unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.31 del 16 settembre 2001

Dopo Genova/dibattito
Su questa Pietra

Ogni soluzione proposta come intermedia è pura menzogna, dentro un ghetto tanto vasto da circondare i palazzi d'inverno come un oceano, e su di esso il ferro e il fuoco. Mercenari senza equivoci, i poliziotti giocano d'anticipo: sanno che chiunque è il loro futuro-presente nemico.
(Cesarano-Collu, Apocalisse e rivoluzione)

La scadenza del G8 sapeva di trappola fin dall'inizio: trappola materiale per reprimere, criminalizzare, terrorizzare l'opposizione sociale; trappola mediatica con precisi ruoli prestabiliti per ogni aspirante attore protagonista; trappola ideologica per costringere gli oppositori più radicali a confrontarsi sul terreno insidioso della cosiddetta globalizzazione; trappola temporale e spaziale dove confinare e isolare ogni sommovimento sociale-politico-culturale per non farlo incontrare con i conflitti di classe, più o meno latenti.

Per questo, le poche voci critiche che suggerivano di disertare tale appuntamento avevano le loro buone ragioni e, comunque, dati i rapporti di forza di tipo militare messi in campo a Genova sarebbe stato preferibile non accettare "quel" terreno di scontro, magari de-localizzandolo come suggeriscono i manuali della guerriglia partigiana.

Alla luce di quanto è avvenuto e nonostante la tragedia che è costata la vita a Carlo Giuliani, il bilancio freddamente "politico" di quelle giornate non è privo di significati e implicazioni, seppure il prezzo pagato dai manifestanti è stato realmente pesantissimo.

È infatti emersa con terribile chiarezza la violenza intrinseca ai rapporti di potere in questa società. Di fronte a tale realtà, molti probabilmente torneranno a casa, ma altrettanti sono stati costretti ad una presa di coscienza che sicuramente lascerà delle tracce sia nella loro vita che nel modo di porsi nei confronti del potere costituito.

Non si possono massacrare centinaia di migliaia di persone "impunemente" illudendosi poi di non fare i conti con la storia, ossia con la memoria sociale vivente. Infatti giornate come quelle del 20 e del 21 luglio accelerano processi individuali e collettivi di consapevolezza e radicalizzazione che "normalmente" non sarebbero neppure immaginabili.

D'ora in poi parlare di autoritarismo, di violenza legalizzata, di terrorismo statale... ma anche di organizzazione, di autodifesa, di libertà, sarà meno difficile che in passato perché queste parole per tantissime persone non sono più staccate dal proprio vissuto.

Altro che diritti di cittadinanza! Se ne è reso conto persino un prete missionario che su Famiglia Cristiana ha scritto: "...ho visto le Forze dell'ordine sgretolare brutalmente le mie convinzioni che mi facevano pensare che mai e poi mai, in Italia, lembo importante dell'Occidente giuridicamente evoluto, i diritti fondamentali della persona (tra cui quelli della libera espressione e dell'integrità fisica) sarebbero stati violati".

Niente sarà più come prima, è stato detto, ma abbiamo già assistito a delle "mutazioni" interessanti.

Durante il tormentato corteo di sabato 21, il grido di ASSASSINI rivolto a tutte le divise era un coro trasversale che coinvolgeva tutti i settori presenti.

Anche dopo essersi presi i gas e le cariche, ancora sottotiro, tutti gli urlavano in faccia questa verità e talvolta questo ha fatto scatenare nuove aggressioni.

Inoltre gli scontri con le forze dell'ordine, le barricate e le azioni dirette hanno registrato una partecipazione di massa, altrettanto orizzontale, tale far sorridere davanti alla esclusiva criminalizzazione del cosiddetto Blocco Nero; si vedeva gente di ogni genere e di ogni età difendersi ed attaccare: militanti di varia tendenza, giovani in tenuta da "disobbedienza civile", ragazzotti di Rifondazione, postpunk, ultrà delle curve "rosse", cani sciolti...

Tutti teppisti-violenti-anarchici-provocatori-infiltrati?

Evidentemente NO.

La questione assume quindi carattere sociale, tutta da interpretare beninteso, ma resta il fatto che qualcosa si è rotto e non sarà facile per nessuno ricomporlo senza farci i conti; anche se fosse semplicemente l'indice di un "ribellismo generazionale" sarebbe un fatto di portata non-trascurabile, considerato il qualunquismo teledipendente che ormai davamo per imperante nelle ultime generazioni.

Inoltre non si conosce ancora l'effetto mediatico delle immagini e dei messaggi veicolati per settimane su quelle giornate, con relative proiezioni nel futuro e nel passato. Probabilmente non produrranno, almeno nell'immediato, adesioni "politiche" per i movimenti alternativi e antagonisti - tanto meno per i partiti della sinistra - ma di sicuro determineranno lo schierarsi da una parte o dall'atra, perché si tratta di immagini e messaggi che difficilmente consentono la neutralità.

Tra l'altro questo è un discorso che riguarda tutta società italiana; dopo anni in cui si è celebrata in ogni modo la presunta morte delle ideologie, si sta assistendo ad una progressiva e sempre più marcata divaricazione di atteggiamenti, posizioni, scelte, modi di essere e pensare.

Dalle questioni riguardanti il lavoro alle vicende politiche, dal fenomeno dell'immigrazione al proibizionismo sulle droghe, dalla cosiddetta emergenza-criminalità al comportamento della polizia... è un continuo scontrarsi tra opinioni inconciliabili e sempre meno compatibili; micro-conflitti ideologici esplodono di continuo sui posti di lavoro, nei bar, alle fermate dell'autobus, in treno, in famiglia, a scuola...

Da una parte c'è un blocco d'ordine e una cultura dell'intolleranza che reclamano la "mano forte" contro tutto quello che sembra attentare alla normalità, dall'altra c'è un'umanità varia che non riesce/vuole integrarsi in un presente all'insegna del PRODUCI-CONSUMA-CREPA.

Da un lato c'è una schiera di fascisti e sbirri inconsci, dall'altro un esercito di antifascisti e sovversivi altrettanto inconsapevoli da un punto di vista ideologico e di classe; eppure è come se si vivesse già dentro una GUERRA CIVILE strisciante.

Facile prevedere che questo governo, dal DNA ultrautoritario, esaspererà ulteriormente tali contraddizioni e non è escluso che pur di conservare il potere faccia ricorso alla mobilitazione della sua "maggioranza rancorosa"; l'autunno è peraltro vicino, con tutte le questioni sociali aperte che sappiamo, e questo esecutivo non sembra in grado di concepire altro modo di affrontare i nodi che stanno arrivando al pettine se non attraverso la forza armata.

Per cui gli orizzonti che possiamo intravedere per il prossimo futuro non possono essere che conflittuali.

Come navigare tra questi marosi?

La situazione che stiamo vivendo è per certi versi davvero nuova, anche perché - nel bene e nel male - gli anarchici stanno godendo di una notorietà certo insolita. Le ragioni di ciò sono diverse, innanzitutto come già osservato l'immagine dell'anarchico è quella che si presta meglio a manipolazioni d'ogni genere nei confronti dell'intera opposizione; da sempre siamo definiti romantici utopisti o sanguinari bombaroli, secondo quello che fa più comodo al potere. Inoltre, dovendo cercare un nemico per giustificare la repressione, criminalizzare i movimenti o trovare dei parafulmini, sulla piazza non c'è rimasto molto: dei comunisti ci sarebbero ma in primo luogo sono anche in Parlamento e poi se il comunismo è stato dichiarato per morto da oltre dieci anni non ci si fa una bella figura a sostenere che è ancora un pericolo; per alcuni decenni la colpa di tutti gli incidenti è stata degli Autonomi, ma ormai una parte di essi sono diventati "dialoganti" e poi è sempre meglio non evocare il fantasma del '77. Per cui ecco il costante tentativo di riportare in vita le Bierre e l'emergenza-terrorismo, ma poiché è comunque problematico associare il variegato arcipelago anti-global al vetero-leninismo armato di ristretti nuclei clandestini, risulta molto più funzionale lo spettro dell'anarchia.

"Anarchia" può essere tutto: la ribellione in fabbrica, il rifiuto dell'etica lavorista, l'antimilitarismo, la complicità coi "clandestini", l'antiproibizionismo, l'autogestione extraistituzionale, l'astensionismo, la lotta contro le produzioni di morte, il femminismo, il sabotaggio, l'antifascismo... in altre parole, ogni pratica di libertà.

Questa equiparazione, utilizzata dal dominio per controllare e moderare le opposizioni sociali, comporta però il rischio - per il dominio stesso - di fornire un'identità sovversiva precisa a soggetti e gruppi semplicemente CONTRO, trasformandosi in un'involontaria macchina fabbrica-anarchici. Ed è proprio a questo punto che possono aprirsi spazi impensati per l'anarchismo organizzato, in grado di ricollegare la memoria del presente con quella del passato, di dare impulso all'organizzazione autonoma di classe, di trasformare la ribellione in progetto di liberazione sociale.

Con ogni probabilità viviamo una situazione tutt'altro che rivoluzionaria, ma se improvvisamente arrivasse - e le rivoluzioni arrivano come un ladro nella notte, come avvertiva Bakunin - sapremmo riconoscerla? Davanti alle giornate di Genova, numerosi compagni si sono soffermati sul particolare senza cogliere il quadro d'insieme; occorre invece guardare storicamente quello che è avvenuto e quello che avverrà. Le distruzioni non-necessarie, l'estremismo cialtrone, la possibile infiltrazione, la presenza di provocatori, le contraddizioni ideologiche... sono tutte cose su cui è giusto interrogarsi, sviluppare la critica e fare il possibile per evitarle; ma allo stesso tempo, non dimentichiamolo, questi sono gli inevitabili ingredienti di ogni insorgenza collettiva di massa, anche nel 2001.

Coll. Nabat (VE - LI)



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