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Da "Umanità Nova" n.29 del 2 settembre 2001
Il tramonto della concertazione di piazza
La farsa è finita
È ormai evidente che le tremende giornate di mobilitazione
internazionale a Genova, durante le quali il terrorismo di Stato si è
scatenato contro i manifestanti anti-G8, hanno duramente messo alla prova tutti
i settori dell'opposizione sociale e della sinistra antagonista, ma è
altrettanto palese che la crisi più profonda è quella che ha
investito i gruppi, le associazioni e i partiti aderenti al Genoa Social Forum,
uscito sconfitto sia sul piano politico che su quello mediatico e "militare".
L'area cattolica ha preso posizioni fortemente critiche nei confronti di tale
esperienza "unitaria", mettendo sullo stesso piano la violenza legalizzata e
sistematica delle forze di polizia e le pratiche dei settori più
radicali; Rifondazione Comunista da parte sua, per bocca del suo segretario
Bertinotti, ha invitato "tutto il movimento e tutta la sinistra" al "rifiuto
della violenza in tutte le sue forme anche verbali", giungendo a mettere in
discussione la stessa storia del movimento operaio; i dirigenti delle Tute
Bianche hanno invece annunciato di stare prendendo seriamente in considerazione
l'ipotesi dell'autoscioglimento come sostenuto da Luca Casarini in numerose
interviste sulla stampa che meritano senz'altro attenzione perché
mettono a nudo questioni di analisi e metodo che non riguardano soltanto le
Tute Bianche.
La prima questione, peraltro elusa dal leader delle Tute Bianche, è
genuinamente di carattere teorico e riguarda, come gli Anarchici contro il G8
hanno cercato di mettere a fuoco, la non-riformabilità del dominio del
capitale e quindi della fine delle illusioni su un governo democratico della
cosiddetta "globalizzazione" grazie alla partecipazione e alla pressione
all'interno di tale processo in atto da parte dalle cosiddette moltitudini
degli esclusi e degli sfruttati.
Ora meno che mai, spazi per il riformismo - o per una "riforma conflittuale del
welfare" come a suo tempo teorizzato dalla Carta di Milano - non esistono: lo
attestano quotidianamente le immani tragedie che coinvolgono milioni di dannati
della Terra e la ferocia con cui vengono stabiliti i rapporti di forza tra chi
ha e chi non ha, tra chi detiene il potere e i senza-potere.
Per giungere a questa conclusione non è necessario essere dei
rivoluzionari d'acciaio, come dimostrano le considerazioni di un
ragionevolissimo economista quale Christian Marazzi, docente in
un'università svizzera: "Il capitale è incapace di risolvere le
sue stesse sciagure ma lo spazio per un'iniziativa riformista non c'è"
(Liberazione, 23.06.01).
In tale dato di fatto è da ricercare la principale contraddizione
interna al variegato schieramento facente capo al Genoa Social Forum che, ben
lungi dallo sviluppare una critica radicale e conseguente, ha dato vita ad un
esteso movimento di protesta che con strumenti diversi (la manifestazione del
dissenso, l'azione non-violenta, la preghiera, la disobbedienza civile, il
consumo critico, la valorizzazione dell'ONU, il commercio solidale, etc.) ha
chiesto più o meno con forza ai G8 una "globalizzazione dei diritti",
ricevendo come eloquente risposta manganellate a non finire.
Questo modo di intendere l'opposizione al neoliberismo ha determinato la
spettacolarizzazione del conflitto quale "messa in scena dello scontro e
rapporto contrattuale nella gestione della piazza con la polizia" che, come
segnala Benedetto Vecchi (Il Manifesto, 3 agosto 2001), a Genova è
andata in pezzi. Su questa più che palese verità Casarini ammette
autocriticamente che "nella gestione del controvertice ho un sacco di cose da
rimproverarmi. La dichiarazione di guerra, per esempio, l'avrei spiegata
meglio" (Corriere della Sera, 6 agosto 2001) e che "c'è stato un peccato
di presunzione: pensavamo che il Genoa Social Forum potesse rappresentare tutta
la protesta" (la Repubblica, 3 agosto 2001); ma sulla tendenza a concordare
persino il livello dello scontro con i responsabili dell'ordine pubblico
preferisce glissare; eppure è la stessa Luana Zanella, parlamentare
verde vicina ai "disobbedienti", ad ammettere che "non c'era nessun attacco da
gestire: c'era da concordare un segnale simbolico per le Tute Bianche,
bastavano cinque centimetri di Zona Rossa... ma non è stato possibile
contrattare nulla (...) la pratica delle Tute Bianche gioca proprio sulla
rappresentazione di uno scontro che in realtà non si fa, sulla conquista
alla disobbedienza civile delle tentazioni violente" (Il Manifesto, 22 luglio
2001).
Tutto questo, alla luce dei fatti ma anche prima, non può non turbare e
suscitare interrogativi: come si può dichiarare guerra ai potenti del
mondo, sperando di poter tranquillamente rappresentare uno scenario di
contrapposizione radicale e di poter recitare la parte di prime donne
dell'antagonismo, senza mettere in conto che Genova si apprestava ad essere il
palcoscenico ideale per il dominio e le sue truppe?
Nonostante i fiumi d'inchiostro versati sulla cattiveria dell'Impero, erano
necessari l'assassinio in diretta di Carlo Giuliani e le rappresaglie in stile
nazista per comprendere, come adesso scopre Casarini, che tale
politica-spettacolo è "inadeguata a fronteggiare la logica imperiale che
ci troviamo di fronte, dove la politica è la continuazione della guerra"
(Il Manifesto, 3 agosto 2001) e che quanto "accaduto a Genova, dopo Goteborg,
risponde a una logica sovranazionale, quella di criminalizzare il movimento"
(Il Gazzettino, 4 agosto 2001)?
Da qui la necessità e l'urgenza di sviluppare una critica radicale del
capitalismo e dell'ordine statuale che non giochi le sue carte sulla
disobbedienza prevista e nella rivolta annunciata ad uso e consumo di
giornalisti assetati di sangue, di politicanti vecchi e nuovi, di registi in
cerca di emozioni forti; una critica radicale quotidiana che non insegue il
circo del capitale ma affonda le sue radici nella divisione in classi della
società e nella vita alienata che questa produce. E a fianco di questa
critica gli antiautoritari continueranno ad essere attivi fautori di una
sovversione sociale e culturale, violenta solo se necessario e non-violenta
quando e se possibile, che nell'azione di sorpresa e nell'organizzazione senza
uniforme abbia la possibilità anche di non essere controllata e
sconfitta dal potere, perché come ha sensatamente osservato Oreste
Scalzone dalla Francia, "il sangue non è pomodoro, o simulazione
virtuale di pomodoro".
È sangue del nostro sangue.
KAS
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