unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.31 del 16 settembre 2001

"Diritto di asilo"
La nave dei folli

Evidentemente era la nave dei folli quella, carica di disperati afgani e cingalesi, che pochi giorni orsono tentava di attraccare in un qualche porto della ricchissima e spopolata Australia per trovarvi umana ospitalità. Una nave di folli convinti che oltre il diritto nazionale, internazionale, mondiale, planetario, fosse importante nel regolare le cose di questo miserabile mondo anche il diritto della coscienza, quella dei singoli come quella collettiva delle comunità. Una nave tra le tante la Tampa, tra le troppe popolate di illusi follemente speranzosi non solo nell'umanità del potere, ma anche, purtroppo, nella solidarietà dei propri simili.

Personalmente sono stato in entrambi i paesi di provenienza dei profughi, in Afganistan negli anni lontani della mia giovinezza e in Sri Lanka molto più recentemente. Due paesi meravigliosi, fra i più belli che abbia mai visitato, abitati entrambi da popoli orgogliosi della loro cultura e della loro civiltà, alieni e ostili, tradizionalmente, alla colonizzazione occidentale, e profondamente legati alla propria terra e alle proprie radici. Due paesi selvaggi ma ricchi di gente ospitale, di gente dura e determinata, consapevole della propria particolarità ma anche capace di socializzare con lo straniero in forme sorprendentemente libere e paritarie.

Credo sia inutile raccontare ancora una volta ai lettori di Umanità Nova le infamie del regime afgano o la drammaticità della situazione cingalese. Tutti conosciamo l'oscurantismo clericale imposto all'intera collettività da una minoranza di fanatici religiosi bravi solo ad interpretare più ottusamente del dovuto le regole comportamentali dettate da Maometto più di 1300 anni orsono. E tutti abbiamo letto le testimonianze sulla terribile condizione di sudditanza e discriminazione patita dalla donna afgana. Tutti conosciamo quali sconvolgimenti abbiano provocato in un tessuto sociale estremamente delicato le secolari e brutali aggressioni delle superpotenze contro il popolo afgano. Altrettanto sappiamo dell'assurdità della lotta fratricida che da trent'anni provoca fra le popolazioni tamil e cingalesi un bagno di sangue mostruosamente inutile. È da poco che abbiamo visto sui giornali le foto di reparti armati di ragazzine dodicenni, di un'etnia o dell'altra qui poco importa, già pronte e impazienti di portare la sofferenza e la morte fra le loro coetanee. E quasi ogni giorno, fra le pieghe delle pagine di cronaca internazionale, troviamo le due righe puntuali d'agenzia sull'ennesima strage.

I delitti del potere, di quello che già si è affermato o di quello che intende farlo, sono uguali sotto tutte le latitudini: cambia solo la qualità dell'efferatezza e della barbarie a seconda delle situazioni, non certo la sostanza.

Credo sia altrettanto inutile cercare di spiegare quali possano essere, fra i mille che hanno a disposizione, i motivi che spingono giornalmente carovane di esuli a lasciare le loro terre, i loro villaggi, le loro abitazioni, nella speranza di trovare in altri luoghi quella pace, quella vita dignitosa e quella libertà di cui non possono più godere. Confidando evidentemente non solo nella presunta umanità di chi dovrebbe accoglierli ma anche nell'esistenza di un diritto, che si vuole universale ed imparziale, sottoscritto da tutti gli stati. Ed in effetti questo "diritto" esiste, è formalmente sancito in una solenne risoluzione dell'Onu, la Convenzione sullo status di rifugiati politici del 28 luglio 1951, e dovrebbe essere il fondamento comportamentale di ogni governo e di ogni stato. Si tratta di 46 articoli suddivisi in 7 capitoli redatti cinquant'anni orsono da un manipolo di preclari giuristi che scrupolosamente non lasciarono nulla al caso ma si sforzarono di prevedere tutte le eventualità e le casistiche legate al problema: dalla Definizione del termine "rifugiato politico" (art. 1) al Diritto di associazione (art. 15), dalla Assistenza amministrativa (art. 25) alla Proibizione di espulsione o rimpatrio (art. 33). Una Convenzione che a leggerla e prenderla sul serio, quasi invoglierebbe a modificare il proprio status in quello di rifugiato. Peccato però che gli estensori abbiano previsto tutte le eventualità fuorché una, e non delle meno importanti: la libertà dei singoli stati e governi di firmare solennemente la risoluzione e poi... di fregarsene.

Proprio quella libertà di cui si è servito il governo australiano che, senza falsi pudori di fronte al resto del mondo, si è permesso di fare quello che tutti gli altri paesi "civili" vorrebbero ma non sempre possono fare, vale a dire respingere con educata brutalità i 433 profughi che chiedevano asilo. Forti infatti di un consenso altissimo fra l'opinione pubblica del proprio paese, gli eredi dei massacratori delle popolazioni aborigene non solo non "hanno riconosciuto la natura sociale ed umanitaria del problema dei rifugiati" e non "hanno fatto quanto era in loro potere per risolvere questo problema" (cito dal Preambolo della Convenzione) ma, appellandosi alla purezza della razza bianca (?), da decenni tutelata da una politica sull'immigrazione fortemente restrittiva, hanno gridato alto al mondo che il re è nudo e che di fronte agli interessi egoistici di minoranze opulente non c'è diritto o solidarietà internazionale che tenga. Segnando la strada, in un certo senso, a future emergenze e mostrando come sia semplice disdettare i propri impegni istituzionali e farla comunque franca.

Sbaglieremmo però se pensassimo di scaricare le responsabilità di questo vergognoso episodio unicamente sul governo australiano e su quelli che si sono prestati a recitare nella sceneggiata. Non si è trattato soltanto, infatti, di una scelta volta alla difesa delle prerogative statali o generata dallo scontato egoismo di un continente sottopopolato e opulento, timoroso di perdere il proprio benessere. C'è anche, altrettanto determinante ma forse più drammatico perché più inaccettabile, il consenso dato dalla quasi totalità della popolazione australiana a questa politica disumana e meschina. E le pallottole inviate ai rari personaggi politici che hanno speso una parola a difesa dei profughi sono lì a testimoniarlo. Ancora una volta la commistione fra grettezza e ignoranza, fra la grettezza di chi crede di crescere escludendo, e l'ignoranza di chi ha paura del nuovo e del diverso, di chi crede che solo la paranoica diffidenza verso l'alieno possa conservare il mondo dorato che è convinto di abitare, ha prodotto un risultato abominevole e indegno di persone che si reputano democratiche e civili. Condannando a nuove sofferenze chi ingenuamente ha creduto di poter bussare alle porte del ricco mondo occidentale.

Massimo Ortalli



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org