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Da "Umanità Nova" n.31 del 16 settembre 2001

Venezia cinema
Guy Debord e i critici del "retrobottega"

Prima o poi doveva succedere. Ed era già successo. Con buona pace dei fans, così come dei detrattori, di monsieur Guy Debord. Perché la retrospettiva delle opere cinematografiche del situazionista parigino, curata da Enrico Ghezzi e Roberto Turigliatto e presentata alla recente Mostra del Cinema di Venezia, s'aveva da fare. Lo richiedeva la critica. Lo imponeva il mercato. Lo implorava il cinema.

Poco importa se Debord visse la sua vita lottando contro la critica, contro il mercato, contro il cinema, dal momento in cui la Critica era da Lui impersonificata (chi, se non lui, poteva dire il bene e il male dell'Internazionale Situazionista, sua splendida creatura), il Mercato era da Lui fagocitato (il suo ultimo editore, Gallimard, era il famoso "avanzo di bidet", ferocemente vituperato nel '68 e successivamente - morto Lebovici - considerato il solo e unico degno Mecenate) il Cinema era da Lui condannato (ma, ad alcuni mesi dalla sua "uscita di scena", collaborò con Brigitte Cornard alla realizzazione per Canal-plus del documentario televisivo "Guy Debord son art et son temps"). Ma c'amm'affà!

Per questo non ci siamo oltremodo scandalizzati nell'apprendere che i critici più à la page dell'industria cinematografico-televisiva avessero finalmente (per loro, sia chiaro) realizzato un testo - "Guy Debord (contro) il cinema", pubblicato da Castoro - e utilizzato sapientemente le proprie conoscenze altolocate per pubblicizzarlo quale evento alla 58ma Mostra del Cinema di Venezia. Operazione di Marketing sicuramente ben riuscita e con poca spesa, dal momento che l'affabulatore/critico Ghezzi ha potuto disporre - e a gratis - di tutto l'apparato promozionale pubblicitario della Rai, nonché delle amicizie profonde nella sinistra istituzional-editoriale che in lui riconoscono il mentore critico più intelligente e spregiudicato dello spettacolo televisivo. Perché altrimenti: chi mai se lo avrebbe filato?

Dei sei film di Debord il parlarne in quanto film sarebbe alquanto ingeneroso. Innanzitutto perché sono state opere/operazioni politiche più che tecnico-mediatiche; infatti dall'iniziale scandalo di "Hurlements en faveur de Sade" fino al riassuntivo e celebrativo 'In girum imus nocte et consumimur igni" Debord ha sempre utilizzato il linguaggio cinematografico nè per raccontare una storia, nè per produrre un documentario. Il cinema, come l'architettura, la poesia, il saggio critico, l'arte, era semplicemente uno dei tanti possibili mezzi che la critica radicale poteva e doveva utilizzare contro la società, evidenziandone l'intera e totale putrescenza di valori. Non - si badi bene - una trita e ritrita critica sulla perdita di senso del cinema, dell'arte, dell'architettura nell'attuale società. É ma una critica radicale sul senso della perdita di sè, della propria vita che il cinema, l'architettura, l'arte rappresentano in forma statica ed ambigua nei confronti della stessa società capitalista.

Aver fatto di Debord un fine e colto cineasta, più che l'ennesimo tentativo di "recupero" da parte della società dello spettacolo è un personalissimo e volgare peccatuccio per cercare di apparire grande montando sulle spalle del gigante; come dire: io che ho inventato "Blob" sono l'erede di Debord, perciò tutto ciò che faccio - "Blob" compreso - è un attacco, una critica feroce allo spettacolo degna del grande situazionista parigino.

Ora, di tutto ciò ci si può forse scandalizzare?

Certamente i "pro-situ" lo griderebbero. Quelli come noi possono soltanto pensare che un altro "classico" ha finito per essere venduto promozionalmente sui banconi e sugli scaffali dei super mercati della cultura. Il che può anche risultare una buona cosa, perché Dante rimane Dante anche se acquistato dal macellaio. Il macellaio, purtroppo, no!

Jules Élysard



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