare un'analisi avalutativa
delle diverse opzioni viste in piazza, rispetto alla repressione poliziesca. La
strategia non violenta, di fronte alla esplicita volontà
terroristica delle forze del disordine statale, si è mostrata del
tutto inefficace: carabinieri e polizia volevano persone inermi da
terrorizzare, e le hanno sostanzialmente avute. La strategia del Black
Bloc, d'altro canto, non aveva certo alcuna valenza difensiva. Quella delle
cosiddette "Tute Bianche". inoltre, è crollata miseramente di fronte
alla - come dire? - mancata "collaborazione" da parte delle forze del disordine
statale, che tutto avevano tranne che l'intenzione di effettuare una
sceneggiata ad uso e consumo delle telecamere. Quella dell'organizzazione
generale dei "portavoce" del GSF, fatta di giornalisti, avvocati e quant'altro
desse l'idea della Presenza Dell'Opinione Pubblica e Dello Stato Di Diritto,
infine, s'è mostrata fragilissima di fronte alla volontà
repressiva di mostrare un terroristico "clima cileno".
In altre parole, è mia impressione che in qualche misura lo Stato si sia
oramai parametrato, rispetto alle varie strategie di "Blocco" che le diverse
anime del movimento no-global hanno espresso da Seattle a Genova, con
tutte le specificità delle situazioni locali. Non possiamo più,
in altri termini, "contare sulla sorpresa": occorrerà da parte nostra,
allora, uno sforzo di intelligenza per trovare nuove strategie di opposizione
che, pur continuando efficacemente ad opporsi al dominio imperialista del mondo
oggi detto "globalizzazione", riescano altrettanto bene, nei loro momenti di
presenza in piazza, a rendere inefficace il progetto terroristico della
repressione statale mostratosi in azione, con particolare evidenza, a Goteborg,
Napoli (G8) e Genova.
Il movimento no-global, con tutti i suoi limiti, ha avuto il pregio
enorme di rompere, soprattutto in Italia, una cappa di piombo: un'area enorme
di persone, ancora una volta con mille limiti certamente, ha di nuovo rimesso
in discussione la società presente come il migliore dei mondi possibili
ed ha indicato la volontà e la necessità di costruire un mondo
diverso. In questo suo slancio ha smosso l'apatia di un numero ancora
più grande di persone "normali", non militanti, come chiunque di noi ha
potuto constatare al suo ritorno da Genova. Occorrerà allora, anche qui
a Napoli, operare uno sforzo duplice: riuscire a parlare contemporaneamente sia
con le "persone normali" che vedono, dall'esterno, il movimento come una
speranza per non morire in questo mondo di merda ("produci, consuma - sempre
meno, d'altronde - e crepa"), sia con i militanti di base di tutte le
altre componenti del movimento.
Si potrebbe, da un lato, recuperare la strategia primo-sessantottina del
rapporto diretto con la "gente normale", intercettata nelle strade e coinvolta
nella discussione sul senso della propria esistenza quotidiana (mi viene in
mente, a puro titolo di esempio, l'esperienza napoletana del Gruppo Anarchico
Teatro Comunitario - il teatro di strada che si concludeva con
l'assemblea in piazza); dall'altro lato, sarebbe opportuno interloquire
politicamente in modo continuo e non episodico con i militanti delle altre
componenti del no-global. Da questo punto di vista, se a Genova abbiamo
sofferto gravemente dell'intermediazione continua e del dirigismo dei
"portavoce" nazionali del GSF, Napoli dovrebbe essere una piazza decisamente
migliore per mettere in evidenza le nostre idee, per interloquire direttamente
con migliaia di persone che ora si affacciano o riaffacciano alla politica
attiva, senza o con poche idee pregiudiziali e, talvolta, con una teorizzazione
e/o prassi di fatto libertaria.
Si tratterebbe, in altri termini, di lavorare parallelamente su due binari: da
un lato con una presenza di discussione e propaganda specificamente anarchica
sul territorio, rivolgendosi alla "gente"; dall'altro con la partecipazione
attiva e critica a tutte le iniziative del movimento no-global, salvo
quelle dichiaratamente filoistituzionali. Su queste cose, e su altre proposte,
si proverà a far partire nel napoletano (e magari non solo) una
discussione, di cui daremo conto sin dal prossimo numero di UN.
Shevek dell'O.AC.N./F.A.I.
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