unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.30 del 9 settembre 2001

Viaggio all'inferno
Dalla Diaz a Bolzaneto
La testimonianza di un manifestante britannico

Pubblichiamo la testimonianza di Daniel McQuillan che, assieme al suo amico Norman, si trovava alla Diaz il 21 luglio quando fece irruzione la polizia. Il testo ci è stato spedito dal Gruppo inglese "People not profit" che ha risposto all'appello che abbiamo fatto girare a fine luglio. Altre testimonianze le potrete presto trovare sul sito di UN.


Dichiarazione di Daniel McQuillan

Dichiaro che questa èuna veritiera e sincera dichiarazione da me scritta il martedì 31 luglio 2001.

Il 17 luglio 2001 ho viaggiato col mio amico Norman Blair sul volo Ryanair FR972 da Stansted a Genova. Sono andato a Genova per unirmi alle proteste contro l'esclusione della gente comune dalle decisioni del G8, che credo siano basate sul profitto e sullo sfruttamento piuttosto che sulla cooperazione e sui bisogni degli esseri umani.

Il sabato 21 luglio ho visto spezzoni grandi e pacifici di una manifestazione legale attaccati e gassati dalla polizia. Questi avvenimenti hanno contribuito a creare, quella sera in città , quella che io ed altri abbiamo sentito come un'atmosfera di paura.

Stavamo alla Scuola A. Diaz, un grande e vuoto edificio scolastico di fronte al Centro Stampa e Comunicazione del Genova Social Forum. La scuola era nascosta da un ponteggio - credo per ristrutturarla durante le vacanze. Era usato come una postazione per alcuni computer e come uno spazio di sosta: ci avevano detto che era un luogo sicuro per dormire. La notte del sabato nella scuola c'era molta gente soprattutto giovani - il pianterreno era un patchwork colorato di sacchi a pelo e stuoie da campeggio. C'era anche un continuo, calmo ma regolare, flusso di gente che andava e veniva per controllare la propria posta elettronica [e-mails] sui computer liberi. Norman ed io condividevamo una stanza al primo piano con un uomo chiamato Sam Buchanan. C'erano anche le cose di almeno due altre persone che però non erano ancora ritornate.

Credo fosse circa l'una di notte, quando fui svegliato da un'esplosione di rumore. Norman ha guardato fuori della finestra e ha detto che la polizia stava caricando l'edificio. Dal fondo delle scale potevamo sentire dei vetri rompersi e della gente gridare. Impauriti abbiamo cercato di nascondere le nostre cose portandole fuori di vista nella speranza che la polizia non si accorgesse che la nostra stanza era occupata. Appena i suoni della furia della polizia si sono avvicinati ci siamo nascosti sotto uno dei tavoli sul fondo della stanza. La polizia ha spinto la porta della nostra stanza e dopo alcuni istanti un calcio ha aperto la porta. Sono entrati nella stanza illuminandola con una pila e agitando i loro manganelli. C i siamo alzati con le mani alzate, e io dicevo "Take it easy, take it easy" [State calmi] alla polizia. Li vedevo solo come ombre perché erano illuminati da dietro, dalle luci del corridoio. Cinque o sei poliziotti sono entrati ed il primo mi ha colpito duramente sul lato sinistro della testa col suo bastone. Ho avuto un 'white-out' breve (perdita di visione) e sono crollato a terra. I poliziotti hanno cominciato a far piovere colpi su me, io mi sono girato sul lato destro e mi sono chiuso a palla. Ho alzato il braccio sinistro alla tempia per proteggermi, appena in tempo per deviare un altro colpo violento di manganello diretto alla mia testa. Era un attacco frenetico. Credo di aver gridato per il dolore o la paura. Allora hanno smesso e sono usciti dalla stanza. Gli ultimi due si sono fermati sulla soglia dove c'era una pila di stipiti di porte di legno, ed in un ultimo gesto vendicativo hanno gettato alcuni di questi stipiti su di noi.

Altri agenti sono entrati e ci hanno trascinati per i piedi. Siamo stati raggruppati giù per le scale alla presenza di altri poliziotti con i giubbotti antiproiettile; ho ricevuto almeno un altro colpo alla testa mentre scendevo le scale, sebbene già sanguinassi abbondantemente da una ferita al capo. Siamo stati portati nella stanza principale giù dalle scale e ci hanno fatto inginocchiare faccia giù sul pavimento con le mani tese di fronte a noi. Ho visto il sangue che usciva dalla mia testa e formava una pozza di fronte a me.

Dopo qualche tempo ci hanno detto di sederci con la schiena contro i muri della stanza. Era come una scena del tempo di guerra o il momento successivo all'esplosione di una bomba. C'erano forse trenta o quaranta persone ferite sedute appoggiate ai muri, molte di loro sanguinanti o visibilmente ferite. Una giovane è stata portata nella stanza dalla polizia: era scura di capelli e di costituzione snella, ed evidentemente spaventata e confusa. Due poliziotti le urlavano qualcosa in italiano che lei sembrava non capire, ed allora uno della polizia le ha colpito violentemente il polso che lei teneva alzato e l'ha spinta, piangente, in un angolo. Molti della polizia era in vestiti civili sotto i loro giubbetti ed caschi, ed avrebbero potuto passare facilmente per dimostranti: in qualche modo questo fatto li rendeva ancora più spaventosi. Alcuni portavano fazzoletti sulle facce per mascherare le loro identità, e particolarmente ricordo un poliziotto scuro di carnagione con un lunga coda di cavallo nera.

Cercavo di fermare il flusso di sangue dalla mia testa e Norman ha bisbigliato "Oh merda Dan sei conciato male, sei OK?" mi ha stretto la mia mano libera e mi ha detto di non preoccuparmi, che qualunque cosa sarebbe accaduta non mi avrebbe lasciato, che avrebbe fatto in modo di rimanere insieme. Portavo pantaloncini ed una camicia a maniche corte e leggera, tutte e due bagnate fradice del mio sangue, e cominciavo a tremare. Accanto a noi c'era un uomo svenuto assistito dalla sua ragazza, mentre un'altra gli teneva le gambe alte in una specie di posizione di riposo. Il suo corpo si scuoteva spasmodicamente ed avevo paura che morisse.

All'altro lato della stanza la polizia cercava in un grande mucchio di cose della gente. Laceravano borse e borsellini e spargevano i loro contenuti, lasciando vestiti e documenti dappertutto dove venivano calpestati da altri poliziotti che entravano e uscivano dalla stanza. Durante questo tempo ho visto almeno una persona anziana e ben vestita entrare ed osservare l'operazione, conversare con due ufficiali con i manganelli prima di andarsene.

Ad un certo punto un paio di infermieri sono entrati nella stanza e hanno cominciato a medicare le ferite. Versavano un liquido frizzante sulle ferite e mettevano le prime bende. Allora sono arrivati molti equipaggi di ambulanze con le divise arancioni e hanno cominciato a caricare gente sulle barelle. Sia il personale paramedico che gli equipaggi delle ambulanze sembravano molto agitati. Ho visto il personale delle ambulanze lacerare cartoni delle risme di carta A4 per utilizzarli come materiale per assicelle. Sono stato caricato su una lettiga a rotelle e portato fuori della stanza, accompagnato da Norman. Più o meno sulla porta dell'edificio siamo stati fisicamente bloccati da un ufficiale munito di casco che ha avuto un violento alterco con la donna dell'ambulanza che stava spingendo la barella. Mi ha detto "Spiacente devo dargli questo" e mi ha tolto il marsupio, che conteneva il mio passaporto, la mia carta di credito, soldi in contanti tra moneta italiana e inglese per circa 500 sterline, e le mie lenti del contatto, e l'ha dato al poliziotto. Nessuno da allora ha ammesso di sapere qualcosa di dove questa borsa o il suo contenuto siano finiti. Nella strada fuori ricordo cordoni di poliziotti, lampi di macchine fotografiche ed un ripetuto grido di "assassino!" (in italiano nel testo) dall'edificio di fronte. Ricordo una donna gridare in inglese "non dimenticheremo questo!"

Siamo stati portati da un'ambulanza all'ospedale Galliera, che è da qualche parte a Genova. Sono stato visitato e messo in coda per raggi X insieme con molti altri venuti dalla A. Diaz. Dopo aver fatto i raggi X, un ufficiale in abiti civili, che dichiarato di lavorare all'ospedale, ha preso il mio nome e la mia data di nascita. Il personale medico mi ha diagnosticato una frattura al polso sinistro ma nessuna frattura del cranio. Anche il mio piede era stato picchiato e zoppicavo. Il mio braccio è stato ingessato e la mia ferita alla testa è stata suturata. Mi hanno consegnato una busta con le mie radiografie ed una fotocopia della mia diagnosi. Perché rabbrividivo mi hanno dato un vecchio sacco a pelo per scaldarmi. Il personale dell'ospedale era visibilmente più gentile quando non c'era nessun poliziotto presente nella stanza. Mentre ero nell'ascensore per sottopormi all'esame radiografico una delle infermiere mi ha detto in inglese stentato qualcosa come "Questa non è Genova, noi non facciamo queste cose".

Un gruppo di dieci di noi è stato dimesso dall'ospedale e messo sotto scorta in un furgone dei Carabinieri. Siamo stati portati via in un convoglio della polizia, che ha attraversato la zona rossa, deserta. Ad un certo punto ho visto molto distintamente nel porto le lussuose navi da crociera dove erano sistemate le delegazioni del G8. Risplendevano di luci brillanti. Il convoglio mi sembra abbia lasciato la zona rossa al suo limite occidentale e presto siamo arrivati in una specie di campo della polizia in un luogo che credo sia chiamato Genova-Bolzaneto.

Al campo siamo stati fatti stare in piedi di fronte al filo di recinzione. Un poliziotto ha disegnato croci sulle nostre guance con una specie di evidenziatore blu. Ci hanno chiesto il nome e la nazionalità. Tutti i poliziotti portavano uniformi da ordine pubblico. All'alba siamo stati portati in un edificio dove siamo dovuti stare in piedi a gambe larghe contro il muro mentre venivamo perquisiti. Un poliziotto mi ha dato un calcio maligno sulla caviglia che zoppicava. I nostri restanti beni personali ci sono stati tolti e inseriti in buste - nella mia c'erano solo le stringhe delle scarpe. Siamo stati portati giù per un corridoio con le braccia dietro al collo, quasi piegati in due da un poliziotto che ci premeva sulla testa, e spinti in una cella. Era di 20 piedi per 20 piedi, con una porta sbarrata e con una grande finestra chiusa da sbarre circa a metà del muro di fronte.

Siamo stati fatti restare in piedi contro il muro, a gambe aperte e mani alte sulla testa appoggiate al muro. Per me questo era molto doloroso a causa del mio polso rotto. Ogni tentativo di abbassare le braccia era bloccato con dalle minacce gridate dai poliziotti messi dietro a noi. Questo è continuato per molto tempo. Altri gruppi di poliziotti raggruppati fuori dalla finestra gridavano quello che mi sembravano essere altre minacce. Ho riconosciuto solo alcune parole, come "comunisti!" e "intellettuali di merda!". Stavo in piedi vicino la finestra e sono stato colpito due volte sulla faccia, ma non ho reagito e ho tenuto gli occhi bassi.

Alla fine ci hanno permesso di sederci. C'erano forse venticinque persone nella stanza, molti con bende e gessi. Il pavimento di pietra era gelato e io rabbrividivo incontrollabilmente. A questo punto non avevamo nessuna coperta, così qualcuno di noi condivideva il sacco a pelo come unica fonte di calore. Tutti tentativi di domandare alle guardie qualcosa della nostra situazione sono stati respinti da un rifiuto asciutto. Dopo di che hanno cominciato a permetterci di andare uno alla volta in bagno. Quando è arrivato il mio turno sono stato portato a testa bassa per il corridoio fino alla toilette. Quando sono venuto fuori dal bagno un altro poliziotto, con un abito di fatica grigio, ha gettato un contenitore di acqua fredda su di me così da infradiciare la mia camicia e i miei pantaloncini. Stare seduto freddo e bagnato nella cella ha aumentato il mio brivido incontrollabile. Credo che oltre che gelato ed impaurito, soffrissi per gli effetti del colpo e della perdita di sangue.

Faccio fatica a ricordare la sequenza esatta degli eventi nella cella. A intervalli irregolari gruppi di poliziotti entravano nella cella con un elenco di nomi - dovevamo saltare in piedi quando il nostro nome veniva chiamato e rispondere dicendo anche la nostra nazionalità e data di nascita. Altri poliziotti continuavano a venire alla finestra esterna e a gridare minacciosamente. Siamo stati costretti ad un altra sessione di posizione da perquisizione, che è durata, credo, un'ora o più.

Intanto cercavamo di dormire, sdraiati sulla pietra o appoggiati ai muri. Fino a quel momento nessun poliziotto ci aveva spiegato qualche cosa della nostra situazione - se eravamo stati arrestati, in tal caso per che motivo, o di qualunque procedimento legale. Chiaramente la polizia era certa di poter fare quello che voleva, senza riguardo per la legge o il diritto, e senza pericolo di essere chiamata a renderne conto. Sembrava che fossimo "scomparsi" - rapiti da una polizia violenta e paramilitare e portati in un campo dove eravamo completamente alla loro mercé e fuori dal mondo. Durante il giorno siamo stati portati ad un edificio vicino, uno o due alla volta, per essere interrogati. Era anche questo un capannone di cemento ma con una varietà di equipaggiamenti sofisticati sui tavoli, come computer portatili di stile militare. Sono stato scortato in quel locale da due poliziotti in borghese con guanti di cuoio neri. Sono stato fotografato molte volte e le mie impronte digitali sono state prese cinque volte. Sono stato messo anche di fronte a un'apparecchiatura attaccata a uno dei computer, che aveva lenti binoculari che sono state dirette ai miei occhi, che ho pensato fosse una scansione della retina per una registrazione. Mi hanno anche fatto firmare molti moduli senza spiegarmi i loro contenuti - e le mie domande su di essi non hanno avuto risposta.

Nel pomeriggio un poliziotto è venuto con una borsa di panini al prosciutto. Uno dei prigionieri italiani ci ha tradotto che ci diceva di non lamentarci di questo cibo. C'erano solo dodici panini per i quindici di noi rimasti nella cella. Poiché molti di noi erano vegetariani abbiamo tolto il prosciutto e cercato di dividere il pane. Questo è stato il solo cibo che ci è stato dato finché siamo arrivati al carcere di Pavia il pomeriggio seguente (36 ore dopo l'arresto).

Al calar della sera l'atmosfera è diventata molto tesa. Tutti gli agenti in borghese erano scomparsi e siamo stati lasciati con quelli in divisa da ordine pubblico. C'erano suoni strani dal corridoio: voci, colpi e rumori di cose rotte. Un po' di gente è stata tolta dalla cella e non è ritornata. Avevo la sensazione di essere stato trasportato in un altro continente: appena ho visto le guardie portar fuori gente, immagini di Pinochet e del Cile sono balenate nella mia mente. Siamo stati portati in un'altra stanza dove di nuovo siamo dovuti stare in piedi contro il muro con braccia e gambe larghe. Ho sentito un colpo ed un prigioniero vicino a me ha gridato (ora so che è stato colpito alla testa). Sentivamo quello che sembrava il rumore di gente picchiata. Norman era stato uno dei primi ad uscire dalla cella, ed un attimo più tardi ho sentito Norman gridare dal dolore. (Ora so che è stato colpito da una guardia durante la perquisizione). La porta della cella di fronte era stata coperta da coperte e noi non potevamo vedere chi era portato dentro e fuori di lì. Ero sicuro che saremmo stati interrogati e che ci avrebbero fatto firmare asserzioni false, per dare alla polizia qualche scusa per le sue azioni violente. Ho avuto una conversazione bisbigliata con un prigioniero tedesco vicino a me con cui ci siamo scambiati consigli su come resistere meglio ai colpi. In quel momento mi sono sentito molto debole per la mancanza di cibo e sonno.

Sono stato preso dalla cella e interrogato dalla polizia penitenziaria in una delle stanze laterali - mi hanno perquisito, fotografato, preso le impronte digitali... Mentre stavo ritornando alla cella due dei poliziotti nelle uniformi grigie, a gesti, mi hanno invitato ad entrare in un'altra stanza. Avevano le maniche arrotolate e portavano i guanti pesanti degli scontri. Ma un ufficiale superiore dietro a me ha detto qualche cosa come "No, non identificato," (in italiano nel testo) e sono stato riportato alla cella dove abbiamo aspettato fino a alba. Norman non è ritornato in cella ed ero molto preoccupato per lui.

Di mattina siamo stati ammanettati a coppie e portati fuori del campo in un cellulare fino ad un posto che ora so essere il carcere di Pavia. Ci hanno dato una borsa di plastica ciascuno con un paio di panini ed un pezzo di frutta. Siamo stati identificati, ci hanno dato un paio di lenzuola ed un asciugamano e portati nelle celle. Finalmente eravamo parte di un processo giudiziario ufficiale e fuori delle mani della polizia paramilitare. Era un sollievo. Comunque, anche le guardie carcerarie hanno rifiutato le nostre richieste di contattare il mondo esterno. Non c'era ancora stato nessun chiarimento della nostra situazione, semplici voci fra i prigionieri di quanto a lungo potevamo essere tenuti giuridicamente senza possibilità di comunicare. I miei sentimenti, passavano dal sollievo alla frustrazione.

Il secondo giorno sono stato messo in una cella con Norman. Era grande vederlo di nuovo. La nostra esperienza della prigione era la difficoltà di ottenere qualsiasi chiarimento o quanto ci spettava di diritto - quella notte mi hanno negato delle lenzuola senza ragione. Era anche una lotta ottenere cibo vegetariano. Avevo un po' di problemi con i miei occhi perché portavo lo stesso paio di lenti a contatto dal mio arresto. Benché fossero lenti giornaliere, sono pericolose da portare per più di un giorno perché possono aderire alla superficie dell'occhio, ma non avevo osato rimuoverle perché mi sono sentito fisicamente in pericolo e volevo poter vedere quello che succedeva intorno a me.

Tutto noi insistevamo sul nostro diritto di vedere un avvocato ma inutilmente. A mezzogiorno del martedì ho ricevuto sei telegrammi dalla famiglia e dagli amici, portati malvolentieri da un ufficiale della prigione. Quello è stato un punto di svolta: sapere che la gente sapeva di noi e fuori c'era qualcuno che lavorava per noi. Più tardi quel pomeriggio sono stato portato ad incontrare Gilberto Pagani, l'avvocato che la mia famiglia aveva nominato per me. Credo di essere stato il primo prigioniero ad ottenere una visita legale, e forse il solo che ha visto un avvocato prima di essere interrogato dal giudice. Mi ha spiegato che saremmo stati portati di fronte ad un magistrato che avrebbe verificato la correttezza del nostro arresto. Gilberto mi ha riempito di speranza che l'ingiustizia del nostro arresto sarebbe stata riconosciuta. Mi ha anche detto delle dimostrazioni di solidarietà a Milano ed in altre città italiane che mi hanno dato ancora più speranza. Più tardi nel cortile per l'aria ho descritto agli altri la visita di Gilberto, e ci siamo tutti convinti che prima avessimo incontrato un giudice meglio sarebbe stato.

Il giorno dopo siamo stati tenuti in gruppi nelle celle in attesa di vedere il magistrato. Cinque minuti prima di portarci nelle celle gli ufficiali della prigione hanno consegnato nuove magliette per tutti noi. Mi sono rifiutato di cambiarmi e ho tenuto la mia maglietta insanguinata per non consentirgli di nascondere il modo in cui mi avevano trattato. Nelle celle potevo verificare i danni che la gente aveva subito. Nella nostra cella c'erano dieci persone, avevamo una gamba rotta (frattura multipla), tre polsi o braccia rotti, sette teste ferite con necessità di punti, un naso rotto, danni facciali, e due persone la cui schiene erano letteralmente nere di lividi. Uno dei tedeschi mi ha detto che mentre erano sdraiati a terra nella scuola, dopo essere stati colpiti, i poliziotti avevano spruzzato il gas CS sulle loro ferite e sulle loro facce.

Ci hanno consegnato il verbale con le accuse solo 5 minuti prima di vedere il giudice. Era in italiano e noi non avevamo la traduzione, benché fossimo chiaramente accusati come un gruppo e ci fosse un elenco di cose che la polizia dichiarava di avere trovato nella scuola. Potevo vedere che un articolo era un T-shirt con la scritta "Ferma la Violenza della Polizia"- chiaramente chiunque aveva scritto il verbale delle accuse non aveva un minimo di ironia. Altri articoli pericolosi come floppy-disk erano nell'elenco, così come alcuni articoli di abbigliamento neri. Il magistrato mi ha domandato se ero un membro di qualche organizzazione (ho risposto "di un sindacato"), se avevo visto qualcuno del cosìddetto Blocco Nero nella scuola (nessuno) o se avevo visto qualche bottiglia Molotov nella scuola (di nuovo, nessuna). Allora mi ha chiesto di descrivere il mio arresto. Dopo alcuni minuti della mia descrizione ha alzato le mani e ha detto qualche cosa di simile a "non confirmato, non confirmato" (in italiano nel testo) che mi è stato tradotto come arresto non giuridicamente corretto. Mi ha anche detto che ero libero di andare. Sono stato riportato alla mia cella dalle guardie.

Alcune ore più tardi mi hanno ridato i miei lacci delle scarpe e il sacco a pelo e mi hanno portato fuori dalla prigione con un gruppo di cinque tedeschi ed un detenuto spagnolo. Quando siamo usciti dal portone principale siamo stati affrontati da un gruppo di poliziotti in uniforme che ha insistito che salissimo su un furgone della polizia - la donna al comando ci ha detto che saremmo andati in macchina al confine italiano. Cento metri più in là sulla strada potevamo vedere un gruppo dei nostri sostenitori di fronte ai cancelli della prigione. Abbiamo insistito che eravamo liberi andare e questo ha reso la polizia molto agitata. Abbiamo notato anche quattro ufficiali in borghese. Mentre discutevamo con i poliziotti in uniforme questi poliziotti in borghese si sono messi tra noi ed il cancello e hanno indossato i guanti di cuoio. Ci hanno detto che eravamo soggetti ad un ordine di deportazione. Alla fine siamo saliti sul furgone e siamo andati alla sede centrale della polizia di Pavia.

Lì in una piccola stanza siamo stati sorvegliati da un gruppo di Carabinieri. Dovevamo chiedere il permesso per andare alla toilette. Malgrado ci avessero dichiarati liberi eravamo evidentemente prigionieri. Comunque, c'erano alcuni volontari veramente in gamba del Genova Social Forum locale che ci hanno portato cibo e schede del telefono. Uno di loro mi ha anche dato una T-shirt, per quale gli sono molto grato. Potevamo vedere i nostri sostenitori e i media fuori della sede ma non potevamo parlare con loro.

I nostri avvocati erano alla stazione di polizia per fare opposizione legale alla nostra deportazione. I consoli tedesco e spagnolo sono arrivati per parlare con i loro connazionali. Qualche tempo dopo anche lo staff consolare inglese è arrivato alla polizia. Erano amichevoli e ci hanno aiutato a spostarci dalla stanza isolata all'area principale dove si trovavano altri detenuti. Comunque, nessun addetto del consolato ha mai tentato di interrogarmi o di farsi rilasciare una qualche dichiarazione.

La scontro legale è proseguito per tutta la notte. Quando abbiamo domandato alle autorità come avremmo potuto recuperare le nostre cose, abbandonate nella scuola, non c'è stata nessuna risposta. Avevo lasciato il mio zaino, dei vestiti ed un telefonino, ma alcuni degli altri avevano lasciato a Genova macchine e furgoni. Mi sono sentito veramente male quando ho saputo che uno dei tedeschi che aveva avuto la ragazza ferita nel l'attacco alla scuola sarebbe stato deportato senza neppure poterla vedere e lei era ancora in ospedale a Genova.

Ci hanno consegnato il nostro foglio di via, che diceva che per cinque anni non avremmo potuto rientrare in Italia, perché eravamo "un pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza". Dato che più di 60 dei 93 arrestati alla scuola avevano ferite serie tali da richiedere un intervento in ospedale, credo che il solo pericolo che potevamo rappresentare era l'evidenza del brutale e repressivo intervento della polizia. Siamo stati portati fuori del posto in una vettura della polizia sotto scorta. Erano le 4 del mattino ma nonostante l'ora ad attenderci c'era una folla di persone del luogo che voleva salutarci e dimostrarci solidarietà. All'aeroporto siamo stati scaricati all'ingresso principale, e la polizia ha formato una sorta di linea di guardia all'ingresso. Dopo alcuni giri intorno ci hanno detto che era nostra responsabilità quella di deportarci, ma che chi non l'avesse fatto sarebbe stato riarrestato. Quando ho domandato come potevo deportarmi quando la polizia mi aveva preso e tenuto i miei soldi e il mio passaporto nessuno mi ha dato una risposta utile. Lo staff consolare ha assistito Norman e me per comprare un biglietto per un volo della British Airways per Heathrow - ma comunque, abbiamo dovuto pagarli noi con la carta di credito di Norman. Sul volo mi sono agitato perché con i miei vestiti macchiati di sangue e sudore puzzavo. Infatti al di là del cambio di maglietta avevo gli stessi vestiti con cui ero stato arrestato. Una hostess gentile mi ha dato una bottiglietta di dopobarba così ho potuto coprire l'odore e ho potuto incontrare i miei genitori e la ragazza con più tranquillità.

La polizia alla prigione ha rifiutato di darmi la mia cartella clinica quando sono stato rilasciato. In Gran Bretagna sono stato visitato in ospedale per avere della documentazione da poter usare contro le autorità responsabili.

Uno degli slogan del Genova Social Forum era "Un altro mondo è possibile" cioè un mondo basato sulla giustizia e l'armonia piuttosto che su profitto e sfruttamento. Comunque, durante la mia prigionia ho avuto una grande paura per l'Italia e per il resto dell'Europa: la paura che è possibile anche un altro mondo più buio, un ritorno al fascismo. Ho visto che sacche di questo mondo esistono nello stato italiano. Quanto lontano gli permetteremo di arrivare?

Credo che ci sia stato un tentativo sistematico di intimidirmi, brutalizzarmi e imprigionarmi. Ma un effetto inaspettato è stato uno sviluppo enorme di sostegno e cura da parte di amici ed estranei, per me, per la mia famiglia ed gli altri detenuti. Molti hanno detto che questo episodio li ha svegliati e gli ha mostrato fino a che punto le cose sono peggiorate. C'è una forte volontà di opporsi all'ingiustizia globale. Malgrado abbia avuto una esperienza dolorosa e paurosa mi sento inspirato e fortificato pronto ad alzarmi in piedi per avere un mondo migliore.

Dan McQuillan, 31 luglio 2001, trad. di Rosaria



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