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Da "Umanità Nova" n.31 del 16 settembre 2001
Il colore del potere
Durban: fallita la conferenza ONU sul razzismo
La fallimentare e contraddittoria conclusione della Conferenza dell'ONU sul
razzismo, tenutasi recentemente a Durban in Sudafrica, ha evidenziato una volta
di più da un lato come aldilà delle generiche enunciazioni di
principio gli Stati non sono in grado di affrontare in modo neutrale e
conseguente tale questione, d'altro canto ha mostrato quanto il significato e
le implicazioni politiche del termine "razzismo" si siano dilatate riferendosi
anche a discriminazioni di carattere sessuale, a persecuzioni di origine
religiosa, all'annientamento di minoranze etniche dettato da ragioni
economiche.
Questo avviene, ad avviso di chi scrive, per due e apparentemente opposti
motivi.
In primo luogo vi è appunto la responsabilità degli Stati che,
non volendo e non potendo affrontare la questione del razzismo dato che questo
appartiene sia alla loro storia nazionale - basti pensare al mito degli
Italiani-brava gente resisi responsabili di autentici genocidi in Libia ed
Etiopia - che alle attuali politiche neoliberiste senza alcuna pietà per
i dannati della miseria globale, hanno contribuito a svuotare di significato la
dimensione del razzismo, facendolo apparire come un retaggio del passato ormai
patrimonio esclusivo di gruppi nostalgici dei lager nazisti o di settori
marginali senza cultura.
Di fronte a questo tendenza all'autoassolvimento da parte dei poteri dominanti,
per reazione, ogni forma di discriminazione e prevaricazione di cui sono
direttamente responsabili, presente o passata, tende ad essere assimilata al
razzismo e come tale se ne chiede la condanna.
Da qui la volontà dell'Associazione internazionale di gay e lesbiche di
partecipare alla Conferenza di Durban, respinta col voto contrario di 43 Stati,
tra cui la Cina e Città del Vaticano (ma anche per l'astensione di altri
come la Svezia), oppure la dirompente richiesta sostenuta da vari paesi arabi,
e non solo, di condannare il sionismo come aggressione razzista nei confronti
del popolo palestinese.
Nel primo caso, pur lottando contro la persecuzione e la negazione dei diritti
civili di cui sono vittime le lesbiche e i gay, è evidente che l'amore
tra persone dello stesso sesso attraversa tutte le "razze"; nel secondo, di
fronte alla distruzione di ogni ipotesi di convivenza e alla guerra
d'annientamento condotta con logica militare contro l'Intifada palestinese,
sarebbe semplicistico definire la politica dello Stato d'Israele semplicemente
come razzista, tanto più che ebrei e arabi-palestinesi sono originari
dello stesso gruppo etnico, e potrebbe rivelarsi persino controproducente
perché vuol dire introdurre un ulteriore elemento di conflitto.
Razzista infatti, in teoria, dovrebbe essere ogni sistema di dominio fondato
sulla presunta superiorità razziale di un gruppo sociale su un altro; ma
col tempo si è andato caricando di riferimenti storici, ideologici e
geopolitici che hanno moltiplicato i razzismi possibili. Inoltre, attraverso
gli studi degli antropologi e degli etnologi, il vocabolo "razza" non ha
più un significato sicuro e corrispondente ad un insieme di esseri umani
individuabile grazie a precisi caratteri biologici e psicologici trasmessi per
via ereditaria. In altre parole le razze o, meglio, i gruppi etnici (come sin
dal 1951 l'Unesco suggeriva di definirli) non sono mai state categorie
statiche, ma gruppi umani dinamici, che mutano e si modificano col passare
delle tempo, fermo restando che tutti i "cittadini del mondo" hanno normalmente
lo stesso numero di cromosomi che ne conferma fatalmente l'appartenenza alla
medesima specie.
Purtroppo, per quanti progressi abbia fatto l'umanità nei secoli, la
storia umana ha visto la persistenza del razzismo in generale come pregiudizio
verso l'altro e in particolare la "razza bianca", in nome di una presunta
superiorità biologica, ha giustificato lo sfruttamento e l'oppressione
delle razze connotate da un diverso colore della pelle, giungendo a teorizzare
la divisione tra una parte diurna e una notturna del genere umano.
A queste teorie, già esposte da Karl Gustav Carus, nell'800 si andarono
aggiungendo quelle di Arthur Gobineau, col suo "Trattato sull'ineguaglianza
delle razze" (ancora oggi un autentico best-seller dei fascisti e dei nazisti),
che mise in evidenza l'importanza della "razza nordica" nella vita dei popoli
europei e richiamò l'attenzione sul fatto che con la mescolanza di
questa con altre razze si preparava "il tramonto dell'Occidente"; oggi a
distanza di due secoli da tale Trattato e soltanto mezzo secolo dagli orrori di
Auschwitz, queste tesi vengono puntualmente riprese da un esponente della
destra radicale colta come Alain de Benoist e riproposte in chiave
"differenzialista" da tutta la destra politica.
D'altra parte la teorizzazione del razzismo non è stata soltanto un
prodotto germanico, anche se durante la dittatura nazista essa trovò le
sue più tragiche applicazioni; anche il razzismo "made in USA" ha avuto
i suoi precursori, quali Madison Grant con il suo saggio "Il tramonto della
grande razza" o Lothrop Stoddard che già nel 1919 affermava: "Gli Stati
Uniti, stante la minaccia del Pericolo Nero, debbono giungere a perseguire
consapevolmente un'unità razziale nordica".
Se come è vero, citando Marco Revelli, "colonialismo e imperialismo
nascono in tempi pressoché contemporanei al razzismo. L'odio per l'altro
nasce contestualmente alla sua conquista", anche durante il secolo appena
trascorso sia negli Stati Uniti che in Europa, ma pure in Estremo Oriente
(basti pensare al nazionalismo nipponico), l'affermazione del razzismo ha
coinciso con determinate fasi storiche quali guerre, conflitti sociali e crisi
economiche.
Per cui è importante comprendere quali scenari futuri prefigura il
ritorno dell'ideologia razzista, soprattutto nelle sue varianti più
moderne e populiste, perché se sfugge la sua ragione di essere in
funzione del dominio del capitale e se non siamo in grado di strappargli le
maschere che questo indossa nelle legislazioni democratiche in materia
d'immigrazione, l'antirazzismo rischia di essere altrettanto svuotato del suo
significato più profondo e sovversivo, quello della solidarietà
di classe contro il potere di ogni colore.
ANTI
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