Da "Umanità Nova" n.30 del 9 settembre 2001
Viaggio all'inferno
Dalla Diaz a Bolzaneto
La testimonianza di un manifestante britannico
Pubblichiamo la testimonianza di Daniel McQuillan
che, assieme al suo amico Norman, si trovava alla Diaz il 21 luglio quando fece
irruzione la polizia. Il testo ci è stato spedito dal Gruppo inglese
"People not profit" che ha risposto all'appello che abbiamo fatto girare a fine
luglio. Altre testimonianze le potrete presto trovare sul sito di UN.
Dichiarazione di Daniel McQuillan
Dichiaro che questa èuna veritiera e sincera dichiarazione da me scritta
il martedì 31 luglio 2001.
Il 17 luglio 2001 ho viaggiato col mio amico Norman Blair sul volo Ryanair
FR972 da Stansted a Genova. Sono andato a Genova per unirmi alle proteste
contro l'esclusione della gente comune dalle decisioni del G8, che credo siano
basate sul profitto e sullo sfruttamento piuttosto che sulla cooperazione e sui
bisogni degli esseri umani.
Il sabato 21 luglio ho visto spezzoni grandi e pacifici di una manifestazione
legale attaccati e gassati dalla polizia. Questi avvenimenti hanno contribuito
a creare, quella sera in città , quella che io ed altri abbiamo sentito
come un'atmosfera di paura.
Stavamo alla Scuola A. Diaz, un grande e vuoto edificio scolastico di fronte al
Centro Stampa e Comunicazione del Genova Social Forum. La scuola era nascosta
da un ponteggio - credo per ristrutturarla durante le vacanze. Era usato come
una postazione per alcuni computer e come uno spazio di sosta: ci avevano detto
che era un luogo sicuro per dormire. La notte del sabato nella scuola c'era
molta gente soprattutto giovani - il pianterreno era un patchwork colorato di
sacchi a pelo e stuoie da campeggio. C'era anche un continuo, calmo ma
regolare, flusso di gente che andava e veniva per controllare la propria posta
elettronica [e-mails] sui computer liberi. Norman ed io condividevamo una
stanza al primo piano con un uomo chiamato Sam Buchanan. C'erano anche le cose
di almeno due altre persone che però non erano ancora ritornate.
Credo fosse circa l'una di notte, quando fui svegliato da un'esplosione di
rumore. Norman ha guardato fuori della finestra e ha detto che la polizia stava
caricando l'edificio. Dal fondo delle scale potevamo sentire dei vetri rompersi
e della gente gridare. Impauriti abbiamo cercato di nascondere le nostre cose
portandole fuori di vista nella speranza che la polizia non si accorgesse che
la nostra stanza era occupata. Appena i suoni della furia della polizia si sono
avvicinati ci siamo nascosti sotto uno dei tavoli sul fondo della stanza. La
polizia ha spinto la porta della nostra stanza e dopo alcuni istanti un calcio
ha aperto la porta. Sono entrati nella stanza illuminandola con una pila e
agitando i loro manganelli. C i siamo alzati con le mani alzate, e io dicevo
"Take it easy, take it easy" [State calmi] alla polizia. Li vedevo solo come
ombre perché erano illuminati da dietro, dalle luci del corridoio.
Cinque o sei poliziotti sono entrati ed il primo mi ha colpito duramente sul
lato sinistro della testa col suo bastone. Ho avuto un 'white-out' breve
(perdita di visione) e sono crollato a terra. I poliziotti hanno cominciato a
far piovere colpi su me, io mi sono girato sul lato destro e mi sono chiuso a
palla. Ho alzato il braccio sinistro alla tempia per proteggermi, appena in
tempo per deviare un altro colpo violento di manganello diretto alla mia testa.
Era un attacco frenetico. Credo di aver gridato per il dolore o la paura.
Allora hanno smesso e sono usciti dalla stanza. Gli ultimi due si sono fermati
sulla soglia dove c'era una pila di stipiti di porte di legno, ed in un ultimo
gesto vendicativo hanno gettato alcuni di questi stipiti su di noi.
Altri agenti sono entrati e ci hanno trascinati per i piedi. Siamo stati
raggruppati giù per le scale alla presenza di altri poliziotti con i
giubbotti antiproiettile; ho ricevuto almeno un altro colpo alla testa mentre
scendevo le scale, sebbene già sanguinassi abbondantemente da una ferita
al capo. Siamo stati portati nella stanza principale giù dalle scale e
ci hanno fatto inginocchiare faccia giù sul pavimento con le mani tese
di fronte a noi. Ho visto il sangue che usciva dalla mia testa e formava una
pozza di fronte a me.
Dopo qualche tempo ci hanno detto di sederci con la schiena contro i muri della
stanza. Era come una scena del tempo di guerra o il momento successivo
all'esplosione di una bomba. C'erano forse trenta o quaranta persone ferite
sedute appoggiate ai muri, molte di loro sanguinanti o visibilmente ferite. Una
giovane è stata portata nella stanza dalla polizia: era scura di capelli
e di costituzione snella, ed evidentemente spaventata e confusa. Due poliziotti
le urlavano qualcosa in italiano che lei sembrava non capire, ed allora uno
della polizia le ha colpito violentemente il polso che lei teneva alzato e l'ha
spinta, piangente, in un angolo. Molti della polizia era in vestiti civili
sotto i loro giubbetti ed caschi, ed avrebbero potuto passare facilmente per
dimostranti: in qualche modo questo fatto li rendeva ancora più
spaventosi. Alcuni portavano fazzoletti sulle facce per mascherare le loro
identità, e particolarmente ricordo un poliziotto scuro di carnagione
con un lunga coda di cavallo nera.
Cercavo di fermare il flusso di sangue dalla mia testa e Norman ha bisbigliato
"Oh merda Dan sei conciato male, sei OK?" mi ha stretto la mia mano libera e mi
ha detto di non preoccuparmi, che qualunque cosa sarebbe accaduta non mi
avrebbe lasciato, che avrebbe fatto in modo di rimanere insieme. Portavo
pantaloncini ed una camicia a maniche corte e leggera, tutte e due bagnate
fradice del mio sangue, e cominciavo a tremare. Accanto a noi c'era un uomo
svenuto assistito dalla sua ragazza, mentre un'altra gli teneva le gambe alte
in una specie di posizione di riposo. Il suo corpo si scuoteva spasmodicamente
ed avevo paura che morisse.
All'altro lato della stanza la polizia cercava in un grande mucchio di cose
della gente. Laceravano borse e borsellini e spargevano i loro contenuti,
lasciando vestiti e documenti dappertutto dove venivano calpestati da altri
poliziotti che entravano e uscivano dalla stanza. Durante questo tempo ho visto
almeno una persona anziana e ben vestita entrare ed osservare l'operazione,
conversare con due ufficiali con i manganelli prima di andarsene.
Ad un certo punto un paio di infermieri sono entrati nella stanza e hanno
cominciato a medicare le ferite. Versavano un liquido frizzante sulle ferite e
mettevano le prime bende. Allora sono arrivati molti equipaggi di ambulanze con
le divise arancioni e hanno cominciato a caricare gente sulle barelle. Sia il
personale paramedico che gli equipaggi delle ambulanze sembravano molto
agitati. Ho visto il personale delle ambulanze lacerare cartoni delle risme di
carta A4 per utilizzarli come materiale per assicelle. Sono stato caricato su
una lettiga a rotelle e portato fuori della stanza, accompagnato da Norman.
Più o meno sulla porta dell'edificio siamo stati fisicamente bloccati da
un ufficiale munito di casco che ha avuto un violento alterco con la donna
dell'ambulanza che stava spingendo la barella. Mi ha detto "Spiacente devo
dargli questo" e mi ha tolto il marsupio, che conteneva il mio passaporto, la
mia carta di credito, soldi in contanti tra moneta italiana e inglese per circa
500 sterline, e le mie lenti del contatto, e l'ha dato al poliziotto. Nessuno
da allora ha ammesso di sapere qualcosa di dove questa borsa o il suo contenuto
siano finiti. Nella strada fuori ricordo cordoni di poliziotti, lampi di
macchine fotografiche ed un ripetuto grido di "assassino!" (in italiano nel
testo) dall'edificio di fronte. Ricordo una donna gridare in inglese "non
dimenticheremo questo!"
Siamo stati portati da un'ambulanza all'ospedale Galliera, che è da
qualche parte a Genova. Sono stato visitato e messo in coda per raggi X insieme
con molti altri venuti dalla A. Diaz. Dopo aver fatto i raggi X, un ufficiale
in abiti civili, che dichiarato di lavorare all'ospedale, ha preso il mio nome
e la mia data di nascita. Il personale medico mi ha diagnosticato una frattura
al polso sinistro ma nessuna frattura del cranio. Anche il mio piede era stato
picchiato e zoppicavo. Il mio braccio è stato ingessato e la mia ferita
alla testa è stata suturata. Mi hanno consegnato una busta con le mie
radiografie ed una fotocopia della mia diagnosi. Perché rabbrividivo mi
hanno dato un vecchio sacco a pelo per scaldarmi. Il personale dell'ospedale
era visibilmente più gentile quando non c'era nessun poliziotto presente
nella stanza. Mentre ero nell'ascensore per sottopormi all'esame radiografico
una delle infermiere mi ha detto in inglese stentato qualcosa come "Questa non
è Genova, noi non facciamo queste cose".
Un gruppo di dieci di noi è stato dimesso dall'ospedale e messo sotto
scorta in un furgone dei Carabinieri. Siamo stati portati via in un convoglio
della polizia, che ha attraversato la zona rossa, deserta. Ad un certo punto ho
visto molto distintamente nel porto le lussuose navi da crociera dove erano
sistemate le delegazioni del G8. Risplendevano di luci brillanti. Il convoglio
mi sembra abbia lasciato la zona rossa al suo limite occidentale e presto siamo
arrivati in una specie di campo della polizia in un luogo che credo sia
chiamato Genova-Bolzaneto.
Al campo siamo stati fatti stare in piedi di fronte al filo di recinzione. Un
poliziotto ha disegnato croci sulle nostre guance con una specie di
evidenziatore blu. Ci hanno chiesto il nome e la nazionalità. Tutti i
poliziotti portavano uniformi da ordine pubblico. All'alba siamo stati portati
in un edificio dove siamo dovuti stare in piedi a gambe larghe contro il muro
mentre venivamo perquisiti. Un poliziotto mi ha dato un calcio maligno sulla
caviglia che zoppicava. I nostri restanti beni personali ci sono stati tolti e
inseriti in buste - nella mia c'erano solo le stringhe delle scarpe. Siamo
stati portati giù per un corridoio con le braccia dietro al collo, quasi
piegati in due da un poliziotto che ci premeva sulla testa, e spinti in una
cella. Era di 20 piedi per 20 piedi, con una porta sbarrata e con una grande
finestra chiusa da sbarre circa a metà del muro di fronte.
Siamo stati fatti restare in piedi contro il muro, a gambe aperte e mani alte
sulla testa appoggiate al muro. Per me questo era molto doloroso a causa del
mio polso rotto. Ogni tentativo di abbassare le braccia era bloccato con dalle
minacce gridate dai poliziotti messi dietro a noi. Questo è continuato
per molto tempo. Altri gruppi di poliziotti raggruppati fuori dalla finestra
gridavano quello che mi sembravano essere altre minacce. Ho riconosciuto solo
alcune parole, come "comunisti!" e "intellettuali di merda!". Stavo in piedi
vicino la finestra e sono stato colpito due volte sulla faccia, ma non ho
reagito e ho tenuto gli occhi bassi.
Alla fine ci hanno permesso di sederci. C'erano forse venticinque persone nella
stanza, molti con bende e gessi. Il pavimento di pietra era gelato e io
rabbrividivo incontrollabilmente. A questo punto non avevamo nessuna coperta,
così qualcuno di noi condivideva il sacco a pelo come unica fonte di
calore. Tutti tentativi di domandare alle guardie qualcosa della nostra
situazione sono stati respinti da un rifiuto asciutto. Dopo di che hanno
cominciato a permetterci di andare uno alla volta in bagno. Quando è
arrivato il mio turno sono stato portato a testa bassa per il corridoio fino
alla toilette. Quando sono venuto fuori dal bagno un altro poliziotto, con un
abito di fatica grigio, ha gettato un contenitore di acqua fredda su di me
così da infradiciare la mia camicia e i miei pantaloncini. Stare seduto
freddo e bagnato nella cella ha aumentato il mio brivido incontrollabile. Credo
che oltre che gelato ed impaurito, soffrissi per gli effetti del colpo e della
perdita di sangue.
Faccio fatica a ricordare la sequenza esatta degli eventi nella cella. A
intervalli irregolari gruppi di poliziotti entravano nella cella con un elenco
di nomi - dovevamo saltare in piedi quando il nostro nome veniva chiamato e
rispondere dicendo anche la nostra nazionalità e data di nascita. Altri
poliziotti continuavano a venire alla finestra esterna e a gridare
minacciosamente. Siamo stati costretti ad un altra sessione di posizione da
perquisizione, che è durata, credo, un'ora o più.
Intanto cercavamo di dormire, sdraiati sulla pietra o appoggiati ai muri. Fino
a quel momento nessun poliziotto ci aveva spiegato qualche cosa della nostra
situazione - se eravamo stati arrestati, in tal caso per che motivo, o di
qualunque procedimento legale. Chiaramente la polizia era certa di poter fare
quello che voleva, senza riguardo per la legge o il diritto, e senza pericolo
di essere chiamata a renderne conto. Sembrava che fossimo "scomparsi" - rapiti
da una polizia violenta e paramilitare e portati in un campo dove eravamo
completamente alla loro mercé e fuori dal mondo. Durante il giorno siamo
stati portati ad un edificio vicino, uno o due alla volta, per essere
interrogati. Era anche questo un capannone di cemento ma con una varietà
di equipaggiamenti sofisticati sui tavoli, come computer portatili di stile
militare. Sono stato scortato in quel locale da due poliziotti in borghese con
guanti di cuoio neri. Sono stato fotografato molte volte e le mie impronte
digitali sono state prese cinque volte. Sono stato messo anche di fronte a
un'apparecchiatura attaccata a uno dei computer, che aveva lenti binoculari che
sono state dirette ai miei occhi, che ho pensato fosse una scansione della
retina per una registrazione. Mi hanno anche fatto firmare molti moduli senza
spiegarmi i loro contenuti - e le mie domande su di essi non hanno avuto
risposta.
Nel pomeriggio un poliziotto è venuto con una borsa di panini al
prosciutto. Uno dei prigionieri italiani ci ha tradotto che ci diceva di non
lamentarci di questo cibo. C'erano solo dodici panini per i quindici di noi
rimasti nella cella. Poiché molti di noi erano vegetariani abbiamo tolto
il prosciutto e cercato di dividere il pane. Questo è stato il solo cibo
che ci è stato dato finché siamo arrivati al carcere di Pavia il
pomeriggio seguente (36 ore dopo l'arresto).
Al calar della sera l'atmosfera è diventata molto tesa. Tutti gli agenti
in borghese erano scomparsi e siamo stati lasciati con quelli in divisa da
ordine pubblico. C'erano suoni strani dal corridoio: voci, colpi e rumori di
cose rotte. Un po' di gente è stata tolta dalla cella e non è
ritornata. Avevo la sensazione di essere stato trasportato in un altro
continente: appena ho visto le guardie portar fuori gente, immagini di Pinochet
e del Cile sono balenate nella mia mente. Siamo stati portati in un'altra
stanza dove di nuovo siamo dovuti stare in piedi contro il muro con braccia e
gambe larghe. Ho sentito un colpo ed un prigioniero vicino a me ha gridato (ora
so che è stato colpito alla testa). Sentivamo quello che sembrava il
rumore di gente picchiata. Norman era stato uno dei primi ad uscire dalla
cella, ed un attimo più tardi ho sentito Norman gridare dal dolore. (Ora
so che è stato colpito da una guardia durante la perquisizione). La
porta della cella di fronte era stata coperta da coperte e noi non potevamo
vedere chi era portato dentro e fuori di lì. Ero sicuro che saremmo
stati interrogati e che ci avrebbero fatto firmare asserzioni false, per dare
alla polizia qualche scusa per le sue azioni violente. Ho avuto una
conversazione bisbigliata con un prigioniero tedesco vicino a me con cui ci
siamo scambiati consigli su come resistere meglio ai colpi. In quel momento mi
sono sentito molto debole per la mancanza di cibo e sonno.
Sono stato preso dalla cella e interrogato dalla polizia penitenziaria in una
delle stanze laterali - mi hanno perquisito, fotografato, preso le impronte
digitali... Mentre stavo ritornando alla cella due dei poliziotti nelle
uniformi grigie, a gesti, mi hanno invitato ad entrare in un'altra stanza.
Avevano le maniche arrotolate e portavano i guanti pesanti degli scontri. Ma un
ufficiale superiore dietro a me ha detto qualche cosa come "No, non
identificato," (in italiano nel testo) e sono stato riportato alla cella dove
abbiamo aspettato fino a alba. Norman non è ritornato in cella ed ero
molto preoccupato per lui.
Di mattina siamo stati ammanettati a coppie e portati fuori del campo in un
cellulare fino ad un posto che ora so essere il carcere di Pavia. Ci hanno dato
una borsa di plastica ciascuno con un paio di panini ed un pezzo di frutta.
Siamo stati identificati, ci hanno dato un paio di lenzuola ed un asciugamano e
portati nelle celle. Finalmente eravamo parte di un processo giudiziario
ufficiale e fuori delle mani della polizia paramilitare. Era un sollievo.
Comunque, anche le guardie carcerarie hanno rifiutato le nostre richieste di
contattare il mondo esterno. Non c'era ancora stato nessun chiarimento della
nostra situazione, semplici voci fra i prigionieri di quanto a lungo potevamo
essere tenuti giuridicamente senza possibilità di comunicare. I miei
sentimenti, passavano dal sollievo alla frustrazione.
Il secondo giorno sono stato messo in una cella con Norman. Era grande vederlo
di nuovo. La nostra esperienza della prigione era la difficoltà di
ottenere qualsiasi chiarimento o quanto ci spettava di diritto - quella notte
mi hanno negato delle lenzuola senza ragione. Era anche una lotta ottenere cibo
vegetariano. Avevo un po' di problemi con i miei occhi perché portavo lo
stesso paio di lenti a contatto dal mio arresto. Benché fossero lenti
giornaliere, sono pericolose da portare per più di un giorno
perché possono aderire alla superficie dell'occhio, ma non avevo osato
rimuoverle perché mi sono sentito fisicamente in pericolo e volevo poter
vedere quello che succedeva intorno a me.
Tutto noi insistevamo sul nostro diritto di vedere un avvocato ma inutilmente.
A mezzogiorno del martedì ho ricevuto sei telegrammi dalla famiglia e
dagli amici, portati malvolentieri da un ufficiale della prigione. Quello
è stato un punto di svolta: sapere che la gente sapeva di noi e fuori
c'era qualcuno che lavorava per noi. Più tardi quel pomeriggio sono
stato portato ad incontrare Gilberto Pagani, l'avvocato che la mia famiglia
aveva nominato per me. Credo di essere stato il primo prigioniero ad ottenere
una visita legale, e forse il solo che ha visto un avvocato prima di essere
interrogato dal giudice. Mi ha spiegato che saremmo stati portati di fronte ad
un magistrato che avrebbe verificato la correttezza del nostro arresto.
Gilberto mi ha riempito di speranza che l'ingiustizia del nostro arresto
sarebbe stata riconosciuta. Mi ha anche detto delle dimostrazioni di
solidarietà a Milano ed in altre città italiane che mi hanno dato
ancora più speranza. Più tardi nel cortile per l'aria ho
descritto agli altri la visita di Gilberto, e ci siamo tutti convinti che prima
avessimo incontrato un giudice meglio sarebbe stato.
Il giorno dopo siamo stati tenuti in gruppi nelle celle in attesa di vedere il
magistrato. Cinque minuti prima di portarci nelle celle gli ufficiali della
prigione hanno consegnato nuove magliette per tutti noi. Mi sono rifiutato di
cambiarmi e ho tenuto la mia maglietta insanguinata per non consentirgli di
nascondere il modo in cui mi avevano trattato. Nelle celle potevo verificare i
danni che la gente aveva subito. Nella nostra cella c'erano dieci persone,
avevamo una gamba rotta (frattura multipla), tre polsi o braccia rotti, sette
teste ferite con necessità di punti, un naso rotto, danni facciali, e
due persone la cui schiene erano letteralmente nere di lividi. Uno dei tedeschi
mi ha detto che mentre erano sdraiati a terra nella scuola, dopo essere stati
colpiti, i poliziotti avevano spruzzato il gas CS sulle loro ferite e sulle
loro facce.
Ci hanno consegnato il verbale con le accuse solo 5 minuti prima di vedere il
giudice. Era in italiano e noi non avevamo la traduzione, benché fossimo
chiaramente accusati come un gruppo e ci fosse un elenco di cose che la polizia
dichiarava di avere trovato nella scuola. Potevo vedere che un articolo era un
T-shirt con la scritta "Ferma la Violenza della Polizia"- chiaramente chiunque
aveva scritto il verbale delle accuse non aveva un minimo di ironia. Altri
articoli pericolosi come floppy-disk erano nell'elenco, così come alcuni
articoli di abbigliamento neri. Il magistrato mi ha domandato se ero un membro
di qualche organizzazione (ho risposto "di un sindacato"), se avevo visto
qualcuno del cosìddetto Blocco Nero nella scuola (nessuno) o se avevo
visto qualche bottiglia Molotov nella scuola (di nuovo, nessuna). Allora mi ha
chiesto di descrivere il mio arresto. Dopo alcuni minuti della mia descrizione
ha alzato le mani e ha detto qualche cosa di simile a "non confirmato, non
confirmato" (in italiano nel testo) che mi è stato tradotto come arresto
non giuridicamente corretto. Mi ha anche detto che ero libero di andare. Sono
stato riportato alla mia cella dalle guardie.
Alcune ore più tardi mi hanno ridato i miei lacci delle scarpe e il
sacco a pelo e mi hanno portato fuori dalla prigione con un gruppo di cinque
tedeschi ed un detenuto spagnolo. Quando siamo usciti dal portone principale
siamo stati affrontati da un gruppo di poliziotti in uniforme che ha insistito
che salissimo su un furgone della polizia - la donna al comando ci ha detto che
saremmo andati in macchina al confine italiano. Cento metri più in
là sulla strada potevamo vedere un gruppo dei nostri sostenitori di
fronte ai cancelli della prigione. Abbiamo insistito che eravamo liberi andare
e questo ha reso la polizia molto agitata. Abbiamo notato anche quattro
ufficiali in borghese. Mentre discutevamo con i poliziotti in uniforme questi
poliziotti in borghese si sono messi tra noi ed il cancello e hanno indossato i
guanti di cuoio. Ci hanno detto che eravamo soggetti ad un ordine di
deportazione. Alla fine siamo saliti sul furgone e siamo andati alla sede
centrale della polizia di Pavia.
Lì in una piccola stanza siamo stati sorvegliati da un gruppo di
Carabinieri. Dovevamo chiedere il permesso per andare alla toilette. Malgrado
ci avessero dichiarati liberi eravamo evidentemente prigionieri. Comunque,
c'erano alcuni volontari veramente in gamba del Genova Social Forum locale che
ci hanno portato cibo e schede del telefono. Uno di loro mi ha anche dato una
T-shirt, per quale gli sono molto grato. Potevamo vedere i nostri sostenitori e
i media fuori della sede ma non potevamo parlare con loro.
I nostri avvocati erano alla stazione di polizia per fare opposizione legale
alla nostra deportazione. I consoli tedesco e spagnolo sono arrivati per
parlare con i loro connazionali. Qualche tempo dopo anche lo staff consolare
inglese è arrivato alla polizia. Erano amichevoli e ci hanno aiutato a
spostarci dalla stanza isolata all'area principale dove si trovavano altri
detenuti. Comunque, nessun addetto del consolato ha mai tentato di interrogarmi
o di farsi rilasciare una qualche dichiarazione.
La scontro legale è proseguito per tutta la notte. Quando abbiamo
domandato alle autorità come avremmo potuto recuperare le nostre cose,
abbandonate nella scuola, non c'è stata nessuna risposta. Avevo lasciato
il mio zaino, dei vestiti ed un telefonino, ma alcuni degli altri avevano
lasciato a Genova macchine e furgoni. Mi sono sentito veramente male quando ho
saputo che uno dei tedeschi che aveva avuto la ragazza ferita nel l'attacco
alla scuola sarebbe stato deportato senza neppure poterla vedere e lei era
ancora in ospedale a Genova.
Ci hanno consegnato il nostro foglio di via, che diceva che per cinque anni non
avremmo potuto rientrare in Italia, perché eravamo "un pericolo per
l'ordine pubblico e la sicurezza". Dato che più di 60 dei 93 arrestati
alla scuola avevano ferite serie tali da richiedere un intervento in ospedale,
credo che il solo pericolo che potevamo rappresentare era l'evidenza del
brutale e repressivo intervento della polizia. Siamo stati portati fuori del
posto in una vettura della polizia sotto scorta. Erano le 4 del mattino ma
nonostante l'ora ad attenderci c'era una folla di persone del luogo che voleva
salutarci e dimostrarci solidarietà. All'aeroporto siamo stati scaricati
all'ingresso principale, e la polizia ha formato una sorta di linea di guardia
all'ingresso. Dopo alcuni giri intorno ci hanno detto che era nostra
responsabilità quella di deportarci, ma che chi non l'avesse fatto
sarebbe stato riarrestato. Quando ho domandato come potevo deportarmi quando la
polizia mi aveva preso e tenuto i miei soldi e il mio passaporto nessuno mi ha
dato una risposta utile. Lo staff consolare ha assistito Norman e me per
comprare un biglietto per un volo della British Airways per Heathrow - ma
comunque, abbiamo dovuto pagarli noi con la carta di credito di Norman. Sul
volo mi sono agitato perché con i miei vestiti macchiati di sangue e
sudore puzzavo. Infatti al di là del cambio di maglietta avevo gli
stessi vestiti con cui ero stato arrestato. Una hostess gentile mi ha dato una
bottiglietta di dopobarba così ho potuto coprire l'odore e ho potuto
incontrare i miei genitori e la ragazza con più tranquillità.
La polizia alla prigione ha rifiutato di darmi la mia cartella clinica quando
sono stato rilasciato. In Gran Bretagna sono stato visitato in ospedale per
avere della documentazione da poter usare contro le autorità
responsabili.
Uno degli slogan del Genova Social Forum era "Un altro mondo è
possibile" cioè un mondo basato sulla giustizia e l'armonia piuttosto
che su profitto e sfruttamento. Comunque, durante la mia prigionia ho avuto una
grande paura per l'Italia e per il resto dell'Europa: la paura che è
possibile anche un altro mondo più buio, un ritorno al fascismo. Ho
visto che sacche di questo mondo esistono nello stato italiano. Quanto lontano
gli permetteremo di arrivare?
Credo che ci sia stato un tentativo sistematico di intimidirmi, brutalizzarmi e
imprigionarmi. Ma un effetto inaspettato è stato uno sviluppo enorme di
sostegno e cura da parte di amici ed estranei, per me, per la mia famiglia ed
gli altri detenuti. Molti hanno detto che questo episodio li ha svegliati e gli
ha mostrato fino a che punto le cose sono peggiorate. C'è una forte
volontà di opporsi all'ingiustizia globale. Malgrado abbia avuto una
esperienza dolorosa e paurosa mi sento inspirato e fortificato pronto ad
alzarmi in piedi per avere un mondo migliore.
Dan McQuillan, 31 luglio 2001, trad. di Rosaria
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