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Da "Umanità Nova" n.30 del 9 settembre 2001
Profughi afgani
Il valzer dell'ipocrisia
E così abbiamo scoperto che al mondo la più
piccola repubblica si trova in un isoletta del pacifico dall'avventuriero nome
di Nauro. E che questa isoletta, di appena qualche migliaio di abitanti,
è stata designata dalla più grande isola del mondo (al punto da
essere geograficamente definita un continente) ad essere terra ospitante per
310 disperati - degli stimati 460 profughi -che per più di una settimana
sono stati in balia delle onde oceaniche sulla nave norvegese Tampa, a soli 350
chilometri dall'isola indonesiana di Java. E che - rifatti per l'ennesima volta
i calcoli - il primo ministro neozelandese, la signora Helen Clark, ha
dichiarato che il Paese è pronto a ricevere i rimanenti 150 profughi,
tutti nuclei familiari, nel rispetto della quota annuale di ammissioni
di rifugiati.
Certo per alcuni giorni quegli uomini, quelle donne, quei bambini (in gran
parte afgani con qualche irlandese di mezzo) hanno finito per turbare le
coscienze riposate e serene della diplomazia internazionale, stupita ed
attonita nei confronti dell'intransigenza australiana che per nessuna ragione
ha voluto dimostrarsi disponibile nell'accoglierli, e pronta a "giocarseli" in
un cinico scaricabarile con la Norvegia e l'Indonesia, degne compari del
più lugubre e meschino valzer dell'ipocrisia.
Ma sono bastati appunto pochi giorni, qualche foto in prima pagina, alcune
interviste e un paio di editoriali in prima pagina, per far digerire anche
questa ennesima vergogna. Una vergogna che verrà assimilata addebitando
ad altri le proprie responsabilità, nascondendo come sempre le cause che
muovono giornalmente migliaia e migliaia di disperati a cercar migliori
possibilità per sopravvivere in un mondo che crea povertà, ma che
ugualmente la rinnega, che a parole la combatte e nei fatti l'alimenta, che
rivendica la globalizzazione del sistema economico al fine di creare occasioni
di sviluppo e che si traduce in un flusso continuo di poveri privati anche
della dignità di esserlo.
A casa propria, come da qualsiasi altra parte.
Jules Élysard
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