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Da "Umanità Nova" n.31 del 16 settembre 2001
N.A.T.O. per uccidere
Strategie imperiali
Il mio intento è quello di affrontare alcuni temi che mi paiono centrali
nella configurazione attuale della NATO: il nuovo assetto geo-politico
dell'Alleanza Atlantica, l'allargamento ad Est e la recente guerra balcanica.
"La sicurezza dell'Alleanza è minacciata da eventi che hanno luogo al di
là dei confini geografici della NATO. Per l'Alleanza l'occasione o la
necessità di intervento possono scaturire al di fuori di questi confini.
Sebbene tali interventi tutelerebbero principalmente gli interessi nazionali
dei paesi coinvolti, l'Alleanza deve preoccuparsi di quegli eventi che al di
fuori dei suoi confini potrebbero interferire sulla sicurezza del territorio di
influenza della NATO."[1] In questa breve citazione del manuale di
guerra ad uso dei militari statunitensi, risiede parte di una più
importante conoscenza sulle nuove strategie imperiali della NATO in generale e
degli U.S.A. in particolare: "impedire collusioni e mantenere tra i vassalli la
dipendenza in termini di sicurezza, garantire la protezione e l'arrendevolezza
dei tributari e impedire ai barbari di stringere alleanze."[2] Per
capire meglio quanto appena accennato occorre tornare indietro di qualche anno,
ovvero ai giorni 11 e 12 gennaio del 1994, in occasione dell'iniziativa
"Patnership for Peace", proposta a Bruxelles dal vertice dell'Alleanza
Atlantica a tutti paesi che avevano partecipato ad attività di
cooperazione in ambito militare e che facevano parte dell'OCSE. Questa proposta
andava ad incidere in un programma di parternariato politico e militare tra i
paesi aderenti alla NATO ed i paesi 'confinanti' o interessati ad una possibile
collaborazione. Sottostante a questa logica strategica vi era e vi è la
necessità di creare una situazione di potere, in forma assolutamente
unidirezionale dal momento che a questi paesi non era consentita la membership,
ma solo la partnership, ovvero gli oneri e non i 'privilegi', della NATO in
modo tale da aprirli alle informazioni sensibili, da condizionarli nella
pianificazione, nella struttura e negli assetti (con la standardizzazione e
l'interoperabilità) e nelle attività di budgeting.[3] Importanti a questo proposito sono tutte
iniziative di collaborazione che prenderanno piede a partire dal 1994 nei
settori della ricerca, della produzione e della commercializzazione di
armamenti tra ex-nemici.[4]
Per ottenere questo risultato diveniva fondamentale per gli statunitensi non
perdere il controllo effettivo sull'Alleanza a discapito della costituzione di
blocchi politico-militari nuovi (Europa) in grado di controbilanciare il peso
degli USA. Si è dato il via in questo modo a due operazioni tra loro
fortemente connesse:
Creazione di un nuovo asse tedesco-polacco, che consentisse un allargamento
questa volta di effettiva membership, ai tre paesi ex Patto di Varsavia, in
grado di costituire un nuovo blocco orientale a ridosso della Russia: Polonia,
Repubblica Ceca ed Ungheria, con possibili sviluppi di collaborazione
privilegiata con l'Ucraina. La Germania è garanzia di fedeltà
atlantica e gli Stati Uniti sono facilitatori dell'espansione imperiale ad est
dello stato tedesco.
Ufficializzazione delle missioni 'fuori area' (dei paesi NATO si intende), che
segna il definitivo abbandono del concetto di sicurezza primaria a favore di un
orientamento di tipo egemonico o neo-imperiale.
Il recente documento del National Security Council[5], nel classificare gli interessi nazionali
americani, distingue tra tre differenti categorie:
interessi vitali;
interessi di importanza nazionale;
interessi umanitari ed altri interessi.
Gli interessi di importanza nazionale non mettono direttamente a repentaglio la
sicurezza degli USA, ma incidono su quella che loro definiscono come 'national
well-being', ovvero come benessere nazionale. Tra di essi sono compresi anche
le attività commerciali di rilievo e gli approvvigionamenti di tipo
energetico. Ecco spiegati i motivi delle 'ingerenze umanitarie' in Kuwait,
Bosnia, Kosovo, Timor Est eccetera. Non a caso sono gli stessi statunitensi a
classificare le guerre appena ricordate nel secondo gruppo e non nel terzo.
"Questo orientamento può essere così sintetizzato: semplificare
il panorama strategico rimodellando le regioni nevralgiche che orlano Eurasia,
tenere sotto controllo il rimland, promuovere il pluralismo geopolitico
(cioè balcanizzarle), impedire che diano luogo ad egemonie locali (nella
nuova Europa centro-orientale, come nei Balcani, nel Golfo Persico e nell'Asia
orientale), proiettare la forza 'From the sea' sui litorali e sull'entroterra
per intervenire in funzione di prevenzione e deterrenza, di controllo delle
crisi e di gestione dei conflitti. Ben lontani dall'orizzonte della pura
amministrazione di un mondo liberato dalla guerra fredda, questi obiettivi
corrono, come verso un baratro alla ricerca del primato. Ma, come avvertono due
prudenti studiosi: "Primacy is therefore a virtual invitation to
struggle"[6] (La supremazia è oltretutto un invito virtuale a
combattere.)
Si può a ragione affermare che "gli interventi di questi anni della NATO
nella ex-Jugoslavia - considerati come un continuum logico e non come una serie
disordinata e caotica di aggiustamenti successivi come vorrebbe la vulgata
dominante - paiono rispondere ad un bisogno di autolegittimazione che si basa
sul principio della riproducibilità dell'intervento armato come
regolatore dei conflitti una volta innescato un processo di reazione
iniziale."[7]
Nulla da stupirsi, quindi, se il Kosovo rientra a pieno titolo negli interessi
nazionali americani ed europei, mentre la Cecenia no, o meglio, sarebbe
più corretto dire che il non-intervento nella Russia rappresenta
comunque una difesa degli interessi nazionali, così come lo fanno i
non-interventi in Kurdistan, in Tibet, in Palestina e via dicendo.
Pietro Stara
Note
[1] Airalnd Battle 2000, manuale di guerra in dotazione all¼esercito statunitense, su www.ecn.org/ponte/guerra/airland.htn
[2] Zbigniev Brzezinski, La grande scacchiera citato in Salvatore Minolfi, Dopo la 'guerra fredda': geopolitica e strategia della NATO (II), in "Giano", pace, ambiente, problemi locali, dossier NATO n 2, Sviluppo sostenibile?, numero 35, pag. 38
[3] Questa parte del capitolo si rifý in maniera sostanziale a quanto sostenuto da Salvatore Minolfi, cit.
[4] Achille Lodovisi, Espansione della NATO e mercato degli armamenti in Europa orientale, in „Giano ¾, pace, ambiente, problemi locali, dossier NATO n 2, Sviluppo sostenibile?, numero 35, pp. 49 - 70
[5] » interessante notare come L¼Italia si sia adeguata pienamente alla concezione nord-americana in termini di classificazione degli interessi nazionali Nel documento dello Stato maggiore della Difesa in "http://www.difesa.it" vengono compresi tra gli interessi nazionali quelli inerenti alle questioni economiche, ovvero agli approvvigionamenti di materie prime. E¼ finita, una volta per tutte, la mistificazione della difesa del suolo patrio.
[6] Salvatore Minolfi, cit., pag.41
[7] Rinaldo, I bombardamenti un anno dopo, Chi ha parlato di fallimento?, in Umanitý Nova ‚ settimanale anarchico, maggio 2000.
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