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Da "Umanità Nova" n.31 del 16 settembre 2001

Autunno amaro
Pensioni e licenziamenti

Non è possibile chiedere alla Lega e ai suoi ministri la libertà e la possibilità di licenziare>>. <<Dove sono nato io - ha specificato Bossi -, vicino a Gallarate, è pieno di fabbriche. Come fa uno come me - si è chiesto - ad agevolare i licenziamenti, o anche a tagliare le pensioni ai lavoratori>>. <<Siamo dei politici, e dobbiamo sentire due campane, anche quella del popolo, dei cittadini e dei lavoratori. La Lega non è per i licenziamenti. Noi intendiamo - ha proseguito il leader della Lega - la flessibilità in entrata e non in uscita.>> <<La Lega è contraria a tagliare le pensioni ai lavoratori. Una riforma pensionistica è possibile - ha aggiunto il leader della Lega - senza tagli, depurando le pensioni da cose improprie, come è in altri paesi europei>>. Bossi ha poi smentito che su questo tema, ci siano pareri diversi nel governo, sostenendo rivolto ai giornalisti che sono loro <<a inventare pareri diversi>> che lui non ha sentito.
Da Il Corriere della Sera del 10 settembre

La "discussione", se di discussione si può parlare, sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori prosegue con il, tipico, carattere di gioco delle parti che hanno questo tipo di "confronti". Mentre Gianfranco Fini fa uno sfondamento sul terreno neoliberale ed entra in diretta concorrenza con Forza Italia per conquistare i cuori e, soprattutto, i portafogli delle imprese, l'onorevole Bossi individua per la Lega Nord una funzione sociale.

Molto schematicamente, si può rilevare che, secondo Bossi:

i politici devono ascoltate "due campane" e anche quella del popolo. Una dichiarazione così aperta del carattere fittizio della democrazia non può che vederci consenzienti. Se il popolo, il soggetto immaginario della democrazia, rappresenta una campana, è lecito domandarsi quale sia l'altra e, abbandonando l'uggiosa definizione "poteri forti" è evidente che si riferisce alla borghesia. La politica come mediazione subalterna fra interessi del capitale e capacità di costruire il consenso del buon popolo;

quando l'onorevole Bossi pensa al popolo gli vengono in mente, comprensibilmente, gli operai e gli impiegati di Gallarate come parte di quei ceti popolari del nord mantengono, in parte, il loro consenso elettorale alla Lega mentre, come è noto, la gran parte della piccola media impresa nordista ha, da tempo, smesso di prestare ascolto alle sirene leghiste per transumare alla più solida sponda berlusconiana;

l'idea che la riforma pensionistica sia possibile depurando le pensioni da "cose improprie" è una ripresa, moderata, del classico obiettivo leghista di tagliare le pensioni di invalidità ed altre forme di "welfare improprio" al sud. Pare evidente che, su questo terreno, i governatori azzurri del meridione avranno qualche problema a privarsi di una risorsa straordinaria per quanto riguarda il controllo delle proprie clientele;

d'altro canto, Umberto Bossi assicura che non ci sono divisioni nel governo e nella maggioranza e che, se parrebbe il contrario, saremmo di fronte al classico mal costume giornalistico. Fatto salvo che i giornalisti non sono una categoria simpaticissima, pare evidente che, tolta qualche nota di colore, non fanno che riprendere le diverse dichiarazioni dei colonnelli berlusconiani, dichiarazioni che pare difficile ricondurre ad un discorso unico. Ma Bossi è un uomo d'onore;

Nel discorso bossiano c'è, d'altro canto, una sorta di verità. Dopo averci allietato con il suo volto (faccia? muso?) affisso su tutti i muri d'Italia durante la campagna elettorale, l'onorevole Berlusconi sembra essersi tirato indietro ed avere aperto le gabbie ai suoi fedelissimi che occupano lo spazio mediatico con la tipica golosità di coloro che hanno dovuto restare a lungo sullo sfondo. Un amante della psicologia della mutua potrebbe spiegare quest'improvvisa timidezza con l'emergere di un senso di colpa per le trascorse esagerazioni. Noi, che di psicologia ci intendiamo poco, siamo portati a ritenere che l'attuale defilarsi del cavaliere sia funzionale ad autoattribuirsi il ruolo di mediatore super partes che, lasciato spazio ad un "ampio ed articolato dibattito" fra le "parti sociali", i partiti, i leader ecc., interverrà a "chiudere il dibattito" e a trovare un soluzione soddisfacente, è inutile dire per chi.

Che la Lega stia lavorando per ritagliarsi un ruolo autonomo in un'alleanza che rischia di assorbirla e di negarne la specificità e che lo faccia, anche, definendo un rapporto "normale" con il padronato viene rilevato anche da uno dei giornali della grande borghesia liberale meno tenero con il populismo alpino.

"'Niente paura, siamo inglesi: anche se ci osservate come gli indiani alla corte del re di Spagna'. Suona più o meno così il messaggio subliminale che Umberto Bossi, Bobo Maroni e Roberto Castelli cercano di trasmettere, con la pacatezza dei toni e la misura delle posizioni, dal palcoscenico mediatico di Cernobbio. I tre ministri leghisti si materializzano a Villa d'Este quasi in perfetta sincronia: compatti e composti, nella scia di Giulio Tremonti. Sono loro la principale incognita dell'ultima giornata del Workshop Ambrosetti sulle "Strategie di oggi e di domani per le decisioni delle imprese" che, essendo dedicata all'agenda Italia, tradizionalmente si affolla di ministri: sette, ieri, gli esponenti del governo Berlusconi sulle rive del lago di Como."

Da "La Stampa" del 10 settembre

Come dire, inglesi e sociali. D'altro canto, su altri temi e di non poco conto come quello dell'ordine pubblico e dell'immigrazione l'asse fra Lega e AN funziona perfettamente.

Che settori del padronato siano disposti a soprassedere parzialmente sulla questione dell'articolo 18 pare evidente. Basta leggere, per esempio, quanto afferma, sempre sul "Corriere della Sera" del 10 settembre Giorgio Fossa ex Presidente della Confindustria ed attuale Presidente della SEA:

"Quanto al tema del lavoro, Fossa sottolinea che "il problema della flessibilità non è più importante come prima" perché superato con i contratti interinali o a termine. "Sarebbe un errore superare i limiti dell'articolo 18 - prosegue Fossa - non solo per le piccole ma anche per le grandi imprese". L'ex presidente della Confindustria, infine, difende la concertazione che, dice, "va presa per quello che è: non è affatto da buttare ma sappiamo che ci sono dei limiti."

Vi è, su questi temi, un singolare accordo fra Giorgio Fossa e Roberto Maroni come appare da "La Stampa" del 10 settembre:

"Il ministro del Lavoro spiega, infatti, che su 2,5 milioni di uscite dal mercato del lavoro solo 5.000 sono avvenute ex articolo 18: risolte, per di più, in massima parte e "per richiesta dei lavoratori", con indennizzo compensativo e non con reintegro. Entrambi - Bossi e Maroni - concordano: <<Chi si aggrappa all'articolo 18 come a un totem (e dunque Cofferati) vuole ideologizzare il tela della flessibilità, invelenire il clima e, di fatto, rendere impossibile il confronto con il sindacato>>. La Lega e il governo - garantiscono i ministri - non cadranno nella trappola. L'obiettivo della flessibilità <<verrà perseguito>>, promettono: ma con <<il metodo adottato per il recepimento della direttiva sui contratti a termine>>. Dunque, con <<il confronto con le parti sociali>>: il governo aspetta di conoscere, infatti, le proposte che in tema di flessibilità in uscita <<stanno studiando alcune organizzazioni sindacali>>. "

Il messaggio è sufficientemente chiaro;

il tentativo di incunearsi fra CISL e UIL, da una parte, e CGIL, dall'altra, non va abbandonato e, di conseguenza, va valorizzata la "concertazione";

non si deve offrire alla sinistra lo spazio per prendere l'iniziativa sulla piazza in una paese che vede la grande maggioranza della popolazione contraria alla libertà di licenziamento.

Quanto il buon Maroni afferma sull'articolo 18 è, invece, un'evidente sciocchezza ma non possiamo escludere che lo faccia in buona fede vista la sua notoria competenza sulle questioni del lavoro. È, infatti, evidente che 5.000 licenziamenti individuali non sono generiche "uscite dal mercato del lavoro" e che se ve ne sono stati 5.000 nell'attuale situazione possiamo immaginare quanti potrebbero esservene in una situazione di piena "flessibilità in uscita" e, soprattutto, che peso avrebbe il timore del licenziamento. Ma il ministro del welfare non pare appassionato a questo genere di questioni e non vorremmo distrarlo dal suo idilio con Forza Italia e con la Confindustria.

D'altro canto, Giorgio Fossa, nel medesimo articolo, afferma:

'terza via' tra tagliare le pensioni di anzianità e lasciarle. "Sappiamo che tutto ruota sul nodo delle pensioni di anzianità tra tagliarle o lasciarle. Una terza via mi sembra possibile che tuteli interessi diversi".

Come dire: iniziamo a tagliare le pensioni, magari un po' meno di quanto si teme, ai licenziamenti penseremo poi. Gli interessi diversi sono, con ogni evidenza, quello del padronato e quello degli apparati sindacali che guardano, nonostante le dichiarazioni di guerra, con interesse ai fondi pensioni.

Insomma, ci avviciniamo alla definizione dello scenario reale di autunno.

Intanto il ministro dell'economia Giulio Tremonti, parlando della Legge Finanziaria allo stesso convegno, apre un altro fronte:


<<Dobbiamo farla senza aumentare le tasse, dobbiamo farla - spiega il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, nel suo intervento al workshop Ambrosetti di Cernobbio - contenendo la spesa. E stiamo strutturando i mezzi per farlo. Tutte le amministrazioni subiranno dei tagli e in alternativa riceveranno la possibilità di fare outsourcing, di andare sul mercato e saranno costrette a centralizzare gli acquisti>>. Da "Il Giorno" del 10 settembre

È, insomma, evidente, che dobbiamo evitare di guardare alle singole questioni perdendo di vista lo scenario generale, i punti di applicazione dell'azione padronale e governativa sono diversi. Lo stesso Tremonti ce ne da conferma, nello stesso articolo, quando afferma:

<<due considerazioni. Una è relativa al clima politico. La speranza di un autunno drammatico con scontri di piazza innescati su temi come la scuola, la sanità, il lavoro e le pensioni è una speranza che l'attuale opposizione può considerare molto remota. Non ci saranno scontri. Abbiamo una legislatura che dura 5 anni. Abbiamo - fa notare il ministro - una forza tranquilla che ci consente di traguardare in una prospettiva di 5 anni le riforme necessarie da fare. Abbiamo, ed è un asset fondamentale, una struttura parlamentare di assoluta forza. Abbiamo il ciclo elettorale alle spalle>>..

Noi, naturalmente, lavoriamo per la ripresa a breve dell'iniziativa di classe su tutte le questioni all'ordine del giorno ma dobbiamo saper cogliere la verità che contengono le affermazioni dei nostri nemici. Ci attende una fase di scontro sociale complessa e che richiede una capacità di costruire l'intervento su tempi medi facendo di ogni singolo momento di conflitto sociale un elemento costitutivo dell'affermazione dell'autonomia sociale delle classi subalterne.

Cosimo Scarinzi



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